Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17803 del 30/08/2011

Cassazione civile sez. II, 30/08/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 30/08/2011), n.17803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.C. (OMISSIS), A.R.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 26, presso lo studio dell’avvocato FIORE MAROCHETTI

SIMONETTA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

R.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA I. GOIRAN 23, presso lo studio dell’avvocato CONTENTO

GIANCARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato CARPANO MICHELE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1420/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 9-9-98 R.B. evocava in giudizio avanti al Tribunale di Torino, la soc. AREC sas di Armano Renato & C. nonchè i soci della stessa, R. e A.C. in proprio, per sentir dichiarare la risoluzione per inadempimento della stessa soc. Aree del contratto stipulato tra le parti (con la conseguente condanna dei convenuti al pagamento della soma di L. 50.000,000 oltre interessi e danni quantificati in L. 100.000.000 o altra somma da determinare in corso di causa. Precisava l’attore che con atto in data 14.3.89 egli si era impegnato a vendere alla menzionata società un terreno di sua proprietà sito in comune di La Cassa, e quest’ultima, a sua volta si era obbligata a dare in permuta un appartamento di 60 mq da edificarsi sul terreno stesso (ricevendo il versamento di L. 10.000.000 a titolo di conguaglio), la cui consegna doveva avvenire entro 24 mesi dall’inizio dei lavori di costruzione. In data 6.12.90 si era addivenuti alla stipula del rogito notarile per la compravendita del lotto di terreno ceduto ed in quella stessa data, con scrittura del 6.12.1990, la sas Aree confermava la precedente promessa di vendita al R. del costruendo appartamento di 60 mq al prezzo di L. 60.000.000, di cui L. 50.000.000 da ritenersi già versati (quale corrispettivo per la cessione del terreno) e L. 10.000.000 da corrispondersi all’atto di stipula del rogito di vendita dell’erigendo appartamento. Rilevava però l’attore che la società convenuta a distanza di 8 anni non aveva adempiuto alla propria prestazione omettendo di consegnargli l’alloggio in questione, ciò che configurava il denunciato inadempimento contrattuale della società convenuta. L’azione veniva proposta personalmente contro A.R. socio accomandatario ed anche contro A.C., il quale, pur nella qualità di socio accomandante, aveva compiuto atti di amministrazione per la soc. Aree, divenendo così anch’egli solidamente e illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali.

Si costituivano in giudizio la società convenuta ed i due soci chiedendo il rigetto della domanda avversaria ed eccependo di contro l’inadempimento dell’attore, per cui proponevano domanda riconvenzionale con la quale, in via principale instavano per la condanna del medesimo all’adempimento del contratto del 6.12.90 e in via subordinata, per la risoluzione del suddetto contratto per inadempimento del R., con conseguente riconoscimento alla sas Aree di trattenere la somma” di L. 50.000.000 a titolo di caparra confirmatoria o, in via di ulteriore subordine, l’accertamento del diritto della stessa società di percepire tale somma a titolo di risarcimento del danno. Secondo la società a fronte del proprio adempimento di ultimazione della costruzione e di offerta di consegna dell’alloggio, il R. si era rifiutato a procedere a tale scelta, eventualmente anche di un appartamento più grande, operati gli opportuni conguagli.

Con sentenza n. 2254 depos. in data 8.3.2002 il tribunale di Torino rigettava tutte le domande, compensando interamente le spese di lite.

Riteneva che l’attore con la sua domanda aveva chiesto la risoluzione del solo contratto preliminare iniziale del 14.3.89, che però aveva avuto esecuzione con il rogito del 6.12.1990 di compravendita del terreno e del preliminare di cessione dell’alloggio in permuta. Lo stesso giudice riteneva altresì infondate le domande riconvenzionali dei convenuti, attesa la nullità del contratto in questione (del 2 preliminare) per indeterminatezza dell’oggetto, atteso che in esso si faceva riferimento soltanto ad un alloggio di 60 mq senza alcun altra specifica necessaria determinazione. Avverso tale pronuncia insorgeva il R. proponendo tempestiva impugnazione, con la quale rilevava che la decisione impugnata si era basata su un doppio errato presupposto e cioè che le parti avessero stipulato due successivi contratti preliminari e che esso attore avesse chiesto la risoluzione solo del primo dei due e non de secondo; in realtà il contratto era uno solo, con prestazioni però che necessariamente non potevano essere eseguite contestualmente, ma in tempi diversi; con la seconda scrittura del 6.12.1990 invero le parti avevano inteso semplicemente precisare e confermare la precedente del 14.3.1989. Si trattava insomma di un unico contratto anche se esso aveva dato luogo alla stipula di diverse scritture nel tempo. Peraltro era evidente l’inadempienza della società che nonostante l’avvenuta cessione del terreno, non gli aveva più fornito l’alloggio convenuto. Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto dell’impugnazione e proponendo appello incidentale in relazione alle domande riconvenzionali in precedenza formulate.

L’adita Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 1420 depos. in data 27.9.2005 accoglieva l’appello principale e; in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare di permuta del 14.3.1994 e del successivo contratto di vendita del 6.12.1990, stipulato in sua parziale esecuzione, per grave inadempimento della soc. Aree, sas; condannava la società stessa ed i suoi soci alla restituzione in favore del R. della somma di Euro 25.822,84 (pari a L. 50.000.000), con la rivalutazione e gli interessi; rigettava l’appello incidentale e condannava gli appellati al pagamento delle spese del doppio grado. La corte piemontese non condivideva la tesi del tribunale che, come si è detto, aveva ritenuto esauriti gli effetti del primo contratto preliminare del 14.3.89 in conseguenza della stipula del rogito di vendita del terreno e la sua novazione per effetto del successivo preliminare di vendita del 6.1.2.1990, apparendo invece evidente l’unico programma negoziale sotteso ai contratti in questione.

Avverso la suddetta decisione ricorrono per cassazione C. e R.A. sulla base di 5 censure. Resiste con controricorso il R.; la società intimata non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre esaminare la sollevata eccezione d’inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto proposto dai soli ricorrenti soci della società, ma non da quest’ultima, nei cui confronti pertanto è passata in giudicato la sentenza impugnata; ne conseguirebbe che r. attesa la responsabilità sussidiaria dei soci rispetto alle obbligazioni della società, i medesimi non avrebbero concreto interesse a coltivare la presente impugnazione, dovendo in ogni caso rispendere dell’obbligazione ormai definitivamente assunta a carico della loro società.

L’eccezione è infondata essendo evidente il reale interesse degli esponenti ad impugnare la sentenza del giudice d’appello, che li ha condannati personalmente, in solido con la società AREC, al pagamento di somme in favore del R..

Passando al 1 motivo del ricorso, con esso si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Si assume la grave contraddittorietà della sentenza “laddove dichiara la risoluzione del contratto preliminare di permuta del 14.3.89 tra le parti e del successivo contratto di vendita del 6.12.90 in sua (parziale esecuzione) per grave inadempimento della Aree sas”. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale si era “…

totalmente dimenticata del terzo contratto intercorso tra le parti:

la promessa di vendita datata 612.90 “…in base alla quale la società s’impegnava a trasferire al R. l’appartamento di 60 mq.

Nella fattispecie era ravvisabile un’ipotesi di omessa pronuncia della corte sul predetto preliminare del 6.12.90 da ritenersi tutt’ora vigente in quanto non adempiuto. Inoltre la stessa corte torinese aveva pronunciato la risoluzione del rogito notaio D’Ambrosio, benchè mai richiesto dal R., che si era limitato a sollecitare la risoluzione del solo 1 preliminare del 14.4.89 (come da lui precisato nella memoria ex art. 183 c.p.c. nel corso del giudizio di primo grado).

Con il 2^ motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453, 1458, 1492 c.c. e artt. 2700, 2735, 1362, 1363, 1364 e ss. c.c.; si contesta l’interpretazione dei 3 contratti formulata da parte del giudice a quo secondo il quale si trattava di 3 distinti negozi, teologicamente collegati, ciascuno di contenuto contrattualmente diverso; il giudice in effetti non aveva tenuto conto dell’intervenuta novazione del 1^ preliminare con la successiva scrittura privata del 6.12.90. In effetti, ” mentre il preliminare del 14.3.89 aveva ad oggetto la promessa di vendita di un terreno verso la permuta di un alloggio, di futura costruzione, alienato il terreno con il rogito 6.12.90, le parti (avevano) ricostruito un nuovo rapporto obbligatorio consistente nella promessa di vendita di un alloggio di futura costruzione verso il corrispettivo in danaro della somma di L. 50.000.000 imputata per compensazione, oltre il saldo prezzo di L. 10.000.000 …”. Sussiste dunque ai fine della novazione, sia l’aliquid novi che l’animus novandi, ossia l’effettiva intenzione delle parti di sostituire un’obbligazione nuova alla precedente.

Con il 3^ motivo del ricorso si denuncia l’omessa, contraddittoria e/o insufficiente motivazione con riferimento agli artt. 112, 183 c.p.c. e degli artt. 1453, 1458, 1492 c.c. e artt. 2700, 2735, 1362, 1363, 1364 e ss. c.c.. Gli esponenti deducono la mancata o carente motivazione circa la risoluzione del preliminare del 6.12.90 per grave inadempimento da parte della Aree sas del rogito del 6.12.90 (peraltro mai richiesta dall’attore R.) e con riferimento al cd.

unico programma negoziale che univa i tre contratti; al contrario il giudice non aveva motivato perchè non avesse ritenuto risolto anche il preliminare del 6.12.90 che dunque avrebbe dovuto considerarsi ancora vigente tra le parti , che quindi ancora vincolava alla stipulazione del contratto definitivo di compravendita dell’alloggio promesso. I menzionati motivi – esaminati congiuntamente essendo strettamente connessi ed anzi aspetti della stessa questione – sono del tutto infondati. Con le predette censure gli esponenti ripropongono il loro schema della pluralità dei contratti e dell’asserito carattere novativo della scrittura del 6.12.90 e non condividono l’interpretazione della corte a loro avviso non motivata e violativa delle norme codicistiche in tema d’interpretazione del contratto. In realtà dette censure che riguardano l’interpretazione dei contratti in parola, sono inammissibili involgendo accertamenti di fatto propri del giudice di merito non denunciabili in sede di legittimità, stante la corretta motivazione sul punto espressa dalla corte di merito (Cass. n. 2560 del 6.2.07; Cass. n. 9636 del 16.7.2001).

A questo riguardo la S.C. ha così statuito, “L’interpretazione dell’atto costitutivo e dello statuto di una società, così come quella di ogni atto contrattuale, richiedendo l’accertamento della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto del negozio, si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, ed è pertanto censurabile in sede di legittimità soltanto nel caso in cui la motivazione risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l'”iter” logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche. La denuncia di quest’ultima violazione esige una specifica indicazione dei canoni in concreto non osservati e del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione, mentre la denunzia del vizio di motivazione implica la puntualizzazione dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di merito, non potendo nessuna delle due censure risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione.” (Cass. Sez. 1, n. 26683 de 13/12/2006). La motivazione della sentenza appare corretta e condivisibile, in relazione alla particolare ipotesi contrattuale posta all’esame del giudicante, costituita da un contratto di permuta di un bene presente con uno futuro (v. Cass. n. 10257 del 04/05/2006: “allorquando due parti si obblighino, l’una a costruire un edificio e l’altra (proprietaria del suolo) a cederlo, in tutto o in parte, quale compenso, il contratto ha effetti obbligatori, e si qualifica come innominato, del genere “do ut facias”, analogo al contratto d’appalto, dal quale differisce per la mancanza di un corrispettivo in denaro).

Ne consegue che la Corte distrettuale ha ritenuto che l’unico contratto stipulato tra le parti era quello in data 14.3. 89, mentre i vari atti successivi rappresentano soltanto l’evolversi di tale negozio giuridico essendo finalizzati al raggiungimento del particolare scopo che le parti intendevano conseguire. ” Appare evidente – osserva la corte torinese – l’unico programma negoziale, temporaneamente scandito (…) nel trasferimento della proprietà dell’area in cambio (…) di un fabbricato da costruire sull’area stessa, con effetto immediato sulla proprietà dell’area e differito sulla cosa futura, con mera accessorietà e strumentalità dell’obbligo di erigere l’edificio così appunto integrando un contratto (non già di vendita mista ad appalto, ma) di permuta di un bene presente con un bene futuro”. In tale contesto è evidente che la risoluzione di un contratto travolge tutti gli altri, compreso il rogito di vendita del terreno che costituiva parziale esecuzione sempre del preliminare del 14.3.89 e la scrittura privata del 6.12.90 che era soltanto confermativa dell’originario contratto, non apparendo condivisibile la tesi della sua natura novativa sostenuta dai ricorrenti.

Con il 4 motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1223-1224 c.c., con riferimento alla concessione della rivalutazione monetaria e interessi legali sulle somme rivalutate, che non erano state oggetto di esplicita domanda da parte dell’attore.

La doglianza è infondata. La rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti da giudice anche d’ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario “petitum” della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi.

(Cass. Sez. 3, n. 20943 del 30/09/2009).

Con il 5 motivo si denunzia la violazione di norme di diritto (artt. 2697, 1216, e 1209 c.c.) ed il vizio di motivazione; si censura l’affermazione della Corte circa l’inadempimento della società, per non aver adempiuto al proprio obbligo di trasferimento dell’alloggio mediante formale intimazione di consegna dell’immobile ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1216 e 1209. Secondo i ricorrenti in realtà la società non intendeva affatto sottrarsi a tale obbligo, tant’è che aveva chiesto con la sua domanda riconvenzionale in principalità che il R. fosse condannato all’esecuzione del preliminare del 6.12.90 e che, per l’effetto, gli venisse ordinato “di scegliere entro 30 gg. dall’emanando sentenza l’alleggio da acquistare, ordinandogli nel contempo di perfezionare l’atto di compravendita tramite rogito notarile entro 30 gg. dal momento dell’individuazione dell’alloggio, con contestuale pagamento del saldo prezzo”.

La doglianza è priva di pregio. La Corte distrettuale ha ampiamente motivato sull’evidente, macroscopica indampienza della società che aveva incamerato il terreno del R., senza dargli nulla in cambio, costringendo quest’ultimo a ricorrere all’A.G. dopo ben otto anni dalla conclusione del contratto per realizzare il suo diritto di avere l’alloggio pattuito.

In conclusione il riscorso in esame dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 2.400,00 per onorario, oltre spese accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2011

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