Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17802 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 09/06/2017, dep.19/07/2017),  n. 17802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GAI Emanuela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28440/2010 R.G. proposto da:

Savio S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Adriano Rossi,

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle

Milizie, n. 1;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte, n. 34/26/10 depositata il 15 giugno 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 giugno 2017

dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che la Savio S.p.A. ricorre con quattro mezzi nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che non svolge difese nella presente sede ma deposita c.d. atto di costituzione) avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha accolto l’appello dell’Ufficio e rigettato quello incidentale della contribuente, ritenendo legittimo – in riforma della sentenza di primo grado, che aveva parzialmente accolto il ricorso introduttivo – l’avviso di accertamento a questa notificato in data 7/11/2005 per il recupero a tassazione, a fini Irpeg e Irap, per l’anno d’imposta 1999: a) di costi, per Lire 190.000.000, relativi all’allestimento di fiere e mostre; b) di costi, per complessive Lire 32.850.000, relativi a impianti o al ripristino o ricostruzione di beni; in entrambi i casi limitatamente alle quote – rispettivamente dell’80% e dell’84,5% – che, secondo l’Ufficio, avrebbero dovuto imputarsi, ripartite in quote di ammortamento di costi pluriennali, negli anni successivi;

che la ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1;

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di ricorso la Savio S.p.A. deduce violazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, artt. 8, 10 e 15 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. rigettato la iterata eccezione di tardività dell’avviso di accertamento, ritenendo che l’Ufficio si fosse legittimamente avvalso della proroga di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 10 e ciò in quanto – come si legge testualmente in sentenza – “la contribuente, a fronte del verbale di constatazione notificatole il 20/4/2001, non aveva avanzato alcuna richiesta della relativa definizione – secondo la previsione della L. n. 289 del 2002, art. 15 per essere stato il p.v.c. notificato prima dell’entrata in vigore di tale norma – con conseguente invalidità di altra e diversa sua istanza di condono…”;

che al riguardo la ricorrente sostiene, di contro, che, a fronte di una formale istanza di condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 8 l’Ufficio avrebbe dovuto adottare, nei termini di legge, un formale provvedimento con cui dichiarava non conforme a legge la richiesta di definizione agevolata e che, non avendolo fatto, non avrebbe potuto avvalersi della proroga biennale per la notifica dell’atto impositivo riguardante la stessa annualità;

che con il secondo motivo la ricorrente deduce (con riferimento alla ritenuta legittimità del recupero a tassazione di quota parte dei costi imputati all’allestimento di fiere e mostre) violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 67 e 74 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R., pur riconoscendo trattarsi di spese di pubblicità, ritenuto che le stesse avrebbero comunque dovuto essere ricomprese tra i costi pluriennali ammortizzabili, non essendosi esaurito l’utilizzo delle strutture nell’anno 1999 ma essendo state queste utilizzate per più annualità di imposta;

che con il terzo motivo la ricorrente denuncia inoltre (con riferimento alla ritenuta legittimità del recupero a tassazione di quota parte dei costi imputati ad impianti o al ripristino o ricostruzione di beni: docc. nn. 33-38 allegati dall’Ufficio in primo grado) violazione dell’art. 2425 c.c. e art. 67 t.u.i.r., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè “omesso e/o insufficiente esame di circostanze decisive”, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per avere la C.T.R.: a) omesso di considerare che l’Ufficio non aveva contestato che una parte di tali costi (per Lire 7.550.000) erano attinenti all’acquisto di beni dal valore unitario inferiore a Lire 1.000.000, così dunque violando l’art. 67, comma 6 t.u.i.r. che per costi di tale importo consente la deduzione integrale nell’esercizio in cui sono stati sostenuti; b) quanto alla ripresa di Lire 6.100.000 relative a pretese manutenzioni straordinarie, apoditticamente affermato la loro riferibilità a beni strumentali e comunque omesso di considerare che il detto importo non supera il limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali risultante all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili e che, pertanto, il relativo importo, ai sensi dell’art. 67, comma 7 t.u.i.r., era interamente deducibile a prescindere da ogni indagine circa la natura ordinaria o incrementativa dell’attività manutentiva; c) quanto infine all’importo di Lire 19.200.000, per “costruzione attrezzatura e matrici”, omesso di valutare le contestazioni al riguardo da essa opposte sia in primo grado che in appello circa l’impossibilità di presumere, dalla sola indicazione del termine “matrice” riportata in fattura, che si trattasse di costi riferibili a cespiti strumentali ammortizzabili e per avere comunque omesso di motivare al riguardo;

che con il quarto motivo la ricorrente deduce, in subordine, violazione degli artt. 132,156 e 287 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. – con riferimento alla riproposta allegazione difensiva con cui si chiedeva comunque tenersi conto che nella dichiarazione relativa all’esercizio in contestazione essa aveva inserito una “prudenziale” variazione in aumento di Lire 50 milioni, a copertura forfettaria di eventuali errori – da un lato, in motivazione, osservato che “ove la società abbia già considerato una parte degli operati recuperi e portato in aumento gli imponibili relativi ai predetti tributi, quanto già versato a tale titolo dovrà essere portato in detrazione delle somme dovute in dipendenza dell’accertamento in contesa”, dall’altro, nel dispositivo, accolto integralmente l’appello dell’Ufficio, con ciò determinando un contrasto tra motivazione e dispositivo, causa di nullità, in parte qua, della sentenza (che la ricorrente chiede, dunque, sia emendata “procedendosi direttamente alla correzione della stessa, ammettendosi la deducibilità della variazione in aumento prudenzialmente effettuata in dichiarazione”);

ritenuto che è infondato il primo motivo di ricorso;

che occorre in proposito rammentare che la L. n. 289 del 2002, art. 10 concede agli uffici finanziari una proroga di due anni dei termini per l’accertamento, fissati dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43 (in materia di tributi diretti) e dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57 (in materia di IVA), nei confronti dei contribuenti “che non si avvalgono delle disposizioni recate dagli articoli da 7 a 9” della stessa legge;

che tali ultime disposizioni contemplano varie forme di condono fiscale per anni pregressi (rispettivamente, definizione automatica dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo, integrazione degli imponibili dichiarati e definizione automatica), le quali non si applicano – fra l’altro e per quanto interessa – ai soggetti che, come la ricorrente, avessero ricevuto notifica di un processo verbale di constatazione con esito positivo, ossia con accertamento di maggiore imponibile, prima dell’entrata in vigore della norma agevolativa (art. 7 cit., comma 3, lett. c; art. 8 cit., comma 10, lett. a; art. 9 cit., comma 14, lett. a);

che tale preclusione alla possibilità di avvalersi del condono non può non rilevare quale elemento di per sè solo idoneo a integrare il presupposto previsto dal citato art. 10 perchè operi la proroga biennale dei termini dell’accertamento, indipendentemente dalla circostanza che il contribuente, in via di fatto, abbia comunque proposto, pur in presenza della prevista condizione ostativa, domanda di condono (ipso iure inaccoglibile);

che al riguardo, invero, come questa Corte ha avuto modo di affermare, con indirizzo costante, in plurime occasioni, posto che la legge concede proroga all’Ufficio per l’accertamento nei confronti dei contribuenti “che non si avvalgono” dei benefici recati dalle suddette disposizioni di favore, all’interprete non è lecito distinguere fra soggetti che non intendono e soggetti che non possono avvalersene, poichè l’espressione “non avvalersi”, secondo il significato proprio delle parole (art. 12 preleggi), descrive ugualmente gli atteggiamenti di chi non voglia e di chi non possa accedere al beneficio indicato, non essendo specificata nella legge alcuna riserva (v. ex multis Cass. 11/08/2016, n. 16964; Cass. 23/07/2010, n. 17395);

che è invece fondato il secondo motivo;

che, invero, con riferimento alle spese cui esso fa riferimento (relative all’allestimento di stand fieristico) la sentenza d’appello non contiene, in punto di fatto, alcun accertamento circa l’imputabilità delle stesse a fini di pubblicità e di propaganda, ma sembra ritenere tale accertamento irrilevante ai fini in questione, considerando comunque dirimente, ai fini della loro riconduzione alla previsione di cui all’art. 67 t.u.i.r. (testo applicabile ratione temporis), il fatto – questo sì oggetto di specifico accertamento – che “il costo di tale struttura, per quanto potesse rientrare tra le spese di pubblicità, non esaurisse il suo utilizzo nell’anno 1999, ma fosse utilizzata per più annualità di imposta”;

che, così ragionando, essa effettivamente incorre nel denunciato error in iudicando, facendo applicazione di una regula iuris (quella secondo cui anche le spese di pubblicità, ove relative a strutture utilizzate per più annualità di imposta, vanno necessariamente dedotte per quote di ammortamento secondo il criterio dettato dall’art. 67, ora 102 t.u.i.r.) non esistente nel nostro ordinamento ma anzi contrastante con quella ricavabile dall’art. 74, comma 2 (ora 108, comma 2), t.u.i.r. a mente della quale, ove si tratti per l’appunto di spese di pubblicità “relative a più esercizi”, è offerta al contribuente la facoltà di scegliere se dedurle “nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi”, con la conseguenza che, nel caso di specie, ove si tratti effettivamente di spese di pubblicità – accertamento che il giudice di rinvio dovrà quindi compiere -, la scelta della odierna ricorrente di imputarle per intero nell’anno (1999) del loro sostenimento dovrebbe considerarsi perfettamente legittima;

ritenuto che è inammissibile o, comunque, infondato il terzo motivo di ricorso;

che, invero, sui costi ivi considerati, la sentenza contiene un esplicito accertamento in fatto secondo cui si tratta di spese relative “ad interventi e beni – impianti elettrici, ripristino di uno stampo, ricostruzione slitta e carrello porta anime – di natura straordinaria e comunque suscettibili di una utilizzazione pluriennale”: tale accertamento, oltre naturalmente a smentire di per sè la denuncia di vizio di omessa pronuncia, giustifica la ritenuta applicabilità del criterio di imputazione fiscale per quote di ammortamento di cui al richiamato art. 67 t.u.i.r., donde la palese infondatezza anche della censura di violazione di legge, non potendosi ravvisare nella sentenza impugnata, in parte qua, l’applicazione di una regola difforme;

che, a ben vedere, le censure sul punto svolte dalla ricorrente si appalesano in realtà dirette nel loro complesso a contestare la ricognizione della fattispecie concreta in detti termini operata dai giudici a quibus, ma risultano, in tale prospettiva, inammissibili in quanto – a tacere della contraddittoria imputazione della doglianza alle tipologie di vizio, di per sè incompatibili, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 (di per sè comportante l’inammissibilità del motivo: v. Cass. 18/06/2014, n. 13866; Cass. 17/07/2007, n. 15882) – non autosufficienti (limitandosi la ricorrente a richiamare documenti prodotti in primo grado: allegati nn. 15, 16 e 17, senza riportarne compiutamente il contenuto ma piuttosto operandone una propria soggettiva valutazione di riconducibilità alle norme che consentono l’imputazione delle spese ivi documentate per intero all’anno in cui sono sostenute) e, comunque, perchè nel loro complesso dirette in sostanza a contrapporre, alla pur sintetica valutazione operata dal giudice di merito, quella di parte, senza però indicare l’esistenza di elementi di fatto, ritualmente acquisiti al giudizio, univoci e decisivi di cui sia stato omesso l’esame da parte del giudice o del quale l’esame condotto si appalesi sufficiente, illogico o contraddittorio;

che di tale limite soffrono in particolare le affermazioni, contenute in ricorso, circa la riconducibilità di una parte dei costi all’acquisto di beni dal valore unitario inferiore a Lire 1.000.000 e circa il mancato superamento dell’importo (Lire 6.100.000) relativo a spese per manutenzioni straordinarie del limite di cui all’art. 67, comma 7 t.u.i.r.;

che, infatti, quanto al primo dato, esso è ricavato dal contenuto di una fattura (all. n. 15 in primo grado, relativa al lavori di “posa in opera per spostamento uffici… apparecchiature e collegamenti”) all’esito di una esegesi del suo contenuto che, oltre a non essere direttamente verificabile, di per sè dimostra che non trattasi di dato obiettivamente e univocamente emergente dagli atti, ma piuttosto frutto di una valutazione di parte (la cui opinabilità è per vero dimostrata dal fatto che, per giungere alla predetta conclusione, il ricorrente fa riferimento atomistico ai beni elencati nella fattura, peraltro con esclusione di uno, e postula inoltre che “il costo della manodopera, calcolato ad ore, non può che essere considerato accessorio al costo dei beni riportati in fattura, quindi ne deve obbligatoriamente seguire il medesimo regime fiscale”);

che, al riguardo, poi, è inconferente che sul punto siano mancate specifiche contestazioni da parte dell’Ufficio, queste in realtà dovendosi considerare implicite nella stessa determinazione di recuperare a tassazione anche tali costi: varrà al riguardo rammentare che il principio di non contestazione (implicitamente evocato dalla ricorrente) opera sul piano della prova, cosicchè nel processo tributario esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, nè determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (v. Cass. 18/06/2014, n. 13834; Cass. 03/04/2006, n. 7789);

che quanto al secondo rilievo (mancato superamento del limite di cui all’art. 67, comma 7 t.u.i.r.), esso postula la conoscenza di un dato (ossia il “costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili”) che non risulta acquisito al giudizio;

che, analogamente, quanto alle altre affermazioni della ricorrente (circa la non riferibilità delle spese per manutenzioni straordinarie a beni strumentali di durata pluriennale e circa l’erroneità della imputazione a cespiti strumentali ammortizzabili degli esborsi, per Lire 19.200.000, per “costruzione attrezzature e matrici”), non può non rilevarsene la natura meramente valutativa e oppositiva alla diversa valutazione datane dal giudice di merito;

che in proposito, è appena il caso di rammentare che, secondo la univoca giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che, diversamente opinando il motivo di ricorso in esame si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (v. tra le tante Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 9233 del 2006);

che è, infine, anche infondato l’ultimo motivo di ricorso, non ravvisandosi il dedotto contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza impugnata;

che, invero, l’affermazione contenuta nel terz’ultimo capoverso della motivazione (pagg. 4-5 della sentenza) secondo cui “… ove la società abbia già considerato una parte degli operati recuperi e portato in aumento gli imponibili relativi ai predetti tributi, quanto già versato a tale titolo dovrà essere portato in detrazione dalle somme dovute in dipendenza dell’accertamento in contesa”, non esprime alcun accertamento di fatto sul punto ma solo un’ipotesi e una correlata regola di comportamento, che per tal motivo non può che ritenersi anch’essa meramente ipotetica e non ancora dettata quale regola da osservarsi nel caso concreto, donde la piena coerenza della statuizione finale confermativa della piena legittimità dell’avviso di accertamento;

che, in accoglimento del solo secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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