Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17798 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. I, 03/07/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 03/07/2019), n.17798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6984/2014 proposto da:

COMUNE DI CHIUSA SCLAFANI, in persona del Sindaco p.t. elettivamente

domiciliato in Roma, Via Francesco Siacci, 29 presso lo studio

dell’avvocato Antonio Giuseppe Sinesio e rappresentato e difeso

giusta Delib. G.C. 8 ottobre 2013, n. 100 dall’avvocato Lorenzo

Maria Dentici per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.V. elettivamente domiciliato in Roma, in Piazza

Cavour, presso la cancelleria civile della Corte Suprema di

cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Aiello Castrenze

per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 275/2013 della Corte di appello di Palermo,

depositata il 25/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/03/2019 dal Cons. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.V. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo il Comune di Chiusa di Sclafani per ottenerne la condanna al risarcimento del danno derivante all’attore dall’occupazione usurpativa del fondo in sua proprietà sito in (OMISSIS) (part. (OMISSIS), f. (OMISSIS), p.lla (OMISSIS) del C.T.).

L’attore deduceva l’illegittimità della procedura di esproprio finalizzata alla realizzazione dell’omonimo parco urbano per l’omessa indicazione dei termini di inizio e fine dei lavori e dell’espropriazione, L. n. 2359 del 1865, ex art. 13 nella Delib. G.M. n. 66 del 1995 di approvazione del progetto esecutivo, equivalente alla dichiarazione implicita di pubblica utilità dell’opera.

Il Comune, costituitosi, faceva valere l’applicazione dell’art. 1 della L.R. siciliana n. 35 del 1978 che, con riguardo alle opere degli enti locali finanziate dalla Regione Sicilia L.R. siciliana n. 19 del 1972, ex art. 21 prevedeva che i termini di inizio e fine lavori e di esproprio venissero individuati nel successivo decreto di finanziamento dell’opera, questo da ritenersi equivalente alla dichiarazione di pubblica utilità.

In via subordinata deduceva che la tempestiva fissazione dei termini L. n. 2359 cit., ex art. 13 sarebbe intervenuta per Delib. di integrazione n. 111 del 1995.

Il Tribunale ritenuta legittima la procedura di esproprio, respingeva la domanda attrice con sentenza del 25 agosto 2004 che veniva appellata dall’Amministrazione comunale.

La Corte di appello, disposto un supplemento di indagine per stabilire il valore di mercato del fondo di proprietà dell’appellante all’epoca dell’irreversibile destinazione, con sentenza depositata il 25 febbraio 2013 accoglieva l’impugnativa proposta e condannava il Comune, nella nullità della procedura espropriativa, al risarcimento per l’occupazione usurpativa dei danni che venivano quantificati in Euro 100.842,47.

I giudici territoriali ritenevano, individuato nell’atto di approvazione del progetto generale esecutivo una dichiarazione implicita di pubblica utilità dell’opera, che l’omessa indicazione dei termini dei lavori e dell’espropriazione, traducendosi nella inesistenza ab initio dell’interesse pubblico, attuale e concreto, alla realizzazione dell’opera medesima, non fosse suscettibile di essere sanata da un secondo atto non idoneo a determinare l’affievolimento ad interesse legittimo del diritto di proprietà dell’espropriando.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza il Comune di Chiusa Sclafani con due motivi cui resiste con controricorso C.V..

Il Comune di Chiusa Sclafani ha depositato memoria ex art. 380-bis1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità dell’impugnata sentenza e del giudizio di appello, nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sull’eccezione, riproposta con l’appello incidentale dall’Amministrazione comunale, di applicazione della L.R. Siciliana n. 35 del 1978, art. 1, commi 2 e 5, in relazione alla L.R. Siciliana n. 19 del 1972, art. 21.

Il Comune, di contro a quanto ritenuto dalla Corte di merito, non avrebbe integrato precedenti atti deliberativi lacunosi, ma avrebbe operato nell’osservanza delle procedure speciali previste dalle leggi in vigore nella Regione Siciliana e, segnatamente, dalla L. n. 35 del 1978, art. 1 che espressamente stabilisce, all’u.c., che per le opere degli enti locali finanziate da un terzo – la Regione, ai sensi della L.R. n. 19 del 1972, art. 21 – i termini in questione vanno fissati nel successivo decreto di finanziamento.

La Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione il merito della questione ed avrebbe errato, incorrendo nella segnalata omissione, là dove aveva ritenuto l’insussistenza di un concreto interesse ad impugnare della parte, apprezzato in relazione ad “una più corretta soluzione della questione giuridica”.

L’Amministrazione avrebbe agito per un inquadramento della vantata posizione all’interno della legislazione speciale indicata e non in ragione dei più generali termini ritenuti in primo e secondo grado, sia pure in un contrapposto epilogo decisorio, circa la integrabilità, per successiva Delib., della dichiarazione implicita di pubblica utilità dell’opera contenuta nell’atto di approvazione del progetto generale esecutivo.

1.1. Il motivo è infondato.

Il principio di diritto, consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte, vuole invero che il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16/05/2012 n. 7653; Cass. 27/11/2017 n. 28308; Cass. 16/07/2018 n. 18797).

La sentenza impugnata in applicazione dell’indicato principio non si lascia censurare per il vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e tanto nel rilievo che la Corte territoriale ha comunque statuito sul bene della vita reclamato dall’appellante e, cioè, sul risarcimento del danno azionato.

Il percorso interpretativo osservato dai giudici di appello per pronunciare sul risarcimento al fine di qualificare come illegittima la procedura espropriativa vale invero a diversamente connotare quello che è il presupposto dell’azionato diritto al risarcimento del danno, ma non ad integrare una omessa pronuncia su quest’ultimo.

1.2. Come precisato nella giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di legittimità l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda va tenuta distinta da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito.

Invero solo nel primo caso resta integrata la violazione dell’art. 112 c.p.c., con conseguente definizione di un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti ai fini dell’adozione della pronuncia richiestale, là dove invece nel secondo caso, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 07/07/2006 n. 15603; Cass. 18/05/2012 n. 7932; Cass. 21/12/2017 n. 30684).

Nella specie la questione oggetto dell’appello incidentale del Comune di Chiusa di Sclafani, ripropositiva di quanto già dedotto in primo grado, era infatti quella, interpretativa, sulla applicabilità della normativa regionale siciliana là dove l’opera pubblica dell’ente locale venga finanziata dalla Regione e del diverso atteggiarsi della disciplina della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera e dei termini di esecuzione e di esproprio rispetto a quella generale di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13.

La Corte territoriale risponde alla proposta domanda incidentale riconducendo la fattispecie in esame ad un complesso di norme, quello generale di cui alla L. n. 2359 del 1865, che è diverso dalla cornice definita dalla normativa speciale della Regione Sicilia e, così operando, correttamente denuncia della deduzione difensiva una portata di mera esegesi del dato normativo.

La questione introdotta è di interpretazione, non negando la Corte di merito una pronuncia sul bene della vita rivendicato dalla parte per adozione di una diversa, rispetto a quella dedotta, fattispecie normativa, dopo aver disconosciuto che l’amministrazione potesse integrare ex post una dichiarazione di pubblica utilità priva dei termini di esecuzione dell’opera pubblica e di esproprio nel rapporto tra la Delib. di Giunta 18 aprile 1994, n. 66 e Delib. di Giunta 4 maggio 1995, n. 111 di dichiarazione di pubblica utilità del parco urbano di (OMISSIS).

L’effetto di rigetto non consegue pertanto ad una omessa pronuncia sul diritto risarcitorio azionato ed il motivo è pertanto infondato.

2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione e/o falsa applicazione della L.R. Sicilia n. 35 del 1978, art. 1, commi 2 e 5 e della L.R. Sicilia n. 10 del 1972, art. 21, comma 13.

La sentenza impugnata sarebbe stata inficiata da error in iudicando per erronea individuazione della norma applicabile al caso di specie che era stata letta nella L. n. 35 del 1978, art. 1, comma 1, secondo cui l’approvazione dei progetti è equiparata a dichiarazione di p.u. dell’opera, anzichè dei successivi commi 2 e 5, e tanto nonostante il parco urbano costituisse opera del Comune finanziata dalla Regione e che al successivo decreto di finanziamento dovessero attribuirsi gli effetti tipici della dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, ivi compresa la fissazione dei termini L. n. 2359 del 1865, ex art. 13.

L’interesse pubblico concreto ed attuale alla realizzazione del progetto sorgerebbe con il decreto di finanziamento non potendo l’ente locale stabilire prima di siffatto momento, in modo unilaterale, se l’opera verrà finanziata, così esprimendo un interesse eventuale ed astratto al suo compimento. Da qui il differimento degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità.

Il motivo è inammissibile nei termini di seguito precisati.

2.1. In tema di espropriazioni per pubblica utilità, la L.R. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 1 stabilisce che l’atto di approvazione dei progetti da parte dei competenti organi equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle opere da realizzare e che in esso siano fissati i termini entro i quali devono essere iniziati ed ultimati i lavori, nonchè le relative espropriazioni, ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13 con la conseguenza che l’approvazione, secondo la L.R. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, art. 1 di un progetto per la costruzione di un’opera pubblica non contenente la fissazione di detti termini, non attribuisce alcun potere ablatorio alla P.A. ed è inidonea ad affievolire ad interesse legittimo il diritto di proprietà del privato, il quale, quindi, può agire per il risarcimento dei danni nei confronti dell’Amministrazione (Cass. SU 30/06/1999 n. 355; Cass. 23/06/2008 n. 17015; vd. anche: Cass. 12/05/2014 n. 10286).

2.2. Per l’introdotto tema, si tratta poi di stabilire se la normativa della Regione Sicilia di cui alla L.R. 10 agosto 1978, n. 35e L.R. 31 marzo 1972, n. 19, rispettivamente all’art. 1, commi 2 e 5 e art. 21, comma 12, definisca, con carattere di specialità, la dichiarazione di indifferibilità ed urgenza dell’opera pubblica e con essa, anche, rispetto alla più generale disciplina contenuta nella L. n. 2359 del 1865, art. 13 e nella L. n. 1 del 1978, art. 1 i termini iniziali e finali della dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle opere pubbliche, stabilendo che là dove l’opera pubblica dell’ente locale venga finanziata dalla Regione siciliana è il decreto di finanziamento ad assolvere all’indicato ruolo ed a fissare gli indicati termini.

La L.R. Sicilia 10 agosto 1978, n. 35, contenente “Nuove norme in materia di lavori pubblici e per l’acceleramento e la semplificazione delle relative procedure” stabilisce all’art. 1, dettato in materia di dichiarazione di pubblica utilità, dopo una previsione di carattere generale che attribuisce all’approvazione dei progetti da parte dei competenti organi dei rispettivi enti, per l’appunto, il valore di dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza per tutte le opere pubbliche di competenza della Regione, dei comuni, delle province, dei consorzi di enti locali, delle comunità montane, degli istituti autonomi case popolari, con carattere derogatorio rispetto alla più generale disciplina – che si allinea alle previsioni di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 13 – che là dove l’opera sia finanziata dalla Regione il decreto di finanziamento assolva alla funzione di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e come tale debba contenere il termini iniziale e finale della stessa.

La L. n. 19 del 1972, all’art. 21 nel dare definizione al procedimento di approvazione dell’opera pubblica espressamente attribuisce al decreto di finanziamento la valenza di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza.

Là dove l’opera pubblica sia condizionata nella sua realizzazione al finanziamento di un ente terzo, qual è la Regione, è la stessa dichiarazione di pubblica utilità che resta affidata, per uno speciale editto da valere nell’ipotesi di opere di competenza degli enti locali che vengano finanziate dall’Amministrazione regionale, all’intervenuto finanziamento.

Pertanto l’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera nei suoi caratteri di concretezza ed attualità è destinato a venire ad esistenza solo all’esito del decreto che dispone il finanziamento che condizionando nella sua fattibilità l’opera deve contenere anche i termini di realizzazione della prima e di espletamento delle procedure espropriative.

2.3. La dedotta progressiva formazione della fattispecie resta non soddisfatta in atti e la critica portata non puntuale.

Il decreto di finanziamento del 4.08.1994 emesso dall’Assessore al Territorio ed Ambiente della Regione siciliana e destinato, nelle deduzioni difensive, ad integrare la dichiarazione di pubblica utilità con la fissazione dei termini di inizio e fine lavori e di esproprio (L.R. Sicilia n. 35 del 1978, art. 1 con riferimento alla L.R. Sicilia n. 19 del 1972, art. 21) non risulta contenerli in ragione degli stessi contenuti della difesa svolta dal ricorrente.

Piuttosto dall’impugnata sentenza, ed il dato è incontestato in atti, si apprende che gli indicati termini vennero apposti per successiva Delib. 4 maggio 1995, n. 111 della Giunta Municipale, integrativa della precedente 18 aprile 1994, n. 66 di approvazione del progetto generale esecutivo dei lavori di realizzazione del parco urbano “(OMISSIS)”.

2.4. Il motivo, non capace di confrontarsi con il descritto svolgimento di atti e loro contenuti e di portare, come tale, efficace e puntuale critica, risulta inammissibile per genericità e sua non autosufficienza.

3. Conclusivamente il ricorso è infondato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuale per il principio della soccombenza, nei termini di cui in dispositivo.

Va dichiarata, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in favore di C.V. in Euro 5.400,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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