Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17792 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. I, 03/07/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 03/07/2019), n.17792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20926/2016 proposto da:

Costruzioni Centro Meridionali – Co.ce.mer. S.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Viale XXI Aprile n. 11, presso lo studio dell’avvocato Morrone

Corrado, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Caruso

Giuseppe Antonio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Anas S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1664/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/03/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. ZENO IMMACOLATA, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza in data 16-17/6/2004 il Tribunale di Roma accoglieva l’opposizione proposta da ANAS s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo n. 5878/2002 emesso in favore di Co.Ce. Mer. s.p.a., avente ad oggetto il pagamento della somma di Euro 1.458.366,12 oltre interessi legali, e per l’effetto revocava il suddetto decreto ingiuntivo.

2. Con sentenza n. 1664/2016 pubblicata il 12 marzo 2016, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da Co.Ce.Mer. s.p.a. avverso la citata sentenza. La Corte territoriale, condividendo le argomentazioni poste a fondamento della decisione di primo grado, ha ritenuto che il titolo della domanda proposta in via monitoria fosse l’atto in data 16-9-1998, qualificato come transattivo dalla stessa Co.Ce.Mer. s.p.a., avendo valore meramente descrittivo il riferimento al rapporto d’appalto ed al suo svolgimento, contenuto nel ricorso monitorio. Di conseguenza secondo la Corte d’appello era preclusa alla Co.Ce.Mer. s.p.a., parte opposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente posizione sostanziale di attrice, l’introduzione di domande fondate sul rapporto di appalto e risarcitorie, aventi causa petendi diversa. I Giudici d’appello hanno altresì qualificato, in conformità alla statuizione di primo grado, le pattuizioni di cui all’atto 16-9-1998 come proposta di accordo bonario ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 31 bis come modificata dalla L. n. 216 del 1995, ed hanno ritenuto che quelle pattuizioni non fossero vincolanti per l’Ente, in mancanza di provvedimento motivato di approvazione da parte degli organi di ANAS dotati di potere rappresentativo. La Corte territoriale ha escluso infine la rilevanza ai fini del decidere della nota in data 1-6-2001 dell’ANAS, sia perchè titolo diverso da quello azionato monitoriamente, sia perchè mancante di ogni riferimento alla proposta in data 16-9-1998, su cui era fondata la pretesa monitoria.

3. Avverso questa sentenza la Co.Ce.Mer. s.p.a. propone ricorso affidato a quattro motivi, resistiti con controricorso da ANAS s.p.a., costituitasi all’esito della rinnovazione della notifica del ricorso disposta con ordinanza interlocutoria di questa Corte depositata il 5-7-2018.

4. La Procura Generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso. La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di norme di diritto e segnatamente della L. 1 agosto 2002, n. 166, art. 7, comma 1, 1 bis, 1 ter, 1 quater, D.Lgs. n. 242 del 1995, art. 7; della L. n. 109 del 1994, art. 31 bis come modificato dalla L. n. 166 del 2002, in relazione al D.P.R. n. 554 del 1999, art. 8, lett. y, z alla L. n. 241 del 1990, art. 7 e segg. al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4agli artt. 11,12 e 15 Disp. gen. e agli artt. 633 e 634 c.p.c.”. Ad avviso della ricorrente l’atto transattivo del 16-9-1998, che trascrive integralmente nel ricorso, è idoneo ad impegnare l’ANAS s.p.a. in quanto sottoscritto dal Capo Compartimento anche quale responsabile del procedimento. In base alla modifica apportata alla L. n. 109 del 1994, art. 31 bis, dalla L. n. 166 del 2002, art. 7 è consentito al responsabile del procedimento formulare direttamente la proposta motivata di bonario accordo, nell’ipotesi in cui l’impresa appaltatrice non si sia avvalsa di nominare un suo componente della Commissione, la cui costituzione è facoltativa per gli importi di valore inferiore ai 10 milioni di Euro ai sensi dell’art. 31 bis citato, comma 1 quater. La nuova disciplina introdotta dalla L. n. 166 del 2002 si applica anche alle controversie relative ai lavori appaltati anteriormente alla data in vigore di detta legge, come previsto dall’art. 31 bis citato, comma 5. Osserva la ricorrente che anche il D.P.R. n. 554 del 1999, art. 8, lett. y e z riserva al responsabile del procedimento il potere di risoluzione dei contratti e di proporre il bonario componimento delle controversie insorte. Il capo Dipartimento, firmatario della transazione, era dirigente apicale di ANAS s.p.a. e quindi aveva il compito di adottare atti e provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, come previsto anche dalla L. n. 241 del 1990, artt. 7 e ss., D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 4, comma 1, dovendosi applicare i principi dettati da dette normative a tutte le pubbliche amministrazioni e pertanto anche all’ANAS s.p.a.. Ad avviso della ricorrente il credito monitoriamente azionato è certo, liquido ed esigibile, nonchè provato per iscritto, sicchè la Corte d’appello di Roma è incorsa nella violazione degli artt. 633 e 634 c.p.c..

2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di norme di diritto e segnatamente degli artt. 633,634,635,641 e 653 c.p.c. e degli artt. 183 e 184 c.p.c. previgente, in relazione anche agli artt. 112 e 113 c.p.c.”. La ricorrente assume, trascrivendo integralmente nel ricorso il testo del ricorso monitorio, di aver allegato analiticamente in detto ultimo atto processuale i fatti costitutivi posti a fondamento del credito, spiegando che il medesimo si riferiva ai lavori descritti nei registri contabili dell’impresa relativamente all’anno 1993 per effetto di ulteriori e specifici costi dedotti nelle riserve n. 1 e n. 2 tempestivamente iscritte. Richiamando la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 3254/1995; n. 2124/1994; n. 9176/1997; n. 11157/1996; n. 845/1971) la ricorrente sostiene di aver nuovamente allegato i suddetti fatti costitutivi nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado, anche se impropriamente dalla stessa qualificati come domande riconvenzionali principali e subordinate. Sostiene che erroneamente il Tribunale prima, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, e la Corte territoriale dopo, nel giudizio d’appello, abbiano ritenuto inammissibili le sue domande, precisate nelle memorie ex art. 183 c.p.c., dirette ad ottenere: 1) in linea principale, oltre che il pagamento del credito monitoriamente azionato, anche quanto dovutole per la revisione dei prezzi, la rivalutazione monetaria, gli interessi legali e moratori, quantificati in complessivi Euro 4.518.870,47; 2) in via gradata, in tutte le ipotesi di revoca, nullità, annullamento ovvero di inefficacia del decreto opposto, previo accertamento della tempestiva iscrizione delle riserve n. 1 e 2, nonchè dell’esecuzione dei lavori ivi descritti e degli oneri aggiuntivi sopportati dalla opposta, il pagamento della complessiva somma di Euro 6.073.490,26, oltre ulteriori interessi e rivalutazione fino all’effettivo soddisfo; 3) in tutte le possibili ipotesi di conclusione del presente giudizio il risarcimento del danno da mancato guadagno, quantificato in Euro 1.149.040,27; 4) in estremo ed ulteriore subordine il pagamento di Euro 1,497.772,50, già Lire 2.900.000.000, somma di cui Anas si era riconosciuta debitrice con la lettera 1-6.2001. Ad avviso della ricorrente, in applicazione dei principi espressi con le sentenze sopra citate, stante la natura di ordinario giudizio di cognizione del processo che si instaura a seguito dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., è consentito alla parte opposta, attuale ricorrente, integrare le prove e modificare la causa petendi e le domande ulteriori sono integrative ed accessorie, sì da integrare la mera emendatio libelli. Osserva la società ricorrente che nei giudizi di merito l’ANAS s.p.a., nel contestare l’an e il quantum della pretesa monitoria, aveva riconosciuto che il thema decidendum riguardava le riserve di cui al contratto d’appalto pubblico richiamate nella transazione.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di norme di diritto e segnatamente degli artt. 115-116, 183 e 184 c.p.c. nonchè degli artt. 1988 e 1333 c.c. in relazione agli artt. 633,634 e 645 c.p.c.”. Lamenta vizio di motivazione della sentenza, nonchè violazione dei principi di diritto e del diritto vivente della Suprema Corte di Cassazione in punto di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Nel ribadire che a seguito dell’opposizione ex art. 645 c.p.c. si instaura il giudizio a cognizione piena, la ricorrente lamenta l’errata valutazione della lettera 1-6-2001 depositata da Anas s.p.a., il cui testo riproduce integralmente nel ricorso. Assume che dalla lettura di tale documento sia dato desumere il riconoscimento da parte di Anas s.p.a. del debito di Euro 1.497.772,50, oltre Iva come per legge, nei confronti della società ricorrente e pertanto i giudici di merito avrebbero dovuto accogliere la domanda proposta in via subordinata, accertando in ogni caso il suo credito nell’ammontare indicato nella lettera 1-6-2001.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, di norme processuali, segnatamente dall’art. 112 c.p.c., per violazione di principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e per omessa pronuncia”. Assume che Anas s.p.a., nel proporre opposizione a decreto ingiuntivo, non aveva chiesto la revoca del decreto ingiuntivo, ma solo l’annullamento dello stesso in quanto emesso sulla base di un atto preliminare ed istruttorio posto in essere dal responsabile del procedimento e non dal legale rappresentante dell’Ente. Ad avviso della ricorrente la sentenza d’appello è censurabile per violazione dell’art. 112 c.p.c., non essendosi i Giudici d’appello pronunciati sulla doglianza, espressa nell’atto di appello dall’attuale ricorrente, relativa alla mancata corrispondenza tra chiesto e deciso.

5. Il quarto motivo, da esaminare con priorità sotto il profilo logico, è inammissibile.

5.1. La censura difetta di pertinenza rispetto alla decisione impugnata, dal momento che si fonda su un vizio della sentenza di primo grado e non su un vizio della sentenza qui impugnata, ed inoltre la parte ricorrente denuncia l’omissione di pronuncia su un motivo d’appello di cui trascrive nel testo del ricorso solo la rubrica e non l’illustrazione, onde ne va rilevato il difetto di autosufficienza. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante Cass. n. 17049/2015) è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.

Infine, ed ad ogni buon conto, questa Corte ha affermato che l’omesso esame di una questione puramente processuale non integra il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto con riferimento alle domande ed eccezioni di merito, dovendosi escludere che l’omesso esame di un’eccezione processuale possa dare luogo a pronuncia implicita, idonea al giudicato (Cass. n. 6174/2018).

6. Il primo motivo è infondato.

6.1. Sostiene la ricorrente che l’atto transattivo del 16-9-1998 sia idoneo ad impegnare l’ANAS s.p.a. in quanto sottoscritto dal Capo Compartimento anche quale responsabile del procedimento. Tale atto è stato interpretato dalla Corte del merito come proposta di accordo bonario, soggetta a deliberazione dell’Amministrazione entro sessanta giorni (cfr. pag. n. rt4 sentenza impugnata).

6.2. La ricorrente, con diffuse ed articolate argomentazioni, assume che il responsabile del procedimento abbia la capacità negoziale di vincolare, con la propria sottoscrizione, l’ente all’osservanza e quindi all’adempimento degli obblighi assunti con il citato accordo.

In disparte ogni considerazione circa l’inconciliabilità di detta prospettazione con la natura meramente preparatoria dell’atto del 16.9.1998, quale accertata in sede di merito, anche detto assunto è privo di fondamento, come correttamente rimarcato nella sentenza impugnata. Nel vigore della norma del tempo disciplinante la composizione bonaria delle liti – L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 31-bis, comma 1 -, il responsabile del procedimento, lungi dal poter assumere qualsivoglia obbligo vincolante in nome dell’ente, poteva farsi solo interprete di una proposta di un accordo bonario da indirizzarsi all’ente, su cui questo avrebbe assunto le proprie determinazioni, eventualmente anche manifestando la propria approvazione, nei sessanta giorni successivi con provvedimento motivato. Il citato art. 31-bis prevede infatti che “il responsabile del procedimento acquisisce immediatamente la relazione riservata del direttore dei lavori e, ove costituito, dell’organo di collaudo e, sentito l’affidatario, formula all’amministrazione, entro novanta giorni dalla apposizione dell’ultima delle riserve di cui sopra, proposta motivata di accordo bonario. L’amministrazione, entro sessanta giorni dalla proposta di cui sopra, delibera in merito con provvedimento motivato. Il verbale di accordo bonario è sottoscritto dall’affidatario”. Essendo l’accordo bonario parificato alla transazione, devono applicarsi le regole proprie del codice civile e, per quanto attiene alla capacità dei soggetti, la legittimazione a transigere di cui all’art. 1966 c.c. deve essere coordinata con le regole proprie della competenza dei singoli organi della p.a. ad accettare l’accordo, legittimazione nella specie insussistente, sotto i molteplici profili di cui si è appena detto.

7. Il secondo motivo è fondato.

7.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, rimeditando le ragioni di un indirizzo esegetico tralatizio focalizzato sull’endiadi emendatio/mutatio mediante un’indagine intesa ad assicurare a ciascuna delle locuzioni figuranti nell’art. 183 c.p.c., comma 5, un autonomo ambito precettivo, in particolare distinguendo l’identità concettuale della categoria delle conclusioni precisate rispetto a quella delle conclusioni modificate, hanno affermato il principio secondo cui “la modificazione della domanda ammessa a norma, può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali” (Cass. S.U. n. 12310/2015). Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che “La vera differenza tra le domande “nuove” implicitamente vietate – in relazione alla eccezionale ammissione di alcune di esse – e le domande “modificate” espressamente ammesse non sta dunque nel fatto che in queste ultime le “modifiche” non possono incidere sugli elementi identificativi, bensì nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali lo modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali -, o, se si vuole, di domande diverse che però non si aggiungono a quelle iniziali ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a

queste, in un rapporto di alternatività.

In questo pertanto, secondo la disciplina positiva enucleabile dalla struttura dell’art. 183 c.p.c., sta tutto il loro non essere domande “nuove”, rispetto ad un divieto implicitamente ricavato dalla (e pertanto oggettivamente correlato alla) necessità espressa di prevedere l’ammissibilità di alcune specifiche domande “nuove” aventi la caratteristica di non essere alternative alla (o sostitutive della) domanda iniziale, ma di aggiungersi ad essa: in pratica, con la modificazione della domanda iniziale l’attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda (o, se si vuole, alla domanda siccome formulata nei termini precedenti alla modificazione), mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio”. In continuità con il suddetto indirizzo questa Corte ha di seguito ulteriormente chiarito che “La questione relativa alla novità, o meno, di una domanda giudiziale è correlata all’individuazione del bene della vita in relazione al quale la tutela è richiesta, per cui non può esservi mutamento della domanda ove si sia in presenza di un ipotetico concorso di norme, anche solo convenzionali, a presidio dell’unico diritto azionato, presupponendo il cambiamento della domanda la mutazione del corrispondente diritto, non già della sua qualificazione giuridica. Ne consegue che se l’attore invoca, a fondamento della propria pretesa, un presidio normativo ulteriore rispetto a quello originariamente richiamato, fermi i fatti che ne costituiscono il fondamento, ciò non determina alcuna “mutati libelli”, restando invariato il diritto soggettivo del quale è richiesta la tutela” (Cass. n. 9333/2016).

7.3. L’impugnata sentenza non si è attenuta ai suddetti principi di diritto per aver giudicato, come già quella di primo grado, nuove, rispetto alla domanda azionata in sede monitoria che traeva fondamento dalla pretesa scrittura transattiva datate 16.9.1998, le domande, alternative rispetto a quella monitoria, con cui l’impresa, in replica alla proposta opposizione, aveva chiesto che Anas fosse condannata al pagamento delle somme pretese a fronte delle riserve iscritte nella contabilità dell’appalto e al risarcimento del danno che il denunciato inadempimento dell’ente appaltante le aveva cagionato.

Tanto in sede ricorso per l’ingiunzione, quanto in sede di memoria ex art. 183 c.p.c. l’impresa aveva rappresentato che “a causa di ritardi e lungaggini anche giuridiche nelle procedure espropriative necessarie e della presenza di ostacoli fisici al normale svolgimento dei lavori (presenza di condotte idriche e di linee elettriche e telefoniche lungo tracciati stradali oggetto di scavo e sbancamento) l’impresa CO.CE.MER ha dovuto immediatamente iscrivere nei registri di contabilità delle riserve per numerose categorie di lavori” e “di spiegare su quali lavori si basava il credito oggetto della ingiunzione e cioè su quelli analiticamente descritti nei registri contabili dell’impresa relativamente all’anno 1993 per effetto di ulteriori e specifici costi dedotti nelle riserve 1 e 2 tempestivamente iscritte”.

Il giudice d’appello ha affermato che le anzidette domande, integrando una causa petendi diversa da quella che connota la domanda oggetto del ricorso monitorio, fossero nuove e perciò non ammissibili.

E se è bensì vero che il perimetro del giudizio di cognizione che fa seguito all’opposizione a decreto ingiuntivo si identifica con quello della domanda monitoria, è altrettanto vero che il principio va coniugato con il mutato assetto che la materia è venuta a prendere di seguito all’arresto di cui alla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 12310/2015.

Nella specie le domande proposte in via subordinata dall’opposta, ad esclusione di quella, formulata in estremo subordine, relativa alla corresponsione delle somme di cui alla nota 1.6.2001, oggetto del terzo motivo di gravame e di cui si dirà nel paragrafo che segue, sono indubitabilmente connesse alla medesima vicenda sostanziale che ha dato luogo al decreto ingiuntivo, come l’odierna ricorrente ha documentato anche ai fini dell’autosufficienza del ricorso. Esse traggono infatti titolo dal pregresso rapporto di appalto, proprio come quella trasfusa nel ricorso per ingiunzione, e sono entrambe intese a rimarcare l’efficacia vincolante per la stazione appaltante degli obblighi assunti con riferimento a quel rapporto. Dette domande non possono pertanto considerarsi nuove, alla stregua del richiamato arresto delle Sezioni Unite, anche in considerazione del fatto che si presentano connesse rispetto alla domanda monitoria in quanto formulate in via alternativa rispetto alla conferma di essa, sicchè il diverso convincimento fatto proprio dal giudice d’appello si rivela errato e meritevole perciò di doverosa cassazione.

8. Il terzo motivo non è fondato.

8.1. La società ricorrente assume che la proposta di cui alla lettera di Anas dell’1-6-2001, con la quale veniva offerto il compenso omnicomprensivo di Lire 2.900.000.000, oltre Iva come per legge, “a piena e definitiva tacitazione di ogni domanda, riserva o pretesa in qualsiasi forma e per qualsiasi titolo avanzata in dipendenza dei lavori in argomento”, si configuri come riconoscimento di debito, e non quale nuova proposta transattiva, come ritenuto dalla Corte territoriale. Di conseguenza sostiene la ricorrente che la domanda, formulata in estremo subordine in sede di memoria ex art. 183 c.p.c. sulla base di quella qualificazione, erroneamente sia stata considerata nuova dalla Corte territoriale, e quindi inammissibile.

La Corte del merito ha interpretato l’atto dell’1/6/2001 come una proposta transattiva e tale accertamento, che non è stato impugnato per violazione dei canoni interpretativi, non è qui diversamente valutabile, essendo l’interpretazione degli atti negoziali in via esclusiva al giudice del merito.

9. Dall’accoglimento del secondo motivo consegue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà, anche, a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta gli altri, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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