Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17790 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/08/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 26/08/2020), n.17790

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16678-2014 proposto da:

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PADRE SEMERIA 33, presso lo

studio dell’avvocato DI MAURO FRANCESCO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati GIANDOMENICO

CATALANO e LORELLA FRASCONA’, che lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 661/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 18/12/2013 R.G.N. 685/2013.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1.La Corte d’appello di Genova, in riforma della sentenza del Tribunale, ha rigettato l’opposizione proposta dall'(OMISSIS) avverso il verbale di accertamento dell’Inail e la richiesta di pagamento del premio in relazione al presidente ed al vicepresidente dell’Associazione, entrambi associati.

La Corte ha osservato che il socio di associazione non riconosciuta, il quale abbia compiti operativi percependo un compenso, doveva ritenersi rientrare nell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 4, n. 7, che riguarda le società anche di fatto, alle quali andavano assimilate appunto le associazione non riconosciute che gestiscono un’attività mantenendosi con le quote degli associati.

La Corte ha, altresì, esposto che sussistevano le condizioni di esposizione a rischio infortuni; che le attività svolte nella palestra rientravano nel concetto ampio di sport; che la finalità sportiva dilettantistica doveva essere perseguita con modalità tali da far emergere l’assenza di interessi economici lucrativi o di guadagno; che nella specie mancava la prova che l’attività fosse svolta solo a favore di appartenenti all’associazione, ma anzi al punto 3 dello statuto si faceva riferimento ai proventi derivanti da attività economica; che in sede ispettiva il M. aveva parlato di clienti e che tutta la disciplina

agevolativa a favore delle associazioni sportive dilettantistiche era inapplicabile.

2. Avverso la sentenza ricorre l’Associazione con due motivi. Resiste l’Inail.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3.Con il primo motivo l’Associazione denuncia violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 4, n. 7; degli artt. 12 e 14 preleggi; della L. n. 289 del 2002, art. 90; del D.L. n. 207 del 2008, art. 35, comma 5.

Deduce che l’associazione non riconosciuta esercente attività sportivo dilettantistica e la società di fatto erano fenomeni distinti onde non era applicabile, neppure in via analogica stante la diversità di ratio, la previsione del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 4, comma 7. Lamenta, pertanto, che la Corte ha fatto ricorso all’analogia senza considerare che la disciplina della associazioni dilettantistiche non prevede l’obbligo assicurativo ed il pagamento della contribuzione previdenziale.

Richiama le norme del TUIR ed altre norme che qualificano come “redditi diversi”, e non come assimilati al lavoro dipendente e dunque esenti dai contributi previdenziali, i compensi erogati dalle associazioni sportive dilettantistiche agli associati per attività di formazione, didattica, preparazione e assistenza all’attività sportivo dilettantistica. Osserva che lo svolgimento di attività amministrativa e gestionale (quale apertura e chiusura dei locali, loro pulizia, manutenzione, acquisto attrezzature, pubblicità pagamento delle utenze ed incasso delle quote associative) degli associati individuati dagli ispettori erano riconducibili a quelle indicate dalla L. n. 289 del 2008, art. 90 che ha esteso il trattamento di favore per le associazioni dilettantistiche.

4. Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione. La natura non dilettantistica era stata desunta solo da alcune affermazioni contenute nello statuto senza procedere ad alcun accertamento istruttorio.

5. Il ricorso deve essere rigettato.

6. Le censure della ricorrente sono sostanzialmente fondate, in particolare con riferimento al primo motivo, sulla ritenuta natura di associazione sportiva dilettantistica.

Questa Corte ha avuto modo di specificare (cfr Cass. 11492/2019) “sia pure ad altri fini che in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111 (ora art. 148) in favore delle associazioni non lucrative dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica), ma dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato del tutto estrinseco e neutrale dell’affiliazione alle federazioni sportive ed al Coni” (Cass. n. 10393 del 30/04/2018; Cass. n. 16449 del 05/08/2016). E’ stato anche chiarito che “Affinchè un’associazione sportiva dilettantistica possa beneficiare delle agevolazioni fiscali previste in materia di IVA e di IRPEG, rispettivamente, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, e dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 111, non è sufficiente la sua astratta sussumibilità in una delle categorie previste da tali norme, ma è necessario che essa dia prova di svolgere la propria attività nel pieno rispetto di tutte le prescrizioni imposte da esse” (Sez. 5, Sentenza n. 8623 del 30/05/2012).

7. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha negato la natura di associazione dilettantistica della ricorrente riconoscendole la natura di una normale associazione con fine di lucro e,dunque, sottratta a tutta la normativa e facilitazioni previste per le associazioni senza fine di lucro.

La Corte d’appello, infatti, dopo aver affermato che “la finalità sportiva dilettatistica deve essere perseguita con modalità tali da far emergere l’assenza di interessi economici lucrativi o più genericamente di guadagno patrimoniale sottesi all’attività stessa ” e che “ciò in particolare, com’ è nel caso di specie, nell’ambito di organizzazioni che si occupino di attività di mera cura dell’esercizio fisico come tali gestibili anche in forma spiccatamente commerciale”, ha stabilito che nella fattispecie mancava la prova che l’attività fosse svolta solo a favore di appartenenti all’associazione, ma anzi al punto 3 dell’atto costitutivo si faceva riferimento a proventi derivanti da attività economiche; che in sede di dichiarazioni rese in sede ispettiva il M. aveva parlato di clienti e che in definitiva era irrilevante che lo statuto definisse l’attività senza fine di lucro.

8. La Corte territoriale ha verificato se, in concreto, l’attività svolta dall’Associazione fosse o meno di natura “sportiva dilettantistica” ed ha concluso, con accertamento in fatto, negando tale carattere.

9.Avverso tale aspetto della sentenza la ricorrente ha denunciato l’esistenza di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5 di insufficiente e contraddittoria motivazione.

Le censure ex art. 360 c.p.c., n. 5 risultano, tuttavia, inammissibili non presentando alcuno dei requisiti richiesti dalla norma citata nella sua nuova formulazione (così come interpretata da SU n. 8053 del 07/04/2014 ed applicabile ratione temporis essendo l’impugnata sentenza stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012). Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, infatti, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). La ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti.

Il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

10.Nella fattispecie in esame la Corte ha fornito una ricostruzione del fatto e le censure della ricorrente non evidenziano neppure fatti o documenti non valutati dalla Corte territoriale che, qualora esaminati, avrebbero consentito di pervenire a diverse conclusioni.

Le censure risultano,infatti, pur attraverso la formale denuncia della violazione di diverse disposizioni codicistiche, sostanzialmente intese a sollecitare una rivisitazione del quadro probatorio, inibita a questa Corte in presenza di una congrua e non illogica valutazione dello stesso da parte del giudice di merito.

11.Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese processuali.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e accessori di legge, nonchè Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

 

 

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