Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17787 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. I, 03/07/2019, (ud. 20/09/2018, dep. 03/07/2019), n.17787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

P.S., P.R. e P.F., elettivamente

domiciliati in Roma, via Denza 50/A, presso lo studio dell’avv.

Nicola Laurenti, rappresentati e difesi, giusta procura a margine

del ricorso, dall’avv. Vittorio Cavalcanti (p.e.c.

vittorio.cavalcanti.pec.giuffre.it);

– ricorrenti –

nei confronti di:

Comune di Rende, elettivamente domiciliato in Roma, via Appia Nuova

103, presso lo studio dell’avv. Gabriella Arcuri, rappresentato e

difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. Teresa

Maria Faillace che dichiara di voler ricevere le comunicazioni

relative al processo alla p.e.c. avvteresamariafaillace.cnfpec.it

e/o al fax n. 0984.1860587;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 235/13 della Corte di appello di Catanzaro,

emessa il 29 gennaio 2013 e depositata il 19 febbraio 2013, n.

918/2002 R.G.;

sentita la relazione in camera di consiglio del Cons. Dr. Giacinto

Bisogni;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. I sigg.ri P. hanno agito, con citazione del 2 marzo 1992, nei confronti del Comune di Rende chiedendo la sua condanna al risarcimento dei danni provocati con l’occupazione illegittima di una loro proprietà sulla quale era stata realizzata una strada senza che fosse mai stata portata a termine la procedura espropriativa e senza che fosse stata pagata alcuna indennità.

2. Si è costituito il Comune eccependo la prescrizione del diritto al risarcimento e la mancata esibizione del titolo di proprietà del terreno oltre che la mancanza di circostanze concrete a sostegno della richiesta risarcitoria.

3. Con sentenza del 24 settembre 2001 il Tribunale di Cosenza accogliendo per quanto di ragione la domanda degli attori ha condannato il Comune di Rende al pagamento della somma di 195.000.000 di lire, somma da rivalutarsi all’attualità dal 1 gennaio 1997 alla data della sentenza (24 settembre 2001), secondo indici ISTAT, con gli interessi sulla somma via via rivalutata dal 1997 al 24 settembre 2001 e con gli interessi legali fino al soddisfo.

4. Hanno proposto appello i sigg.ri P., con atto notificato il 24 settembre 2002 con un unico motivo con il quale hanno censurato la sentenza in punto liquidazione del danno per avere il primo giudice posto a base del proprio convincimento la determinazione dell’indennità di espropriazione eseguita il 1990 dalla Commissione provinciale espropri che ha stimato in lire 26.000 al mq. il valore del terreno di cui è causa, pertanto – hanno rilevato gli appellanti – il Tribunale è pervenuto a ritenere che “l’indennità di esproprio e quella di occupazione con i relativi interessi e rivalutazione monetaria sino a tutto il 1996, giusto quanto valutato dal consulente di parte è di lire 195.000.000, somma da rivalutarsi all’attualità dal 1997 alla data della presente sentenza”. Hanno evidenziato gli appellanti che il terreno non era mai stato fatto oggetto di valutazione da parte della Commissione provinciale espropri e non risultava nè prodotto dalle parti nè acquisito agli atti un verbale di stima. La valutazione – hanno comunque affermato gli appellanti – doveva ritenersi errata “in quanto il G.O.A. era andato di contrario avviso rispetto alle determinazioni del proprio consulente tecnico (che aveva ravvisato la natura edificatoria del terreno ed assegnato un valore di mercato di gran lunga superiore) senza indicare le specifiche ragioni del dissenso. Nè si era tenuto conto della valutazione operata in altro giudizio da altro CTU che aveva attribuito a un terreno con caratteristiche analoghe un valore di mercato al metro quadrato di gran lunga superiore che era stata recepito nella sentenza della Corte di appello di Catanzaro.

5. La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 235/2013, ha respinto l’appello rilevando quanto segue. La proprietà P. è stato oggetto di due diverse occupazioni con ultimazione dei lavori in date diverse. La prima con ultimazione dei lavori oltre la scadenza dell’occupazione legittima e la seconda con ultimazione in costanza di occupazione legittima. In nessuno dei due casi era stato emesso il decreto definitivo di esproprio. L’intero terreno era soggetto a vincolo conformativo (verde pubblico attrezzato destinato a edilizia scolastica e sede stradale) che ne determinava l’inedificabilità. Il CTU nominato in appello ha confermato l’occupazione effettiva di aree interessate da vincoli conformativi.

Quanto alla stima del valore la Corte di appello ha rilevato che dalla CTU esperita nel corso del giudizio di appello emerge l’assenza di potenziali o effettive destinazioni intermedie fra quella agricola e quella edificatoria, tali da elevare il valore del terreno rispetto alla stima calcolata in base al cd. VAM. Peraltro, mentre la stima effettuata dal CTU, indipendentemente da tale criterio, dà un risultato sostanzialmente sovrapponibile a quello raggiunto in base al VAM, la stima recepita dal Tribunale, basata sulla stima della Commissione espropri e sulla attualizzazione del consulente di parte, è di molto superiore a quella del CTU. La Corte di appello, in definitiva, rilevando l’assenza di appello incidentale da parte del Comune sulla stima recepita dal Tribunale nonchè la infondatezza delle censure degli appellanti relative alla stima del valore di mercato del bene e, infine, la mancanza di motivi di gravame degli appellanti sulle poste accessorie e sulla loro decorrenza, ha ritenuto di dover confermare integralmente la sentenza di primo grado.

6. Ricorrono per cassazione i sigg.ri P. affidandosi a quattro motivi di ricorso e depositando memoria difensiva.

7. Si difende con controricorso il Comune di Rende.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

8. Con il primo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo e cioè il carattere usurpativo della occupazione che comporta la risarcibilità per la perdita del terreno secondo l’effettiva valutazione sul mercato immobiliare.

9. Il motivo è inammissibile, alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. S.U. n. 8053 del 7 aprile 2014) che fissa in maniera rigorosa il campo di applicazione della norma e le modalità di deduzione del fatto rilevante che sia stato oggetto di omesso esame. I ricorrenti con il primo motivo non deducono in realtà un fatto oggetto di omessa valutazione da parte della sentenza impugnata ma contestano la qualificazione giuridica della occupazione da parte della Corte di appello che per effetto della asserita inesistenza di una valida dichiarazione di pubblica utilità si sarebbe dovuta ritenere usurpativa. Si tratta pertanto di una censura inammissibile e che spende argomenti difensivi mai proposti in precedenza per come risulta dalla lettura della sentenza impugnata e per come è stato eccepito con il controricorso dal Comune.

10. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell’art. 2043 c.c. e segg. in relazione al testo unico espropriazioni (art. 32, art. 37, commi 4, 5, 6 e art. 42 bis e 40 secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale n. 181/2011). Con lo stesso motivo di ricorso si censura altresì la erronea qualificazione del vincolo esistente sull’area per cui è causa come conformativo anzichè espropriativo e la omessa motivazione sul giudicato interno formatosi sulla qualificazione urbanistica dell’area ablata come zona di espansione C.

11. Il motivo è infondato. Le occupazioni non sono usurpative perchè sono iniziate con l’apertura del procedimento espropriativo cui non è seguita successivamente la emanazione del decreto definitivo di esproprio. Come gli stessi ricorrenti riconoscono tuttavia la distinzione fra occupazione usurpativa e acquisitiva ha perso un interesse concreto ai fini della determinazione del valore (cfr. Cass. civ. sez. 1, n. 12961 del 24 maggio 2018). Nel caso in esame peraltro è determinante rilevare che la Corte di appello ha preso atto della mancata impugnazione da parte del Comune del valore determinato in primo grado ben superiore alla stima operata dal CTU, nominato nel corso del giudizio di appello, che, dopo aver identificato il valore agricolo della proprietà dei sigg.ri P., ha verificato la utilizzabilità in concreto dell’area secondo i criteri della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. 28 maggio 2004 n. 10280) che consentivano la dimostrazione della possibilità di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo.

La contestazione dei ricorrenti non coglie pertanto la ratio decidendi della decisione impugnata fondata sulla presa d’atto di una determinazione, in primo grado, del valore delle porzioni di terreno occupato, secondo valori del tutto superiori a quelli indicati dal CTU e ritenuti dalla Corte di appello pienamente integrativi di una valutazione in funzione risarcitoria della perdita della proprietà salva una diversa ma non dimostrata entità del danno da parte degli odierni ricorrenti e, parallelamente, in mancanza di una impugnazione incidentale da parte del Comune.

12. Il motivo oltre ad apparire non rilevante rispetto

alla indicata ratio decidendi è comunque infondato perchè la qualificazione del vincolo appare corretta alla luce della giurisprudenza secondo cui il vincolo è conformativo ove mediante esso si provveda ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche (cfr. Cass. civ. sez. 1, ordinanza n. 16084 del 18 giugno 2018). La Corte di appello sulla base delle indagini peritali che hanno verificato come il Comune di Rende si fosse dotato nel 1969 di un P.R.G. approvato con decreto del Ministro dei LL.PP. del 23 giugno 1971 ha ritenuto la conformatività del vincolo (di destinazione in parte a verde pubblico attrezzato, e destinato a Centro Scolastico Superiore, e in parte a sede stradale) da cui erano interessate in base a tale piano urbanistico le zone oggetto della domanda risarcitoria.

13. Con il terzo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo ed erroneità della sentenza per non aver considerato il profilo del momento di consumazione della perdita della proprietà e della decorrenza dell’occupazione in funzione delle caratteristiche usurpative dell’occupazione.

14. Si è già detto con riferimento alla caratteristica non usurpativa della occupazione che la dichiarazione di pubblica utilità e la apertura del procedimento espropriativo relativamente alle porzioni di proprietà P. rendono infondata la pretesa qualificazione usurpativa del terreno e ciò basterebbe a far ritenere infondato il motivo che, però e in primo luogo, è anche inammissibile perchè la liquidazione onnicomprensiva operata dal Tribunale, come risulta dallo stesso atto di appello citato nella parte espositiva della sentenza impugnata, includeva anche la indennità di occupazione. Sul punto come si è accennato la Corte di appello ha rilevato che nessuna contestazione era stata mossa con l’atto di appello se non quanto al valore al metro quadrato da attribuire alla proprietà occupata sulla base di una asserita, ma contestata specificamente nella motivazione di appello, edificabilità del terreno.

15. Con il quarto motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo ed erroneità della sentenza per non aver disposto in ordine alla richiesta di applicazione degli interessi legali quale componente risarcitoria ovvero indennitaria per il periodo precedente il momento della perdita della proprietà.

16. Il motivo è inammissibile perchè per un verso non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata che ha riscontrato, come si è detto, la onnicomprensività della liquidazione recepita dal Tribunale. Il primo giudice, partendo dalla stima del 1990 e dal riconoscimento, da tale periodo, di rivalutazione e interessi, ha quantificato, sulla base dei calcoli peritali, l’intero credito vantato dagli attori, a tutto il 1996, in 195.000.000 di lire e ha riconosciuto rivalutazione e interessi legali sulla somma via rivalutata dal 1.1.1997 alla data della sentenza. Per altro verso i ricorrenti non contestano specificamente l’affermazione della Corte di appello secondo cui nessun motivo di gravame è stato tempestivamente proposto avverso le statuizioni del Tribunale su poste accessorie e loro decorrenza mentre una non motivata richiesta di attribuzione di una diversa decorrenza degli interessi, segnatamente dal 1992 quanto al risarcimento e dal 1980, quanto alla occupazione, è stata proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni. Il motivo deve ritenersi in ogni caso infondato perchè la decorrenza degli interessi, sulla somma liquidata a titolo risarcitorio, è stata correttamente fissata a partire dalla domanda e non dalla occupazione in conformità alla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 12961/2018 citata).

17. Il ricorso, in definitiva, deve essere respinto con condanna al pagamento delle spese del giudizio di cassazione e distrazione a favore dell’avv. Fallace antistataria. Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 7.200 Euro oltre spese forfettarie e accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Teresa M. Faillace antistataria.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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