Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17785 del 30/07/2010

Cassazione civile sez. II, 30/07/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 30/07/2010), n.17785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.D., G.M., A.G., tutti

elettivamente domiciliati in Roma, via Celimontana n. 38, presso lo

studio dell’Avvocato Panariti Paolo, dal quale sono rappresentati e

difesi, unitamente all’Avvocato Claudio Previdi, per procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.A.G., G.S., elettivamente

domiciliate in Roma, via Camozzi n. 1, presso lo studio dell’Avvocato

Giuffre’ Adriano, dal quale sono rappresentate e difese, unitamente

all’Avvocato Elisa Barbini, per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 506/07,

depositata in data 17 marzo 2008;

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27 aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. PETITTI Stefano.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che G.D., G.M. e A.G. hanno impugnato per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Bologna, depositata in data 17 marzo 2008, con la quale e’ stato rigettato il gravame da essi proposto avverso la sentenza del Tribunale di Modena in data 10 luglio 2004, che, nel giudizio promosso da A.A.G. per la revocatoria di due atti di disposizione patrimoniale posti in essere da G.D. in favore di A.G. e di un atto in favore di G. M. – giudizio nel quale era intervenuta G.S. – aveva accolto la domanda ex art. 2901 c.c., dichiarando inefficaci nei confronti dell’attrice e dell’interveniente i tre atti di disposizione patrimoniale posti in essere da G.D.;

che al ricorso, affidato a tre motivi, hanno resistito le intimate;

che, con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 3, con riferimento alla interpretazione e ricostruzione giuridica operata dalla Corte d’appello del trasferimento immobiliare a favore di A.G., della cessione alla stessa del 50% delle quote della Vega Ceramiche Artistiche s.r.l. e della costituzione, a titolo gratuito, in favore di G.M., del diritto di usufrutto su un immobile sito in (OMISSIS);

che, quanto agli atti dispositivi in favore di A.G., si assume che detti atti costituivano pagamento, da parte di G. D., di un debito sorto sin dal maggio 1998 nei confronti della A., e quindi preesistente all’asserito credito in favore di A.A.G.;

che, con riferimento al capo di sentenza relativo a tali atti dispositivi, i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto:

SDica la Suprema Corte di cassazione se una dazione in pagamento di un debito preesistente e scaduto costituisca un pagamento irrevocabile ex art. 2901 c.c., comma 3“;

che, quanto all’atto dispositivo in favore di G.M., i ricorrenti sostengono che lo stesso costitui’ pagamento, da parte di G.D., di un debito sorto sin dal 1977 nei confronti del fratello M., e quindi preesistente all’insorgenza del preteso credito della A., e formulano il seguente quesito di diritto : Dica la Suprema Corte di cassazione se una dazione in pagamento di un debito preesistente e scaduto, di beni aventi un valore inferiore al debito cosi’ estinto, costituisca un pagamento irrevocabile ex art. 2901 c.c., comma 3;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), con riferimento all’avvenuto pagamento in corso di causa del credito fondante l’azione revocatoria ordinaria, alla luce della mancata indicazione e precisazione del credito nei termini di legge e assegnati giudizialmente;

che i ricorrenti sostengono che l’attrice non aveva ottemperato all’onere di precisare, quanto meno in sede di precisazione delle conclusioni, l’importo del proprio credito nei confronti di G.D. e formulano i seguenti quesiti di diritto: Dica la Suprema Corte di cassazione se il pagamento del credito per cui e’ stata introdotta un’azione revocatoria ordinaria, effettuato nel corso del relativo giudizio, legittimi l’accoglimento dell’azione revocatoria medesima e Dica la Suprema Corte di cassazione se la mancata precisazione del credito per omesso pagamento di assegno di mantenimento nel termine assegnato al fine dal Giudicante, ovvero in sede di precisazione delle conclusioni, legittimi l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria fondata su detto credito;

che, con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione dell’art. 267 c.p.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con riferimento all’intervento nel giudizio di prime cure da parte di G.S.;

che i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’appello non abbia dichiarato inammissibile l’intervento sul rilievo che l’atto di intervento era stato depositato in cancelleria prima della loro costituzione nel giudizio di merito e non era ad essi stato notificato;

che i ricorrenti formulano quindi il seguente quesito di diritto:

Dica la Suprema Corte di cassazione se il terzo interveniente volontario in giudizio, per realizzare la regolare instaurazione del contraddittorio nei confronti di una parte del giudizio non ancora costituita, debba notificare a detta parte non costituita il proprio atto d’intervento, contenente domande avanzate anche nei confronti di questa, ovvero se al fine non sia sufficiente il deposito in giudizio del proprio atto di intervento;

che le controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilita’ del ricorso sia per inidoneita’ della formulazione dei quesiti, sia per mancanza di specifiche censure sulle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata in ordine alle decisioni oggetto di censura; sia, con riferimento al secondo motivo, per la formulazione in unico contesto di censure di violazione di legge e di vizio di motivazione;

che, avviatasi la procedura ex art. 380 bis c.p.c., il consigliere delegato, ha depositato la relazione che e’ stata comunicata alle parti e al Pubblico Ministero.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il relatore designato, nella relazione depositata in data 25 febbraio 2010, ha formulato la seguente proposta di decisione:

“Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, essendo il ricorso manifestamente inammissibile, per la non rispondenza dei quesiti formulati a conclusione dei motivi di ricorso ai requisiti stabiliti dall’art. 366-bis cod. proc. civ., nella interpretazione ad esso data dalla giurisprudenza di questa Corte.

In particolare, i primi due quesiti, formulati a conclusione del primo motivo, si presentano come un astratto interrogativo, privo di specifico riferimento alla decisione impugnata e alla difformita’ denunciata.

I quesiti conclusivi del secondo motivo, oltre ad essere relativi a censure di violazione di legge e di vizio di motivazione formulate in un unico contesto, si presentano astratti e privi di qualsiasi collegamento con le ragioni svolte nella sentenza impugnata a sostegno della reiezione dei motivi di gravame con i quali gia’ erano state prospettate le medesime questioni.

Il quesito formulato a conclusione del terzo motivo, infine, al pari dei primi due, consiste in un mero interrogativo rivolto alla Corte disgiunto da qualsiasi riferimento alla diversa soluzione data al quesito dalla Corte d’appello e dalle ragioni addotte nella sentenza impugnata per respingere la relativa eccezione (ragioni neanche riportate nella esposizione del motivo)”;

che il Collegio condivide la proposta di decisione formulata dal Consigliere delegato, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta;

che si deve solo precisare come le argomentazioni svolte dai ricorrenti non ottemperano non solo alle indicazioni relative alla formulazione dei quesiti di diritto, ma addirittura al requisito di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, poiche’ non si dimostrano i denunziati errori di diritto e non si prospetta la discrasia tra i principi applicati dalla Corte d’appello e quelli dei quali si chiede l’affermazione;

che il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido tra loro al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2010

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