Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17785 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. II, 26/08/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 26/08/2020), n.17785

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1624/2016 R.G. proposto da:

T.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Achille Palermo

del foro di Catania, con domicilio eletto in Roma, presso lo studio

dell’Avv. Pier Luigi Tiberio viale Vittorio Veneto n. 227;

– ricorrente –

contro

STYLE s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Catania n.

1411/2014 depositata il 28 ottobre 2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 dicembre

2019 dal Consigliere Dr. Milena Falaschi.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con decreto ingiuntivo n. 85/2005, notificato il 14.06.2005, ed emesso dal Tribunale di Catania – Sezione distaccata di Paternò in favore della STYLE s.p.a., veniva ingiunto ad T.A. il pagamento della somma di Euro 8.185,27 a titolo di saldo del corrispettivo pattuito per la fornitura di porte;

– avverso il decreto l’ingiunta proponeva opposizione, con atto notificato in data 22 luglio 2005, deducendo che la fattura posta a fondamento del ricorso in monitorio indicava un importo superiore rispetto a quello della merce realmente commissionata per complessivi Euro 5.936,20, e richiamando l’ordine di commissione in atti, disconosciuta la firma apposta sulla fattura emessa per il maggiore importo preteso. Inoltre denunciava che le porte commissionate risultavano difettose già al momento della loro consegna, per cui svolgeva domanda di risoluzione del contratto, con conseguente condanna della società opposta alla restituzione dell’acconto versato di Euro 1.500,00;

– instaurato il contraddittorio, nella resistenza della STYLE s.p.a., il giudice adito, espletata c.t.u. calligrafica ed assunta prova testimoniale, con sentenza n. 38/2010 del 19.03.2010, in accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e in accoglimento della riconvenzionale, disponeva la restituzione dell’acconto versato;

– in virtù di rituale appello interposto dalla STYLE s.p.a., la Corte di appello di Catania, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 1411/2014, in riforma della decisione del giudice di prime cure, respingeva la domanda riconvenzionale della T. e la condannava al pagamento di Euro 6.684,32, ritenendo che le richieste istruttorie formulate da parte opponente, rigettate in un primo momento e poi ammesse dal giudice di primo grado, dovevano invece essere ritenute implicitamente rinunciate per avere la parte interessata chiesto solo un rinvio per conclusioni, senza formulare alcuna richiesta rispetto all’ordinanza istruttoria. Con la conseguenza che non poteva essere accolta la domanda riconvenzionale per avere l’appellata dimostrato la tempestività della denuncia per vizi sulla base di una prova inficiata da nullità. Sul quantum, rilevava che dalle prove esperite risultava che oltre all’oggetto dell’originaria commissione, erano stati forniti una porta ed un capitello in più. In tal senso provvedeva al ricalcolo dell’importo dovuto;

– per la cassazione del provvedimento della Corte di appello di Catania ricorre la T., sulla base di due motivi;

– è rimasta intimata la STYLE s.p.a..

Atteso che:

– con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115,116,156 e 177 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., per nullità del procedimento ed omessa o insufficiente motivazione, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte distrettuale pronunciato la nullità della prova testimoniale assunta per avere la opponente, che le aveva articolate, implicitamente rinunciato alle stesse per non avere impugnato l’ordinanza che le aveva originariamente rigettate, sebbene poi ammesse in un secondo momento ed espletate, limitandosi ad una richiesta di mero rinvio per la precisazione delle conclusioni. La Corte di merito, ad avviso della ricorrente, così ragionando avrebbe posto un onere a suo carico non previsto dalla legge.

Con il secondo motivo la ricorrente insiste nella violazione e nella falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., art. 156 c.p.c., u.c., artt. 157 e 244 c.p.c. e art. 2697 c.c., comma 1, nonchè nell’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 per non avere considerato la corte di merito che la prova era stata ammesso ed espletata nella totale acquiescenza di parte opposta e ciò nonostante aveva ritenuto rinunciata dall’opponente la prova articolata ammessa ed espletata.

I due motivi – da trattare unitariamente per la evidente connessione che li avvince, trattando entrambi la medesima questione della legittimità o meno della ritenuta rinuncia alle prove da parte dell’originaria opponente – sono manifestamente fondati e con essi il ricorso.

Ad avviso della ricorrente la corte distrettuale si sarebbe discostata dalla giurisprudenza di legittimità, ritenendo revocabile d’ufficio l’ammissione della prova testimoniale, nonostante la parte convenuta non avesse formulato l’eccezione d’inammissibilità, al più tardi proponibile dopo il relativo espletamento, così dando luogo alla sanatoria della nullità della prova, nè chiesto detta revoca in sede di precisazione delle conclusioni. Per orientamento costante di questa Corte “la mancata proposizione del reclamo, ai sensi dell’art. 178 c.p.c., avverso un’ordinanza istruttoria concernente l’ammissione o l’espletamento delle prove, non impedisce alla parte interessata di dolersene davanti al collegio quando questo sia investito di tutta la causa ai sensi del successivo art. 189, sempre che, in sede di conclusioni definitive, abbia richiesto la revoca di detta ordinanza, restando in caso contrario preclusa al collegio la decisione in ordine all’ammissibilità della prova, con l’ulteriore conseguenza che la cennata questione non può neanche essere proposta in sede di impugnazione” (tra le altre v. Cass. n. 8162 del 2012; Cass. n. 16993 del 2007; Cass. n. 7055 del 2004; Cass. n. 12280 del 2000). Tale principio, non superato da successive pronunzie di segno contrario e condiviso da questo collegio, in quanto derivante dalla combinazione tra quelli, più generali, della domanda e della tempestiva deducibilità delle nullità, comporta che nel caso di specie, in cui la parte convenuta (che era la società opposta) non si era avvalsa del reclamo ex art. 178 c.p.c., diretto ad invalidare la prova ammessa nonostante la propria opposizione (neppure chiesto in sede conclusionale, come pure la revoca dell’ordinanza ammissiva), non avrebbe potuto il giudice di primo grado dichiarare di ufficio l’inammissibilità dell’espletato mezzo istruttorio, ormai irrevocabilmente entrato nel processo, con conseguente impossibilità anche da parte di quello di appello di rimetterlo in discussione.

Nella specie è la stessa sentenza a ricordare che all’udienza di precisazione nessuna delle parti aveva formulato istanza di gravame avverso l’ordinanza ammissiva delle prove in un primo momento respinte, limitandosi a confermare le conclusioni già rassegnate nei rispettivi atti introduttivi del giudizio.

A tal fine, però, va rilevato che la sola parte che poteva richiedere la revoca di detta ordinanza era la società opposta, restando in caso contrario preclusa al collegio (o al giudice unico, nel caso di causi che devono essere decise dal tribunale in composizione monocratica) la decisione in ordine all’ammissibilità della prova, con l’ulteriore conseguenza che la cennata questione non poteva neanche essere proposta in sede di impugnazione (Cass. 23 marzo 2017 n. 7472; cfr. pure, ad es.: Cass. 14 giugno 2001, n. 8063).

L’appellante non poteva dunque dolersi del fatto che il primo giudice non avesse rilevato la dedotta nullità della prova testimoniale.

A torto la Corte distrettuale ha statuito che la prova testimoniale fosse stata posta a fondamento della decisione del giudice di prime cure nonostante la irritualità della medesima.

L’accoglimento dei due motivi comportano, conclusivamente, la cassazione della sentenza impugnata per avere ritenuto che la prova testimoniale era inammissibile; sicchè, essendo rimasta confermata la regolare acquisizione delle prove, il giudice del rinvio dovrà riesaminare le domande delle parti, monitoria/principale e riconvenzionale, valutando le prove orali, ormai irrevocabilmente entrate nel processo, ed ogni altro utile elemento acquisito.

Il regolamento delle spese del presente giudizio, infine, va rimesso al giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della corte di provenienza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di appello di Catania.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

 

 

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