Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17783 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 28/03/2017, dep.19/07/2017),  n. 17783

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3330-2012 proposto da:

(OMISSIS) SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESARE FEDERICO

GLENDI;

– ricorrenti –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 166/2010 della COMM.TRIB.REG. di L’AQUILA,

depositata il 14/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/03/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

La società (OMISSIS) s.r.l. acquistava dalla società (OMISSIS) s.p.a. diverse porzioni immobiliari, di cui alcune destinate ad abitazione, altre ad uso commerciale, assoggettando l’atto di trasferimento al regime applicativo dell’IVA ed ad imposta fissa di registro, ipotecaria e catastale. L’Agenzia delle Entrate notificava al notaio rogante, nella qualità di responsabile di imposta T.U. n. 131 del 1986, ex art. 57 un avviso di liquidazione per il pagamento delle imposte proporzionali di registro, ipotecaria e catastale, che veniva annullato dall’Amministrazione in via di autotutela.

Alcuni anni dopo l’Ufficio emetteva un altro avviso di liquidazione n. (OMISSIS) intestato a (OMISSIS) s.r.l. fall.to (OMISSIS), a D.P.A., curatore del fallimento, a (OMISSIS) s.r.l. e a D.G.R., con il quale veniva chiesto il pagamento l’imposta proporzionale di registro, ipotecaria e catastale, oltre interessi moratori con riferimento all’atto di trasferimento dei beni di cui sopra.

La società (OMISSIS) s.r.l. impugnava l’atto e la Commissione Tributaria Provinciale dell’Aquila accoglieva il ricorso, compensando le spese. L’Ufficio proponeva appello, ritenendo che nella specie non sussistessero i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti per l’applicazione dell’IVA, alla stregua del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 e art. 10, comma 8 bis. Il gravame veniva accolto in parte dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, tenendo conto delle statuizioni concernenti la sanzione applicabile e il quantum degli interessi moratori da ricalcolare. La società (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso per la cassazione della sentenza, in epigrafe indicata, svolgendo tre motivi. L’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 102 cod. proc. civ. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”, in ragione della violazione del principio del contraddittorio, con la conseguenza che la decisione si appalesa inutiliter data.

Parte ricorrente si lamenta del fatto che il giudizio di appello si è svolto soltanto nei confronti della società (OMISSIS) s.r.l., quando nella specie sussisterebbe un’ ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto l’avviso di liquidazione di maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale era stato notificato alla (OMISSIS) s.r.l. fall.to (OMISSIS), a D.P.A., curatore del fallimento, a (OMISSIS) s.r.l. e a D.G.R.. A supporto dell’assunto si invoca il precedente espresso dalla Corte di Cassazione n. 1052 del 2007.

1.1. Il motivo è infondato.

Questa Corte, con la sentenza n. 24063 del 2011 (poi seguita dalla sentenza n. 24098 del 2014), ha già avuto modo di chiarire, con riferimento ai giudizi in tema di imposta di registro, ai quali vanno assimilate le controversie in materia di imposte ipotecarie e catastali, che la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, si muove in una prospettiva diversa da quella nella quale si collocano le regole relative all’obbligazione solidale, escludendo esplicitamente che, in materia di partecipazione del venditore e dell’acquirente al giudizio relativo all’imposta di registro dovuta sull’atto di trasferimento, possano utilmente richiamarsi i principi fissati nella menzionata sentenza n. 1052 del 2007, giacchè quest’ultima si riferisce non ai rapporti tra cedente e cessionario, ma ai rapporti tra condividenti. Il rapporto di solidarietà, in sostanza, non costituisce presupposto del litisconsorzio necessario e quest’ultimo, quindi, non trova applicazione alle posizioni del venditore e dell’acquirente di un immobile con riguardo alle controversie relative alle imposte ipotecarie e catastali pretese dall’Amministrazione finanziaria sull’atto di trasferimento di un immobile.

A tale riguardo, questa Corte, con sentenza n. 24098 del 2015, ha recentemente ribadito il suindicato principio ritenendo che: “Nel caso di giudizio instaurato da uno o alcuni dei debitori dell’imposta di registro e non da tutti i corresponsabili, nessuna violazione del principio del contraddittorio può dirsi consumata, alla luce della regola generale, dettata in tema di solidarietà passiva, secondo la quale non sussiste alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario per il soddisfacimento giudiziale di tale tipo di obbligazioni, e non vi è alcun obbligo della partecipazione al giudizio di tutti i responsabili”.

2.Con il secondo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2 e art. 10, comma 8 bis, in relazione al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 40 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1”, avendo il giudice di appello errato nel non ritenere che, per quanto concerne gli immobili ad uso commerciale, l’atto di cessione era assoggettato ad IVA, così come per gli immobili ad uso non commerciale, in quanto inerenti ad attività commerciale.

2.1. Il motivo è infondato.

In tema di IVA, in base alla disciplina dettata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, comma 2, n. 1 e art. 19 mentre le cessioni di beni da parte di una società di capitali sono da considerare in ogni caso effettuate nell’esercizio di impresa, in ordine invece agli acquisti di beni, ipotesi che nella specie ricorre, ed in generale per le operazioni passive, non è sufficiente, ai fini della detraibilità dell’imposta, che la qualità di imprenditore societario risulti da atti meramente formali, dovendosi altresì verificare, in concreto, l’inerenza e la strumentalità del bene acquistato rispetto alla specifica attività imprenditoriale, compiuta o anche solo programmata (Cass., sez. 5, n. 16697 del 2013).

Pertanto, in base alla disciplina dettata del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 4, 17 e 19, la qualità di imprenditore societario è condizione unicamente per rendere assoggettabile ad IVA le operazioni attive, mentre la compatibilità con l’oggetto sociale di spese relative alla compravendita e/o alla ristrutturazione di immobili costituisce, rispetto alla detraibilità del tributo assolto sulle operazioni passive, “elemento puramente indiziario della loro inerenza all’effettivo esercizio dell’impresa valutabile, pertanto, dal giudice del merito, insieme con altre circostanze, idonee a formarne il convincimento circa l’effettiva inerenza delle medesime operazioni passive all’espletamento della progettata attività imprenditoriale, all’interno di un criterio di ripartizione che vede onerata della prova la società” (Cass. Sez. 5, sent. n. 4157 del 2013).

La norma citata, consentendo al compratore di portare in detrazione l’IVA addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, richiede un quid pluris rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, e cioè l’inerenza o strumentalità del bene comprato rispetto all’attività imprenditoriale, della cui prova è onerata la società che invoca l’imponibilità ai fini IVA.

2.2.A tale riguardo, con circolare n. 182 del 1996, il Ministero delle Finanze ha precisato che, in tema di IVA ed imposta di registro su cessioni e locazioni di fabbricati o porzioni di fabbricato a destinazione abitativa, il D.L. n. 323 del 1996, art. 10 comma 4, lett. c) inserendo nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, il n. 8 bis) ha introdotto il regime di esenzioni dell’imposta sul valore aggiunto per le cessioni di fabbricati o porzioni di fabbricato a destinazione abitativa, le quali sono assoggettate all’imposta di registro in misura proporzionale, quando sono poste in essere da soggetti diversi da imprese costruttrici, imprese che hanno effettuato sugli immobili interventi di recupero qualificati, ed imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di immobili (Cass. n. 24681 del 2011).

Con riferimento a questo aspetto, si ritiene che possa considerarsi “impresa che ha come oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la rivendita di fabbricati” solo quella che, oltre che per espressa previsione contenuta negli atti societari, svolga effettivamente, in modo esclusivo e prevalente, operazioni di vendita di fabbricati precedentemente acquistati o costruiti. Non può, pertanto, ritenersi sufficiente, per l’inclusione nella categoria, la sola circostanza che l’oggetto esclusivo o principale dell’attività sia dagli atti societari individuato nella rivendita di immobili, dovendo, altresì, verificarsi che l’attività dell’impresa sia diretta prevalentemente alla effettuazione delle predette cessioni.

2.3. Il giudice di appello, nel valutare l’imponibilità ai fini IVA, ha rilevato come nella specie sia avvenuto un rapporto triangolare, nel senso che, con atto registrato il 29.4.2004, la società G.S. Immobiliare ha ceduto diversi immobili alla (OMISSIS) S.p.a. che, con atto registrato in pari data, ha venduto gli stessi immobili, alla società (OMISSIS).

La CTR ha ampiamente argomentato le ragioni della decisione, sostenendo, correttamente, che l’acquisto e la immediata rivendita degli stessi immobili ha fatto venire meno qualsiasi connessione dell’operazione con le finalità imprenditoriali, non tralasciando, altresì, di esaminare e ponderare sia gli elementi prospettati dalla società ricorrente, sia le deduzioni dell’Agenzia delle Entrate, certamente dotate del carattere di decisività, volte non solo a sostenere che la (OMISSIS) non era costruttrice degli immobili ceduti alla società (OMISSIS), nè poteva dirsi che sugli stessi fossero stati effettuati interventi di ristrutturazione, in ragione della contestualità degli atti di acquisto e di vendita.

Inoltre, la CTR ha accertato che la (OMISSIS) non ha mai avuto quale oggetto esclusivo o principale della sua attività quello della rivendita di immobili, nonostante l’aggiornamento dello Statuto, precisando che: “trattasi di società non costruttrice di fabbricati, che ha effettuato un solo contestuale atto di acquisto e di rivendita degli stessi immobili, non riconducibile all’esercizio di vera e propria impresa, mancando i requisiti dell’abitualità e della professionalità, per cui la sua attività fuoriesce dall’ambito applicativo dell’IVA, secondo la previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 8 bis”.

3.Con il terzo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata, denunciando in rubrica: “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 473 del 1992, art. 1, comma 1, lett. g) con riferimento al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 42 e 70 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 2”, in quanto la statuizione resa dal giudice di appello, nella parte in cui dispone che nel caso dovrebbe essere applicata la sanzione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 70 è del tutto errata.

3.1. Il motivo è inammissibile per totale carenza di autosufficienza, atteso che parte ricorrente omette di allegare in quale fase del giudizio di merito e con quale atto difensivo, si siano prospettate le questioni riguardo le sanzioni applicate all’avviso di liquidazione, tenuto conto che l’atto impugnato, per come prospettato in atti, non contiene alcuna irrogazione di sanzioni, e non risulta dalla sentenza della CTR che il tema sia stato oggetto di esame nel giudizio di merito.

La novità della questione evidenzia altri profili di inammissibilità, atteso che, nella specie, potrebbe essere ravvisata una erronea sussunzione della censura come un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, mentre in concreto è prospettabile una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’ultrapetizione in cui sarebbe incorsa la sentenza di appello, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, (Cass. n. 21165 del 2013, Cass. n. 21099 del 2013).

4.Sulla base dei rilievi sopra espressi, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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