Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17782 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 03/07/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 03/07/2019), n.17782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29355-2017 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SAN SATURNINO 5,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA NAPPI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

C.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BUCCARI

11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA, rappresentata

e difesa dall’avvocato ANTONIO ROSARIO BONGARZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4387/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/10/2017 R.G.N. 1334/2017; udita la relazione della

causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2019 dal Consigliere

Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato RAFFAELE NARDOIANNI per delega verbale Avvocato

FRANCESCA NAPPI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma ha rigettato il reclamo proposto da Poste italiane avverso la sentenza con cui il Giudice del lavoro del Tribunale di Cassino aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a C.M.L., ritenendo che i fatti commessi integrassero un’ipotesi di infrazione punibile con sanzione conservativa e, in applicazione della tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, aveva ordinato la reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro e aveva condannato la società al risarcimento del danno, nella misura massima di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

2. La lavoratrice era stata licenziata per avere, insieme ad altra dipendente, il giorno (OMISSIS), caricato sull’autovettura aziendale una cassetta utilizzata per il trasporto della corrispondenza e, recandosi presso la cartiera sita in (OMISSIS), gettato la posta nel luogo deputato allo smaltimento della carta, in violazione delle disposizioni regolamentari.

2.1. I fatti, nella loro consistenza storica, relativi alla distruzione di circa 20 kg. di materiale pubblicitario, erano risultati corrispondenti a quanto effettivamente contestato. La dipendente, unitamente alla collega C., era stata arrestata mentre stava distruggendo il materiale da consegnare per conto di un operatore commerciale che aveva sottoscritto con Poste Italiane un contratto di consegna di materiale pubblicitario finalizzato di implementare la propria attività commerciale.

In particolare, il materiale distrutto costituiva “promo posta”, ossia materiale pubblicitario consegnato all’ufficio postale da parte della ditta committente L. per la sua distribuzione ai destinatari. La consegna doveva avvenire entro e non oltre il (OMISSIS) e a quella data risultava già avvenuta la distribuzione del 95% del materiale. Quello distrutto risultava pari ad una cassetta di circa 20 kg..

2.2. Era emerso in giudizio che esiste una procedura di smaltimento dei materiali inesitati tale da garantire ogni tipo di affidamento, evitando che il portalettere possa distruggere autonomamente il materiale decidendo lui quando la consegna non è più necessaria, e che è altresì previsto un secondo tentativo di recapito proprio al fine di implementare la distribuzione ed evitare che il materiale commerciale possa essere distrutto.

2.3. Ad avviso di Poste, la consegna non era stata effettuata nella zona a causa delle condizioni meteo avverse registrate nei tre giorni antecedenti al fatto e pertanto essa doveva essere assolutamente effettuata, non essendo stato possibile neppure tentarla nei giorni precedenti e il materiale stava scadendo.

3. La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado, secondo cui non poteva dirsi integrata alcuna delle ipotesi contemplate nella contestazione disciplinare di cui alle lett. c), d) e k) del comma 6 dell’art. 54 CCNL del personale non dirigente di Poste Italiane:

– non la prima, in quanto non ricorreva l’ipotesi del “forte pregiudizio” arrecato alla società o ai terzi, tenuto conto che il materiale distrutto corrispondeva a circa 20 kg di posta a fronte dei 400 kg di promo posta assegnati all’ufficio postale e provenienti dalla ditta L.;

– non la seconda, la quale contempla un’ipotesi di “sottrazione” di documenti o atti della società ad essa affidati al fine di “trarne profitto”, mentre nella specie si era trattato di un caso di distruzione e non di sottrazione di materiale e comunque non ricorreva alcun profitto inteso come situazione di vantaggio, di natura patrimoniale, strettamente connessa alla condotta contestata, situazione che presuppone un impiego dell’atto o del documento sottratto;

– non la terza ipotesi, che riguarda fatti o atti dolosi, anche nei confronti di terzi, compiuti “in connessione con il rapporto di lavoro”, mentre nella specie si era trattato di atti commessi nell’esecuzione specifica della prestazione lavorativa e non nello svolgimento di una condotta extraprofessionale.

3.1. In conclusione, la fattispecie doveva ritenersi sussumibile – come ritenuto anche dal primo giudice – nell’alveo applicativo dell’art. 54, comma 3, lett. f) del CCNL, relativo a sanzione conservativa.

3.2. Aggiungeva la Corte di appello che la società reclamante, a fronte dell’arresto della lavoratrice in flagranza di reato, anzichè adottare un provvedimento di sospensione cautelare, si era limitata ad assegnarla provvisoriamente ad altro ufficio, peraltro affidandole mansioni connotate da un maggiore impegno fiduciario e precisamente la c.d. posta registrata, costituita da raccomandate, atti giudiziari, assicurate e contrassegni e dunque un’attività connotata da un carattere fiduciario di maggiore spessore rispetto a quello relativo alla consegna del materiale pubblicitario.

In ragione di ciò, doveva pure escludersi una gravità tale da ledere in maniera irreparabile il rapporto fiduciario sotteso al rapporto di lavoro.

4. Per la cassazione di tale sentenza la società Poste Italiane ha proposto ricorso affidato a due motivi, cui ha resistito la C. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società Poste Italiane denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2104,2105,2106 e 2119 c.c., in combinato disposto con l’art. 54, comma 6, lett. c) e con l’art. 54, comma 3, lett. f) del CCNL Poste del 14 aprile 2011, per erronea esclusione della ricorrenza della giusta causa di licenziamento. Produce in allegato il CCNL Poste italiane del 14.4.2011.

Deduce che oggetto della contestazione disciplinare era la volontaria distruzione di materiale postale, con riferimento alla consapevole e dolosa violazione di specifica norma regolamentare che vieta categoricamente e senza eccezioni al portalettere di distruggere autonomamente materiale postale affidato per la consegna e gli impone di seguire specifiche procedure anche per la distruzione della posta danneggiata o inesitata, procedura dettagliatamente descritta in apposito regolamento interno, denominato “Trattamento della corrispondenza inesitata da verificare”, che riguarda anche il materiale commerciale.

Rappresenta che il materiale, anche se danneggiato o in eccesso, non può essere distrutto dal portalettere: il “reso” di tale materiale deve essere effettuato mediante una dichiarazione del portalettere al Responsabile del Centro di distribuzione, il quale, alla data di scadenza della campagna (indicata dal committente), deve inviare una mail alla RAM2 e a seguito di tale mail, deve inviare il prodotto danneggiato o non consegnato a Roma, al centro postale di (OMISSIS), dove lo stesso materiale verrà distrutto nel rispetto delle procedure interne che impongono, peraltro, una serie di controlli nei centri di verifica, previo accertamento del contenuto del “dispaccio” da parte del Responsabile dell’UP (o di altro incaricato ai controlli individuato dal Responsabile dell’UP).

Denuncia l’erronea interpretazione delle norme disciplinari e della nozione di giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c., in quanto la sentenza, pur avendo confermato che vi era stata la volontaria violazione della norma regolamentare, aveva impropriamente valutato tale comportamento alla stregua di un inadempimento parziale del contratto di distribuzione sottoscritto tra Poste e la ditta L., aspetto estraneo al licenziamento.

La Corte di appello aveva omesso di considerare che il divieto imposto al portalettere di distruggere il materiale postale (anche nel caso in cui sia danneggiato o in eccedenza) è norma fondamentale per la corretta esecuzione del servizio postale universale, la cui violazione – accertata mediante arresto in flagranza di reato determina un grave pregiudizio per Poste Italiane nella sua qualità di concessionario del servizio postale universale. Aveva altresì erroneamente affermato che Poste Italiane non aveva fornito elementi idonei a supportare la sussistenza del “forte pregiudizio” che, a norma della lett. c) del comma 6 dell’art. 54 CCNL fa assurgere alla violazione un livello di gravità tale da giustificare il licenziamento, trascurando di considerare che la norma in questione non richiede la prova dell’effettività del pregiudizio subito dal Poste o da terzi, essendo sufficiente una valutazione prognostica del suo verificarsi (“violazioni dolose di leggi o regolamenti o dei doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi”). Aveva trascurato di considerare il carattere doloso della violazione, mentre l’art. 54, comma 3, lett. f) è applicabile in caso di inosservanza colposa dei doveri e obblighi di servizio, da cui sia derivato un pregiudizio alla regolarità del servizio stesso, ovvero agli interessi della società.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione falsa applicazione degli artt. 2104,2105 e 2106 e 2119 c.c. in combinato disposto con l’art. 54, comma 6, lett. c) e k) e con l’art. 54, comma 3, lett. f) del CCNL Poste; falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, e violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5.

Deduce che, applicando correttamente la norma collettiva, la Corte non avrebbe dovuto sussumere la condotta nell’ipotesi di cui la lett. f) del comma 3 dell’art. 54, ma, al più, ritenendo la sanzione sproporzionata rispetto alla gravità del fatto commesso, avrebbe dovuto applicare la tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, nel testo modificato dalla L. n. 92 del 2012, e non quella c.d. reintegratoria debole di cui al comma 4 dello stesso articolo.

In altri termini, la Corte avrebbe potuto valutare la minore o maggiore gravità del fatto contestato esprimendo giudizio di proporzionalità, il quale non consente l’applicazione della tutela reintegratoria, non potendo essere ricondotta la fattispecie nell’alveo di una ipotesi espressamente punita dalla norma collettiva con sanzione conservativa.

3. E’ fondato il primo motivo, il cui accoglimento impone la cassazione con rinvio della sentenza, con assorbimento del secondo motivo, che attiene alla tutela applicata dalla Corte di appello di Roma nella sentenza impugnata.

4. Giova premettere che, nell’operazione di interpretazione delle disposizioni contrattuali che interessano i doveri dei dipendenti postali, come pure nell’operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, sia che essa riguardi le tipizzazioni disciplinari della contrattazione collettiva, sia che essa riguardi la nozione di giusta causa ex art. 2119 c.c., non può omettersi di considerare la natura di servizio pubblico gestito da Poste Italiane nell’interesse della intera collettività nazionale.

Difatti, anche a seguito della trasformazione in società per azioni dell’ente pubblico postale, l’impegno di capitale pubblico nella società e lo stesso fine pubblico perseguito sono tali da comportare l’assoggettamento della società a verifiche periodiche da parte dell’azionista Ministero dello sviluppo economico sul livello di efficienza nella fornitura del servizio.

Come già più volte osservato da questa Corte, è noto che l’attività, dello Stato o degli enti pubblici, intesa a soddisfare pubblici interessi, assunti nei fini dei medesimi soggetti pubblici, può essere svolta attraverso attività costituenti diretta manifestazione dell’autorità degli stessi soggetti” ossia come attività della pubblica amministrazione, che si trova in posizione di supremazia nell’interesse generale della collettività, oppure attraverso un’attività privatistica, caratterizzata dalla posizione di parità del soggetto, che opera per il soddisfacimento dell’interesse pubblico, e soggetti collaboratori ovvero fruitori del servizio.

Quest’attività privatistica può essere svolta, come avviene spesso e in particolare per il servizio postale, mediante la costituzione di società con capitale prevalentemente o totalmente pubblico.

Tuttavia, l’impegno di capitale pubblico e la pubblicità del fine perseguito, che sottomettono l’attività svolta ai principi di imparzialità e di buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost., non è senza riflesso nei doveri gravanti sui lavoratori dipendenti, che debbono assicurare affidabilità, nei confronti del datore di lavoro e dell’utenza (Cass. n. 776 del 2015; v. pure Cass. n. 17513 del 2018).

5. Tanto premesso, occorre pure precisare che, nella giurisprudenza di questa Corte, in materia disciplinare non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva ai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, purchè vengano valorizzati elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario (v. Cass. n. 28492 del 2018). Si è osservato che, poichè la scala valoriale recepita dal CCNL costituisce uno dei parametri cui fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c. (cfr. Cass. n. 9396 del 2018), rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito la verifica della sussistenza della giusta causa anche con riferimento alla violazione dei parametri posti dal codice disciplinare del CCNL.

6. La Corte territoriale ha ritenuto di dovere circoscrivere la propria indagine alla verifica della sussumibilità (o meno) del fatto ascritto – provato nella sua materialità e in ordine al suo sicuro rilievo disciplinare, che non è neppure in contestazione in giudizio – in una delle tre tipizzazioni contrattuali che consentono l’irrogazione del licenziamento senza preavviso di cui lett. c), d), k) comma 6, dell’art. 54 CCNL per il personale non dirigente di Poste italiane, che la società datrice di lavoro aveva richiamato nella lettera di licenziamento. Una volta escluso il concreto riscontro di alcuni elementi costitutivi di tali specifiche fattispecie, secondo il contenuto descrittivo che per ciascuna di tali ipotesi ne avrebbe consentito la predetta sussunzione, ha ritenuto la illegittimità del licenziamento, ritenendo che dovesse trovare applicazione la più lieve ipotesi di cui all’art. 54, comma 3, lett. f), la quale prevede la sanzione conservativa della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a quattro giorni “per inosservanza di doveri ed obblighi di servizio da cui sia derivato un pregiudizio alla regolarità del servizio stesso ovvero agli interessi della società o un vantaggio per sè o per i terzi, se non altrimenti sanzionabile”.

6.1. Tale giudizio risulta lacunoso per le ragioni che seguono.

7. La locuzione “se non altrimenti sanzionabile” di cui alla lettera f) del comma 3 dell’art. 54 cit. allude al carattere residuale della previsione che può trovare applicazione solo una volta che sia stata esclusa la riconducibilità della fattispecie concreta nell’alveo applicativo di altre più gravi ipotesi e rimanda, quindi, in primo luogo, al sistema di graduazione delle infrazioni e delle sanzioni che le stesse parti collettive hanno contemplato alla stregua del sistema valoriale proprio del particolare settore, secondo un livello di rilevanza via via crescente, dalla più lieve sanzione conservativa fino al licenziamento senza preavviso, senza con ciò escludere che un’infrazione, seppure non contemplata in modo espresso dal codice disciplinare, possa assurgere comunque ad un livello di gravità tale da integrare la giusta causa ex art. 2119 c.c..

7.1. La tipizzazione contenuta nel codice disciplinare ai fini dell’apprezzamento della giusta causa di recesso non esaurisce l’ambito dell’accertamento demandato al giudice di merito, poichè ove pure non sia riscontrabile la perfetta riconducibilità della fattispecie concreta in una quelle astrattamente previste dalla contrattazione collettiva come suscettibili della irrogazione della massima sanzione disciplinare, non per ciò solo tale positivo riscontro può ritenersi esaustivo dell’indagine demandata al giudice di merito, atteso che la giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c. è nozione legale rispetto alla quale non sono vincolanti le previsioni dei contratti collettivi, che hanno valenza meramente esemplificativa (cfr., da ultimo, Cass. n. 27004 del 2018).

8. Nel contesto dell’operazione interpretativa, la Corte di appello ha innanzitutto trascurato di considerare che lo stesso comma 6 dell’art. 54, contempla – quale previsione generale “di chiusura” ai fini della valutazione della condotta per l’eventuale irrogazione della sanzione espulsiva – che “le mancanze non specificamente previste nella presente elencazione, verranno sanzionate con i provvedimenti di cui all’art. 53 del medesimo CCNL e quanto al tipo e alla misura delle sanzioni, ai principi desumibili dai criteri di correlazione”. Ne risulta che, già all’interno del sistema sanzionatorio di cui alla contrattazione collettiva di settore, le partii sociali hanno ritenuto l’elencazione delle ipotesi di cui al comma 6 non esaustiva, nè tassativa, ma meramente esemplificativa, stabilendo che il comportamento non espressamente contemplato debba essere valutato alla stregua dell’osservanza dei doveri che gravano sul dipendente postale (cfr. art. 52) ed essere sanzionato secondo un sistema di gradualità e proporzionalità (cfr. art. 53).

8.1. Il sistema richiamato – art. 53 (provvedimenti disciplinari), comma 4 – prevede, a sua volta, che, “nel rispetto del principio di gradualità e proporzionalità delle sanzioni e avuto riguardo alla gravità della mancanza, in conformità a quanto previsto dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, l’entità di ciascuno dei suddetti provvedimenti sarà determinata in relazione: all’intenzionalità del comportamento o al grado di negligenza, imprudenza o imperizia con riguardo anche alla prevedibilità dell’evento; al concorso, nella mancanza, di più lavoratori in accordo tra loro; al comportamento complessivo del lavoratore, con particolare riguardo al precedenti disciplinari nell’ambito del biennio”.

9. Poichè la graduazione delle sanzioni è contemplata dalle parti sociali anche in rapporto al grado di intenzionalità del comportamento e alla prevedibilità dell’evento, deve rilevarsi che nella sentenza impugnata risulta omessa qualsiasi valutazione circa l’intensità dell’elemento psicologico nel comportamento consapevole e volontario di violazione della normativa interna, nonchè in ordine al nesso tra la condotta e il pregiudizio – anche solo potenziale, ma prevedibile – per la regolarità del servizio pubblico indotto dal comportamento volontario e consapevole, non potendo tale giudizio risolversi nel mero riscontro della ridotta percentuale del materiale distrutto in rapporto a quello che nell’interesse della committente era stato in precedenza recapitato (peraltro, nella sentenza non è stato chiarito se a tale recapito avesse provveduto la stessa resistente oppure altro personale dipendente, come invece prospettato dalla società ricorrente). Non risultano chiariti neppure gli elementi circostanziali in cui si collocava l’infrazione compiuta in relazione al complesso degli adempimenti gravanti sulla dipendente e in relazione alle mansioni da svolgere nel giorno del fatto.

10. Da ultimo, va ribadito il principio secondo cui, in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (Cass. n. 17514 del 2010).

11. In conclusione, la sentenza va cassata, dovendo il giudizio di merito essere rinnovato alla luce dei principi sopra affermati e sulla base non di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale.

12. Si designa quale giudice di rinvio la Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

13. Tenuto conto dell’accoglimento del ricorso per cassazione, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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