Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17778 del 07/08/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 17778 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: CAMPANILE PIETRO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
IMPRESA DINO DI VINCENZO C. S.P.A.
Elettivamente domiciliata in Roma, VIALE Angelico, n.
103, nello studio dell’avv. Daniele Vagnozzi; rappresentata e difeso dall’avv. Giulio Cerceo, giusta procura speciale a margine del ricorso.
ricorrente
contro

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Data pubblicazione: 07/08/2014

DE CECCO FILIPPO ANTONIO – DE CECCO GIUSEPPE ADOLFO DE CECCO MARIA PIA – DE CECCO ANNUNZIATA
Elettivamente domiciliati in Roma, via Paolo Emilio, n.

sentati e difesi, giusta procura speciale a margine
del controricorso e, quanto ad Annunziata De Cecco, con
procura autenticata dal Notaio Felis di Genova in data
7 luglio 2011, dall’avv. Osvaldo Prosperi.
controricorrenti
nonché contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello
Stato, presso i cui Uffici domiciliano in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12.
controricorrenti
nonché sul ricorso proposto in via incidentale da
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Come sopra rappresentati
ricorrenti in via incidentale
contro
DE CECCO FILIPPO ANTONIO – DE CECCO GIUSEPPE ADOLFO DE CECCO MARIA PIA – DE CECCO ANNUNZIATA
Come sopra rappresentati

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34, nello studio dell’avv. Quirino D’Angelo; rappre-

controricorrenti
nonché contro
IMPRESA DINO DI VINCENZO C. S.P.A.

avverso la sentenza della Corte di appello dell’Aquila,
n. 1046, depositata in data 1 0 dicembre 2010;
sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 9
gennaio 2014 del consigliere dott. Pietro Campanile;
Sentito per la ricorrente principale l’avv. D. Vagnozzi, munito di delega;
Sentito per i controricorrenti De Cecco l’avv. O. Prosperi;
Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto dott. Luigi Salvato, il quale ha
concluso per il rigetto del ricorso principale, e per
l’accoglimento, p.q.r., dell’incidentale..
Svolgimento del processo

l – Con atto di citazione notificato in data 16 settembre 1995 i signori Filippo Antonio e Giuseppe Adolfo De
Cecco convennero in giudizio davanti al Tribunale
dell’Aquila il Ministero dei Lavori Pubblici, il Ministero delle Finanze e l’Impresa Di Vincenzi Dino & C.
Costruzioni ed Opere Pubbliche S.p.a. e, premesso di
essere comproprietari di alcune aree di terreno ubicate
nel Comune di Pescara e interessate dalla costruzione

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intimata

di un fabbricato da adibirsi a sede della scuola di Polizia Giudiziaria, Amministrativa ed Investigativa
(POLGAI), chiedevano, previa disapplicazione dei prov-

quanto illegittimi – e impugnati davanti al TAR di Pescara – il risarcimento di ogni pregiudizio derivante
dalla radicale ed irreversibile trasformazione di parte
delle aree suddette e dalla formazione di due relitti,
nonché dalla occupazione delle stesse.
1.1 – Tale giudizio veniva successivamente riunito a
quello scaturente dalla proposizione da parte di altri
comproprietari (Annunziata e Maria Pia De Cecco, nonché Cirillo Elide, usufruttuaria, poi deceduta nel
ciorso del giudizio di appello), con atto di citazione
notificato il 20 marzo 1998, di analoghe domande nei
confronti del Ministero dei Lavori Pubblici e della
ditta Di Vincenzo.
1.2 – Essendosi nel frattempo concluso il giudizio davanti al TAR di Pescara, che aveva dichiarato
l’illegittimità dell’intera procedura espropriativa, a
partire dalla dichiarazione di pubblica utilità, il
Tribunale adito, con sentenza depositata in data 12
febbraio 2004, disattese le eccezioni di legittimazione
passiva sollevate dai convenuti, rigettava tutte le domande, ritenendo che al loro accoglimento fosse ostati-

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vedimenti inerenti alla procedura espropriativa, in

vo l’accordo raggiunto dai proprietari con l’impresa
concessionaria in data 7 febbraio 1991, con il quale i
primi, previa ricezione di una somma, sia pure tratte-

all’occupazione dei terreni e alla realizzazione della
costruzione, in tal modo, ad avviso del Tribunale, rendendo legittimi tali attività. Neppure poteva accogliersi la pretesa risarcitoria relativa al deprezzamento dei relitti, potendo tale domanda esaminarsi soltanto nell’ambito di un procedimento ablativo e solo
nell’ipotesi di intervenuta dichiarazione di inservibilità ai sensi dell’art. 61 della 1. n. 2359 del 1865.
1.3 – Avverso tale decisione proponevano appello gli
eredi De Cecco, i quali chiedevano, in riforma della
decisione impugnata, l’accoglimento integrale delle
proprie domande. Interponevano altresì gravame, in via
incidentale, l’impresa Di Vincenzo, che ribadiva
l’eccezione relativa al proprio difetto di legittimazione passiva, nonché le Amministrazioni, le quali, oltre al rilievo del Ministero dell’Economia e delle Finanze in merito alla propria condanna in favore di Annunziata, Maria Pia e De Cecco ed Elide Cirillo in assenza di domanda dalle stesse proposta nei propri confronti, sostenevano la natura espropriativa
dell’occupazione,

conseguente

con

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prescrizione

nuta a titolo di acconto, avevano acconsentito

dell’azione risarcitoria, riproponendo la questione del
proprio difetto di legittimazione passiva.
1.4 – La Corte di appello dell’Aquila, con la sentenza
indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibili gli

appelli proposti dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze ed ha rigettato il gravame proposto
dall’Impresa Di Vincenzo; in accoglimento
dell’impugnazione principale ha condannato gli appellati al pagamento in favore degli eredi De Cecco, in proporzione dei loro diritti, al pagamento della complessiva somma di

e

1.197.593,98, oltre interessi dalla da-

ta della sentenza al saldo, oltre alla refusione delle
spese processuali relativi ad entrambi i gradi del giudizio.
Per quanto maggiormente interessa – affermata la legittimazione e quindi, la responsabilità dell’impresa concessionaria per aver materialmente posto in essere, in
assenza di qualsiasi titolo, l’occupazione e la trasformazione dei beni in questione – è stato rilevato
che l’accodo intervenuto in data 7 febbraio 1991 comportava una mera rinuncia dei proprietari all’efficacia
della sospensione disposta dal TAR a seguito del loro
ricorso, ma di certo non poteva incidere, attesa la
temporaneità dell’accordo – sulla determinazione della
illegittimità dell’occupazione e sulle pretese risar‘.j

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citorie, tanto più che all’acconto versato – per altro
attribuito anche ad altri comproprietari – non poteva
attribuirsi valenza di controprestazione nell’ambito di

Rilevata, quindi, la ricorrenza di un’occupazione usurpativa, alla cui affermazione, atteso il tenore sostanziale delle originarie richieste dei proprietari, non
era ostativo il principio contenuto nell’art. 112
c.p.c., il pregiudizio veniva liquidato, considerata
la natura edificatoria dei terreni, sulla base del loro
valore di mercato alla data del 31 dicembre 1994, tenendo conto, previa rivalutazione, degli importi già
versati a titolo di acconto.
1.5 – Veniva altresì riconosciuta la risarcibilità del
pregiudizio dedotto in relazione ai beni relitti, tenuto conto della loro “ridotta potenzialità edificatoria”.
1.6 – Veniva, infine, attribuita la somma di E
160.231,67 a titolo di ristoro dell’occupazione dei
terreni fino alla loro irreversibile trasformazione.
1.7 – Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso l’impresa De Vincenzo, che ha dedotto sei
motivi, nonché il Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti e quello dell’Economia e delle Finanze, con
cinque motivi.

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un negozio transattivo.

Resistono con controricorso gli eredi De Cecco.
Le parti De Cecco e Di Vincenzo hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

2 – Con il primo motivo l’impresa Di Vincenzo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1703,
2043 e 2055 c.c., dell’art. l della 1. n. 1137 del 1929
e dell’art. 60 della 1. n. 865 del 1971, nonché omessa
ed erronea motivazione sui questioni decisive e rilevanti per il giudizio, sostiene che erroneamente la
corte territoriale avrebbe rigettato il proprio motivo
di gravame inerente al proprio difetto di “legittimazione passiva”,

dovendosi escludere,

sulla base

dell’art. 5 della convenzione stipulata in data 10 novembre 1989, che nella specie ricorresse una “concessione traslativa”, in quanto la mera delega al compimento

delle

pratiche

per

l’acquisizione

e

l’espropriazione delle aree prescelte non comporta la
responsabilità del concessionario, soprattutto laddove
non consapevole dell’illegittimità dell’occupazione,
per i danni arrecati ai proprietari a seguito
dell’irreversibile trasformazione dei loro fondi.
2.1 – La censura, a prescindere dai rilievi di inammissibilità sollevati dai controricorrenti, ed invero superabili in quanto il ricorso contiene la trascrizione

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Motivi della decisione

della convenzione nella parte che qui maggiormente rileva, è infondata.
Deve infatti trovare applicazione il principio, costan-

tispecie come quella in esame non perde la sua connotazione tipica di fatto illecito, sia con riguardo al momento dell’occupazione abusiva, sia con riguardo alla
costruzione dell’opera con violazione delle norme che
fissano i casi ed i modi per il sacrificio della proprietà privata ai fini pubblici, sia con riguardo
all’attività materiale medio tempore espletata nel corso dell’occupazione (Cass. Sez. un. n. 761 del 1998; n.
12546 del 1992; v. anche la recente Cass. 8692 del
2013): perciò interamente ed unitariamente qualificate
dall’illecito comportamento del soggetto al quale sono
riconducibili l’occupazione (illegittima ab origine o
divenuta tale) e/o la successiva detenzione senza titolo e/o l’impossibilità della restituzione.
Conseguentemente, tanto nell’ipotesi di occupazione “ab
inizio” illegittima, quanto in quella di detenzione divenuta tale, tutta l’attività svolta nel corso dell’occupazione da chiunque esplicata – per definizione illecita – rende l’autore o gli autori responsabili del relativo risarcimento ai sensi degli artt. 2043 e 2055
c.c.: gravando in forza di dette norme sempre e comun-

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temente affermato da questa Corte, secondo cui la fat-

que, anzitutto sul soggetto che ha consumato l’illecita
apprensione in danno del proprietario e mantenuto la
successiva occupazione abusivamente senza restituire

2006; Cass., n. 6591 del 2003, Cass., n. 15687 del
2001). E’ stato altresì precisato che a detto soggetto
non è consentito invocare la non imputabilità in ordine
alla mancata o ritardata pronuncia degli atti della
procedura ablativa, anche quando sia dipesa da omissione o inerzia di altra amministrazione, in quanto nel
comportamento di chi ha appreso l’immobile altrui senza
titolo e/o ne conserva abusivamente la detenzione ed
infine persevera nell’esecuzione dell’opera, pur essendo a conoscenza della illegittimità dell’occupazione,
possono individuarsi tutti gli elementi della responsabilità aquiliana: la condotta attiva od omissiva, l’elemento psicologico della colpa, il danno, il nesso di
causalità tra condotta e pregiudizio; aggiungendosi che
non è possibile, per le medesime ragioni, neppure trasferire la responsabilità dell’illegittima vicenda
ablatoria in capo all’ente beneficiario o destinatario
dell’opera pubblica inglobante quel fondo, ovvero a
quello che per legge o per atto amministrativo ne diviene proprietario (Cass., n. 6591 del 2003, Cass. Sez.
un., n. 24397 del 2007).

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l’immobile al suo proprietario (Cass., n. 11890 del

Questi principi vanno ribaditi nel caso concreto in
cui, come si vedrà in seguito, l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità ha travolto tutti gli

la detenzione del terreni doveva considerarsi abusiva
ab origine, perciò esulando dalla materia espropriativa
per rientrare negli illeciti permanenti di diritto comune (cd. occupazione usurpativa) in tutto e per tutto
disciplinati dagli artt. 2043 e 2058 cod. civ..
Non è dubbio che l’impresa ricorrente, a nulla rilevando la natura della concessione, abbia posto in essere,
in violazione del principio che l’ingerenza nella proprietà privata è consentita esclusivamente attraverso
gli strumenti privatistici (art. 1321 e segg. C.c.) o
pubblicistici (art. 42 Cost.) previsti dall’ordinamento, una condotta concorrente nell’illegittima apprensione ed irreversibile trasformazione dei terreni in
questione.
Deve quindi darsi ulteriore continuità alla regola del
tutto consolidata, che nel caso di illegittima occupazione e trasformazione dell’immobile privato, non vi è,
nè vi potrebbe essere ragione per tutelare il soggetto
o i soggetti che hanno effettivamente agito per realizzare tale risultato al di fuori della procedura espropriativa; e non vi è peraltro alcuna norma che autoriz-

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atti della procedura ablativa, per cui l’apprensione e

zi il distacco della sua responsabilità dall’attività
compiuta; e mantenere fermo il principio, del tutto pacifico anche nella giurisprudenza meno recente (Cass.,

tenore dell’art. 2043 c.c., sono proprio detti soggetti, quali ne siano le qualifiche (concedente/concessionario/assegnatario), che hanno proceduto
alla materiale apprensione del bene, al compimento delle attività anche giuridiche necessarie a tal fine,
nonché all’esecuzione dell’intervento manipolativo, i
titolari passivi del rapporto obbligatorio collegato ai
danni provocati da tale illegittima attività.
3 – Il secondo mezzo, con il quale, denunciandosi violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio motivazionale, si
censura il rigetto del motivo di appello inerente alla
violazione del principio della corrispondenza fra il
chiesto e il pronunciato, per essere stata accolta,
sotto il profilo del danno derivante da occupazione
usurpativa, una domanda avanzata in relazione a
un’occupazione espropriativa, è infondato.
La questione posta attiene all’identificazione della
domanda proposta in primo grado, e cioè se essa abbia
avuto ad oggetto esclusivamente il risarcimento del
danno da occupazione espropriativa, ovvero anche da occupazione usurpativa.

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n. 6452 e Cass. n. 6494 del 1980), secondo cui, dato il

La sentenza impugnata ha ben tenuto presente la distinzione fra le due ipotesi e, quindi, non ha omesso di
considerare che la diversità dei due tipi di illecito,

ove si sia agito per il risarcimento da occupazione
espropriativa, la preclusione in appello della domanda
di risarcimento per l’occupazione usurpativa.
Ebbene, posta questa premessa, va osservato che nella
specie l’unico vizio che può venire in rilievo è quello
motivazionale, in ossequio al principio, costantemente
affermato da questa Corte (cfr. la recente Cass. 4 novembre 2013, n. 24676, resa in un caso analogo a quello
in esame), secondo cui l’interpretazione della domanda, in base alla quale il giudice del merito ritenga in
essa compresi o meno alcuni aspetti della controversia,
spetta allo stesso giudice, ed attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà
della parte. Ne consegue che un eventuale errore al riguardo può concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un aspetto
sindacabile in sede di legittimità unicamente come vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.
3.1 – Tuttavia, nel denunciare il vizio in esame, la
ricorrente, pur attribuendo alla Corte territoriale
l’errore di non aver esaminato il contenuto complessivo

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comporta logicamente diversità di domande e determina,

dell’atto di citazione,

si limita ad affermare

l’erroneità dell’interpretazione, senza

neppure

trascrivere ( in violazione del principio di autosuffi-

cessuali.
Ed infatti, il motivo si sviluppa su argomenti generalissimi,e in astratto corretti, concernenti la distinzione delle due fattispecie; prosegue nel riportare
la sentenza impugnata, per affermare, poi, in modo assertivo (pg. 36), che la qualificazione non sarebbe
condivisibile.
La ricorrente non ha invece riprodotto gli atti per dimostrare che la parte, in sede di prospettazione della
domanda, abbia adottato una formula specifica e, al di
là di una descrizione del fatto storico, abbia esposto
precisazioni tutte univocamente ed espressamente vincolanti l’interpretazione ad una particolare fattispecie
genetica del credito, precludendo

in limine l’accerta-

mento della reale natura dell’occupazione, soprattutto
a fronte di una motivazione della sentenza (pagg. 17 e
18) che appare esauriente ed esente da censure sul piano logico-giuridico.
4 – Il terzo motivo, con il quale si denuncia violazione degli artt. 1362, 2043 c.c., degli artt. 40 e 41
c.p., nonché omessa, contraddittoria ed erronea motiva-

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cienza del ricorso) i brani rilevanti degli atti pro-

zione su questioni decisive e rilevanti per la definizione del giudizio, è incentrato sulla scrittura privata in data 7 febbraio 1991, avente ad oggetto il con-

rito all’occupazione dei terreni, anche dopo
l’ordinanza di sospensiva emessa dal TAR di Pescara in
data 7 giugno 1990. Si sostiene in primo luogo che nella specie non può applicarsi il principio, pure richiamato dalla Corte territoriale, secondo cui gli accordi intervenuti fra l’espropriante e i privati, fondati sul presupposto della validità della procedura
espropriativa, perdono efficacia allorché la stessa non
si perfezioni, in quanto nella specie, come emergerebbe
anche dal tenore della scrittura, i proprietari avevano
manifestato il loro convincimento in merito alla natura
illegittima della procedura. Si afferma quindi che
l’accordo transattivo avrebbe determinato il carattere
lecito della intervenuta manipolazione del fondo, ricollegabile eziologicamente al consenso prestato dai
proprietari, mediante rinuncia agli effetti della sospensiva, facendo così venir meno – attraverso
l’interruzione del nesso causale – il carattere illecito della condotta materiale di realizzazione
dell’opera, a prescindere dalla sua illegittimità sotto
il profilo amministrativo.

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senso da parte degli eredi De Cecco all’impresa in me-

4.1 – La censura, tendente iperbolicamente ad addossare alle vittime dell’altrui condotta illecita, come sopra evidenziata, le conseguenze dell’evento lesivo,

oltre a non specificare quali canoni interpretativi
siano stati violati dalla corte di appello, e ad omettere di richiamare l’intero contenuto del documento,
del quale vengono estrapolati solo alcuni brani, non
critica in maniera adeguata la

ratio decidendi

della

sentenza impugnata, secondo cui la rinuncia agli effetti dell’ordinanza di sospensione, inerente a un aspetto
di natura meramente processuale, non comportava alcuna
conseguenza, sul piano sostanziale, circa il carattere
illecito dell’occupazione, in merito al quale venivano
avanzate ampie riserve anche in ordine alla proponibilità, in futuro, di azioni risarcitorie.
Infatti le deduzioni della ricorrente, pur attingendo,
aspetti di carattere generale, come il tema
dell’interruzione del nesso causale a seguito del consenso dei proprietari, si rivelano – laddove postulano
una lettura di tale consenso difforme da quella fornita
nella decisione impugnata – come dirette a sostituire,
in maniera del tutto inammissibile, la propria interpretazione della volontà delle parti a quella del giudice del merito.

16

presenta vari profili di inammissibilità, in quanto,

5 – Il quarto motivo, con il quale si contesta, denunciandosi violazione della 1. n. 865 del 1971 e
dell’art. 16 della 1. n. 504 del 1992, nonché vizio mo-

lo della natura edificatoria dell’area, è inammissibile, perché è diretto a contestare un accertamento che
non risulta censurato nella fase del gravame, con conseguente novità della questione proposta in questa sede.
Per altro il richiamo all’art. 16, d.lgs. n. 504 del
1992, concernente la rilevanza limitativa della dichiarazione ai fini ICI, è superato alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 338 del
2011.
6 – Parimenti inammissibile è il quinto motivo, che
concerne la statuizione relativa al risarcimento dei
danni relativi ai terreni relitti, in quanto difetta
del contenuto argomentativo minimo per integrare una
ammissibile censura.
Infatti, il mezzo consiste nella narrazione delle deduzioni svolte in appello dalle parti espropriate e nella
sintesi in parte qua della sentenza, risolvendosi poi
(pg. 50) la censura si risolve, in una prima parte,
nella riproduzione della sentenza di primo grado, per
affermarne che sarebbe questa invece condivisibile,

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tivazionale, la liquidazione del danno, sotto il profi-

nonché nella prospettazione di un’eccezione di giurisdizione, palesemente inammissibile, perché coperta
dal giudicato interno, ed, infine, nell’assertiva af-

inutilizzabilità delle aree relitte.
7 – Il sesto motivo, con cui si deduce violazione degli
artt. 2043 e 1362 c.c., nonché vizio motivazionale, è
manifestamente inammissibile, perché, in maniera assolutamente laconica ed apodittica si afferma (senza che
sia rinvenibile una censura di violazione di legge o di
motivazione carente)) l’inammissibilità delle domande
attinenti al periodo di occupazione legittima.
8 – Passando all’esame del ricorso proposto in via incidentale dalle Amministrazioni, deve osservarsi che il
giudizio di inammissibilità del gravame proposto in via
incidentale dalle stesse non implica, attesa la scindibilità delle posizioni dei soggetti ritenuti responsabili, alcuna violazione in materia di litisconsorzio,
da escludersi anche sotto il profilo “processuale”
(Cass., 25 luglio 2008, n. n. 20476; Cass., 11 febbraio
2008, n. 3338).
9 – Sempre in via preliminare, deve constatarsi
l’infondatezza dell’eccezione, sollevata dai controricorrenti, di inammissibilità del ricorso incidentale,

18

fermazione dell’erroneità della valutazione di parziale

perché non notificato in un numero di copie corrispondenti alle parti, difese tutte da un unico avvocato.
La giurisprudenza di questa Corte (a partire dalle de-

recente Cass. n. 7654 del 2013) si è, infatti, consolidata nell’affermare che la notificazione dell’atto
d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia
(o di un numero inferiore), è valida ed efficace in
virtù della generale applicazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, alla
luce del quale deve ritenersi che non solo in ordine
alle notificazioni endoprocessuali, regolate dall’art.
170 cod. proc. civ., ma anche per quelle disciplinate
dall’art. 330 primo comma, cod. proc. civ., il procuratore costituito non è un mero consegnatario dell’atto
di impugnazione ma ne è il destinatario, analogamente a
quanto si verifica in ordine alla notificazione della
sentenza a fini della decorrenza del termine d’impugnazione “ex” art. 285 cod. proc. civ., in quanto investito dell’inderogabile obbligo di fornire, anche in virtù
dello sviluppo degli strumenti tecnici di riproduzione
degli atti, ai propri rappresentati tutte le informazioni relative allo svolgimento e all’esito del processo.

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cisione, a Sezioni unite, n. 29290 del 2008, fino alla

10 – Con il primo motivo del ricorso incidentale si
censura la sentenza impugnata per aver dichiarato inammissibile l’appello incidentale, in quanto proposto con

di 20 giorni, computato con riferimento all’udienza di
prima comparizione, indicata nell’appello principale in
quella del 14 maggio 2005.
Al riguardo è pacifico che il rinvio d’ufficio dell’udienza, a norma dell’art. 168-bis, quarto comma, cod.
proc. civ. non determina la riapertura dei termini per
il deposito della comparsa e per la proposizione
dell’appello incidentale, avendo la Corte costituzionale reiteratamente dichiarato infondate le questioni di
costituzionalità relative a tale ultima norma (da ultimo ord. n. 174 del 2013).
Dall’esame degli atti processuali, consentito dalla natura procedurale del vizio denunciato, emerge che il
differimento è avvenuto ai sensi dell’art. 168-bis
quinto comma c.p.c..
La censura deve, quindi, ritenersi fondata, dovendo applicarsi il principio secondo cui ai sensi dell’art.
343, primo comma, cod. proc. civ., l’appello incidentale si propone, a pena di decadenza, nella comparsa di
risposta, all’atto della costituzione in cancelleria ai
sensi dell’art. 166 cod. proc. civ.. Poiché tale costi-

20

la comparsa di costituzione depositata oltre il termine

tuzione deve avvenire almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione,
ovvero differita d’ufficio dal giudice, ai sensi

il giudice si avvalga di tale facoltà di differimento,
il termine per la proposizione dell’appello incidentale
va calcolato assumendo come riferimento la data dell’udienza differita, e non quella originariamente indicata
nell’atto di citazione (Cass., 24 genaio 2011, n. 1567;
Cass., 19 febbraio 2009, n. 4030).
11

L’accoglimento di

detto motivo

comporta

l’assorbimento del secondo e del terzo, perché non esaminati a causa della ritenuta inammissibilità
dell’appello incidentale.
12 – Il quarto e il quinto motivo, che prescindono
dall’inammissibilità dell’appello incidentale, ed attengono alla pretesa novità della domanda di risarcimento da occupazione usurpativa, coincidono con le censure del ricorso principale che tale questione hanno
posto.
Valgano, quanto al giudizio in merito alla loro infondatezza, le considerazioni sopra svolte.
13 – In conclusione, vanno accolti il primo motivo del
ricorso incidentale, assorbiti il secondo e il terzo,
mentre il ricorso principale e gli altri motivi

21

dell’art. 168-bis, quinto comma, cod. proc. civ., ove

dell’impugnazione proposta in via incidentale, vanno
rigettati.
La sentenza impugnata, va, quindi, cassata in relazione

Corte di appello dell’Aquila, in diversa composizione.
Al rigetto dell’impugnazione proposta in via principale
consegue la condanna dell’impresa al pagamento delle
spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti il secondo e il terzo, rigetta nel resto nonché il ricorso principale, condannando la ricorrente Impresa Di Vincenzo al pagamento, in favore
dei controricorrenti De Cecco, delle spese processuali, che liquida in C 10.200,00, di cui E 200,00 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello dell’Aquila, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
prima sezione civile, il 9 gennaio 2014.

al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla

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