Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17777 del 30/08/2011

Cassazione civile sez. III, 30/08/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 30/08/2011), n.17777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15456/2009 proposto da:

P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, V. DELLA MARATONA 81, presso lo studio dell’avvocato FRANCO

GLANDARELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato MANCINI Fulvio

unificata giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

comtro

ENEL DISTRIBUZIONE SPA – (OMISSIS) (società con unico socio,

soggetta a direzione e coordinamento di ENEL S.p.A.), in persona

dell’ing. M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.

CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato BERNARDINI SVEVA,

rappresentato e difeso dagli avvocati ATTINA’ Salvatore, ATTINA’

ARMANDO giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 132/2008 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, Sezione Civile, emessa il 28/04/2008, depositata il

05/05/2008; R.G.N. 217/2003.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato MANCINI FULVIO;

udito l’Avvocato ATTINA’ ARMANDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 132/08 del 2008 la Corte d’Appello di Reggio Calabria respingeva il gravame interposto dalla sig. P.G. nei confronti della pronunzia Trib. Reggio Calabria 13/3/2002 di rigetto della domanda proposta nei confronti della società Enel Distribuzione s.p.a. di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di incendio sviluppatosi all’esito di corto circuito verificatosi a monte del contatore.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la P. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.

Resiste con controricorso la società Enel Distribuzione s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va anzitutto rigettata l’eccezione sollevata dalla controricorrente di tardività del ricorso per decorso del termine ex art. 327 c.p.c..

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, per effetto del combinato disposto degli artt. 133 e 327 c.p.c., il termine annuale per l’impugnazione della sentenza non notificata inizia a decorrere dalla data della sua pubblicazione, e, laddove sulla sentenza pubblicata come nella specie appaiano due date, una di deposito in cancelleria da parte del giudice e l’altra, successiva, di pubblicazione indicata come tale dal cancelliere, è a quest’ultima che deve aversi riguardo ai fini della decorrenza del termine (v.

Cass., 24/6/2009, n. 14862; Cass., 19/6/2008, 12681).

Ai sensi dell’art. 133 c.p.c., la sentenza è infatti “resa pubblica” con il deposito in cancelleria, di cui il cancelliere “dà atto”, apponendo data e firma in calce alla sentenza, e la parte interessata legittimamente fa affidamento, ai fini dell’esercizio dei propri poteri e diritti processuali, su tale data, che deve intendersi come quella di effettiva pubblicazione, costituente elemento essenziale per l’esistenza giuridica della sentenza cui attribuisce il carattere di atto pubblico irretrattabile ed immodificabile (v. Cass., 15/7/1980, n. 4571) dalla quale decorrono i termini per gli adempimenti a carico del cancelliere di cui al secondo comma dell’art. 133 c.p.c. (consistenti nell’iscrizione della sentenza nel registro cronologico e nella certificazione di tale iscrizione, nonchè gli avvisi alle parti dell’avvenuto deposito del dispositivo:

v. Cass., 15/7/1980, n. 457), ma anzitutto decorrono per le parti (e per i terzi) formalità estrinseche all’atto e non incidenti sull’esistenza, sulla regolarità e sulla eseguibilità di esso di cui all’art. 133 c.p.c., comma 2, i termini di legge a fini d’impugnazione.

In tal caso, il timbro più remoto non può considerarsi altrimenti che un’indicazione erronea, la quale non può invero ridondare a scapito delle parti, che non possono vedersi incisi o penalizzati i propri poteri e diritti processuali, come indubitabilmente avviene laddove i termini di legge a fini d’impugnazione si ritengano decorrere dalla prima e più remota data.

La riduzione dei suddetti termini di legge (se non addirittura completa vanificazione, come in caso di secondo – timbro di pubblicazione apposto a termine ex art. 327 c.p.c., già decorso ) non può farsi infatti discendere da erronee condotte sulle quali le parti non hanno poteri di controllo e di incidenza.

Il primo e più remoto timbro non può allora intendersi che alla stregua di quello apposto (come sovente avviene, pur se erroneamente, o quantomeno ultroneamente, non essendo richiesto dalla legge) dal cancelliere in occasione del deposito della minuta ex art. 119 c.p.c., con effetti invero meramente “interni”, in ordine ad esempio al rispetto dei termini per la redazione e deposito della sentenza da parte del magistrato ai fini della responsabilità disciplinare. E ciò anche allorquando come nella specie manchi la precisazione (sovente apposta a penna, in aggiunta a margine dell’attestazione a timbro) che trattasi appunto di minuta, priva di rilevanza esterna e non precludente la modificazione della sentenza prima del suo deposito ufficiale a norma dell’art. 133 c.p.c. (cfr. Cass., 4/3/2009, n. 5245. V. anche Cass., 8/6/1977, n. 2349; Cass., 4/1/1977, n. 9).

Orbene, avendosi riguardo al timbro più recente in data 15/5/2008 (anzichè a quello più remoto del 5/5/2008) il termine ex art. 327 c.p.c., non risulta nella specie decorso, essendo stato il ricorso per cassazione incontestatamente notificato all’odierna controricorrente in data 23/6/2009.

Va a tale stregua disattesa la diversa tesi, sulla quale si fonda l’eccezione della controricorrente – e da questa Corte pure a volte sostenuta – secondo cui ove la sentenza presenti, oltre alla firma del giudice, due timbri di deposito entrambi sottoscritti dal cancelliere, al fine di individuare il giorno del deposito, dal quale decorre il termine di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., dovrebbe farsi riferimento alla prima data, ed intendersi il successivo timbro di deposito come relativo agli adempimenti a carico del cancelliere medesimo ex art. 133 c.p.c., comma 2, argomentandosi dalla ravvisata impossibilità di attestarsi un evento (la pubblicazione della sentenza) già verificatosi, se non nei limiti che alla più recente data l’atto risultava “già pubblicato” (v.

Cass., 30/3/2011, n. 7240; Cass., 29/9/2009, n. 20858; Cass., 23/7/2009, n. 17290, V. anche Cass., 19/4/2011, n. 8979).

Tesi invero rispettosa del tenore formale dell’art. 133 c.p.c., ma non anche della sua funzione, e, come detto, suscettibile di violare il diritto di difesa delle parti.

Con unico motivo la ricorrente denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo è inammissibile.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone infatti che, in caso di denunzia di vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione il motivo deve indefettibilmente contenere la sintetica et riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c., rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso (non avendo il ricorrente d’altro canto denunziato error in procedendo ex art. 112 c.p.c., nè vizio revocatorio) il motivo con non reca la “chiara indicazione” -nei termini più sopra indicati- delle relative “ragioni”, tali non potendo invero ritenersi il formulato momento di sintesi, invero non recante la sintetica e riassuntiva indicazione del fatto controverso, degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione, degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

All’inammissibilità del motivo consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2011

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