Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17777 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 19/07/2017, (ud. 06/12/2016, dep.19/07/2017),  n. 17777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18160/2011 proposto da:

TEMPTATION SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA VENEZIA 11, presso lo

studio ASSONIME, rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA

PENNELLA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 86/2011 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 01/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato PENNELLA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato TIDORE che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo di

ricorso e il rigetto nel resto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1. La Temptation s.r.l. impugnava con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli l’avviso di accertamento (OMISSIS), con il quale, per l’anno di imposta 2005, l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato i ricavi di impresa, così determinandosi maggiore Ires, Irap e Iva; tanto era avvenuto a seguito della verifica del modello Unico, nonchè del contenuto del processo verbale di accesso presso la sede della società, all’esito del quale era stato accertato, tra l’altro, un maggiore volume di affari e conseguentemente maggiori imposte, applicando al costo del venduto un indice del 32% del valore medio applicato nel settore, in luogo di quello del 17% applicato dalla parte. Deduceva, in proposito, la ricorrente l’insufficienza della motivazione, basata esclusivamente sul metodo degli studi di settore che, invece, non andava applicato nella fattispecie.

2. La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando la percentuale del ricarico sul costo del venduto nella misura del 25%.

3. A seguito di appello della contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza in data 28.2.2011, rigettava l’appello, riformando la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli e confermando l’avviso di accertamento; evidenziava, in proposito di non poter condividere la fissazione della percentuale di ricarica fissata dai primi giudici dovendosi confermare appunto quella di cui all’avviso di accertamento.

4. Propone ricorso la contribuente, affidato a tre motivi, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

5. Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate, concludendo per il rigetto del ricorso.

6. La ricorrente ha prodotto memoria con la quale ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

7. Il ricorso è fondato, quanto al primo motivo, mentre va respinto nel resto.

7.1. Invero, con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.p., n. 4, per ultrapetizione ex art. 112 c.p.c., atteso che la C.T.R., pur in assenza di appello incidentale dell’ufficio finanziario parzialmente soccombente, ha applicato la percentuale del 32% originariamente indicata nell’avviso di accertamento. Tale deduzione merita accoglimento, atteso che la C.T.R., effettivamente, pur in assenza di appello dell’Agenzia delle Entrate, ha “di ufficio” riformato la sentenza della C.T.P. di Napoli, confermando l’avviso di accertamento impugnato. Sul punto, è sufficiente evidenziare che il divieto di “reformatio in peius” costituisce conseguenza delle norme, dettate dagli artt. 329 e 342 c.p.c., in tema di effetto devolutivo dell’impugnazione di merito ed in tema di acquiescenza, che presiedono alla formazione del thema decidendum in appello, per cui, una volta stabilito il quantum devolutum, (Sez. 2, n. 25244 del 08/11/2013) in assenza d’impugnazione della parte parzialmente vittoriosa (appello o ricorso incidentale), la decisione non può essere più sfavorevole all’impugnante e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza impugnata (Sez. 1, n. 14127 del 27/06/2011). Nella fattispecie in esame, la sentenza impugnata ha, dunque, prodotto proprio ciò, a seguito della riforma “di ufficio” della sentenza del primo giudice, che aveva ridotto la percentuale di ricarico con conferma dell’avviso di accertamento impugnato, sicchè essa va cassata con rinvio alla C.T.R. della Campania.

7.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale la Temptation deduce la ricorrenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, è infondato. Secondo la ricorrente, l’accertamento oggetto di impugnazione, fondato sugli studi di settore, avrebbe erroneamente trovato spunto da quanto rilevato da parte dell’Ufficio in relazione all’inventario – per il quale è stata riscontrata l’assenza di elementi costituenti ciascun gruppo e la loro ubicazione, non esplicitando raggruppamenti in categorie omogenee per natura e per valore ed i criteri di formazione, situazione questa rilevante non essendo stata in grado la società di dimostrare la tenuta di distinte inventariali in mancanza di inventario redatto secondo i criteri indicati – laddove le distinte giustificative dell’esonero dell’obbligo di redazione di categorie omogenee per la redazione dell’inventario erano contenute nel registro tenuto in ossequio alle leggi sulla pubblica sicurezza.

Tale deduzione in fatto, inammissibile in questa sede, non si presenta comunque decisiva, non essendo dirimenti le “peculiari” modalità di tenuta di tali distinte, in relazione ad un documento avente finalità diverse, non fiscali, ed anche perchè l’accertamento, per quanto è dato evincere dalla sentenza impugnata, è fondato su plurimi elementi, dai quali è stata ricavata la difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza. Sul punto, l’Ufficio ha correttamente evidenziato che lo scostamento tra l’indice di ricarico calcolato rispetto a quello dichiarato, attesa la mancanza di elementi rinvenibili nelle scritture contabili tali da consentire la classificazione e la valorizzazione delle rimanenze costituisce presunzione che genera l’inversione dell’onere della prova, in quanto spetta al contribuente dimostrare l’infondatezza dello studio applicato.

Giova in proposito richiamare i principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui gli studi di settore, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (Sez. 5, n. 14288 del 13/07/2016).

Nella fattispecie in esame non risulta che la contribuente abbia ottemperato all’onere probatorio su di essa incombente, giustificando lo scostamento e l’indice di ricarica da essa applicato.

7.3. Infondato, siccome del tutto generico, si presenta il terzo motivo di ricorso, con il quale si denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.p., n. 5, per insufficiente motivazione della sentenza impugnata. Invero, la ricorrente non argomenta compiutamente tale doglianza e, comunque, non si ravvisa, in base al percorso argomentativo della sentenza impugnata, il vizio genericamente dedotto.

8. Il ricorso va, in definitiva, accolto quanto al primo motivo di ricorso, con rigetto degli altri motivi; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Campania in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla C.T.R. della Campania in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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