Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17771 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. II, 26/08/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 26/08/2020), n.17771

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25730-2016 proposto da:

C.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI

114/B, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOVAMBATTISTA

FERRIOLO, RANIERI RODA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto n. cron. 573/2016 della CORTE D’APPELLO di

FIRENZE, depositato il 31/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2019 dal Consigliere Dr. GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale e l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato Giovambattista Ferriolo, difensore della ricorrente,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A.M., assumendo che una causa intentata al fine di ottenere l’equo indennizzo per la non ragionevole durata di un pecedente processo, si era, a sua volta, protratta per un complessivo termine irragionevole di oltre quattro anni (dal giugno 2010 all’ottobre 2014), sommando alla durata del giudizio di cognizione quello di esecuzione, in difetto di spontanea esecuzione da parte della P.A., aveva chiesto che le fosse riconosciuto l’indennizzo di legge.

Il Consigliere designato della Corte d’appello di Firenze, con decreto del 4/8/2015, accolta la domanda d’indennizzo per l’irragionevole durata del processo svoltosi ai sensi della L. n. 89 del 2001, condannò il Ministero della Giustizia al pagamento d’un ulteriore indennizzo.

Proposta opposizione da parte della P.A., la Corte d’appello di Firenze, con decisione collegiale resa pubblica il 31/3/2016, revocò il decreto monocratico.

Appare utile, sia pure in estrema sintesi, riportare l’iter argomentativo della decisione collegiale impugnata. La Corte toscana, in primo luogo, afferma la propria competenza, reputando decisivo il fatto che il processo presupposto si fosse “estinto” davanti al Giudice esecutivo, svoltosi davanti al Giudice di Roma, non potendo “parlarsi di grado, bensì di fase”. Di poi, afferma la Corte fiorentina, richiamata la sentenza di legittimità delle S.U. n. 6312/2014, non essere stato superato il termine di ragionevole durata determinato in due anni sei mesi e cinque giorni, sommando la durata della “fase di cognizione e quella della fase di esecuzione”.

Avverso il decreto collegiale propone ricorso, fondato su due motivi, la C..

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso, in seno al quale avanza ricorso incidentale condizionato fondato su due motivi (erroneamente il secondo motivo viene indiato come terzo).

Trattato in adunanza camerale il processo, con ordinanza pubblicata il 15/1/2019, è stato rimesso alla pubblica udienza.

La ricorrente in data 25/11/2019 deposita memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunziante violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, la C. contesta la decisione di merito assumendo che la Corte di Firenze aveva mancato nel non considerare che al fine dell’equo indennizzo occorreva far riferimento all’intero svolgimento processuale (cita la sentenza n. 1184/2014 di questa Corte), da doversi considerare “come unico ed unitario procedimento, da valutare nella sua globale articolazione in fasi, senza poter operare una separazione tra tali fasi stesse”.

Invece la decisione impugnata aveva preso in considerazione, per il computo della ragionevolezza della durata, per quel che concerne la fase dell’esecuzione, solo il tempo trascorso dalla notifica del precetto in poi (12/3/2014).

Sulla scorta dei manifestati orientamenti del Giudice di legittimità e della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in assenza di spontaneo adempimento da parte dello Stato, condannato al pagamento dell’indennizzo, la garanzia costituzionale all’effettività della tutela e l’art. 6, p. 1, Carta EDU, imponeva di considerare l’unitarietà del processo, fino a raggiunta soddisfazione.

Con la conseguenza, ove la P.A. non adempia nel termine di sei mesi, maggiorato di ulteriori 5 giorni (nel rispetto della giurisprudenza sovranazionale e dell’art. 133 c.p.c.), la c.d. “fase della “esecuzione” si salda con quella della cognizione.

Valendo i principi di cui alla sentenza di legittimità di cui sopra, l’Amministrazione era tenuta pagare l’indennizzo e gli accessori determinati irrevocabilmente dal giudice nel termine di sei mesi (secondo le indicazioni della Corte edu), ulteriormente maggiorato di 5 giorni, ex art. 133 c.p.c., comma 2.

Peraltro, già con il D.L. n. 669 del 1996, art. 14, alla P.A. era stato concesso il termine dilatorio di 120 giorni, fino allo scadere del quale non era consentito neppure notificare il precetto. La Corte di Strasburgo aveva reiteratamente affermato (vengono citati i precedenti Cocchiarella c. Italia e Di Pede c. Italia) che l’esecuzione rendeva effettiva e concreta la pronunzia di merito.

Sulla scorta dei manifestati orientamenti del Giudice di legittimità e della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in assenza di spontaneo adempimento da parte dello Stato, condannato al pagamento dell’indennizzo, la garanzia costituzionale all’effettività della tutela e l’art. 6, p. 1, Carta EDU, imponevano di considerare l’unitarietà del processo, fino a raggiunta soddisfazione.

3. Con il secondo motivo la ricorrente contesta il regolamento delle spese, ipotizzando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè del D.M. n. 55 del 2014, per le seguenti ragioni: la Corte di Firenze non aveva considerato che la pronunzia, si poneva in contrasto con autorevoli precedenti di legittimità e della Corte di Strasburgo, oltre che con la stessa giurisprudenza di quel distretto; ben si giustificava, pertanto, la compensazione delle spese.

4. Il Ministero della Giustizia, con l’impugnazione, espressamente qualificata condizionata, denunzia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, addebitando, con il primo motivo, alla Corte locale di non aver fatto corretta applicazione della norma denunziata “atteso che la inammissibilità della domanda per intervenuta decadenza doveva essere dichiarata in relazione all’intero giudizio presupposto unitariamente inteso”, non essendosi la parte attivata nel termine semestrale (il processo si era concluso davanti alla Corte di cassazione il 18/12/2012, anche a voler considerare l’avvio del procedimento esecutivo dal precetto, questo era stato notificato solo il 1876/2013, nel mentre il ricorso risaliva all’11/5/2015).

5. Con il secondo motivo (qualificato terzo) il Ministero lamenta violazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 1, assumendo l’incompetenza della Corte fiorentina per le seguenti ragioni: il giudizio presupposto (sempre di equo indennizzo) si era svolto davanti alla Corte d’appello di Perugia e il processo esecutivo si era concluso davanti al Tribunale di Roma; pertanto, ai sensi dell’art. 11 c.p.p., richiamato dal predetto art. 3, competente era la Corte d’appello di Perugia.

6. Il primo motivo è infondato sulla scorta dell’assai recente statuizione delle Sezioni Unite (sentenza n. 19883, 23/7/2019, Rv. 654838), la quale dopo aver affermato il principio di diritto secondo il quale ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso ex L. n. 89 del 2001, art. 4, nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, conv. dalla L. n. 134 del 2012, risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2018, la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato-debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato, senza la necessità che essa venga iniziata entro sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione, decorrendo detto termine dalla definitività della fase esecutiva; ha, tuttavia, precisato che nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo non va considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva, quest’ultimo, invece, potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Ciò posto, la ricorrente non può qui dolersi del tempo consumatosi tra la raggiunta esecutività della pronuncia, con la quale la P.A. era stata condannata al pagamento e l’effettivo inizio dell’azione esecutiva, resasi necessaria per l’inadempimento della debitrice.

Or poichè la durata complessiva del processo presupposto, sommando la fase di cognizione quella esecutiva, non supera, secondo l’incontroverso computo di cui al decreto della Corte di Firenze, il termine di ragionevole durata, correttamente risulta essere stata disattesa la domanda.

6. Il secondo motivo deve essere rigettato del pari. Con la censura in discorso, invero, la ricorrente invoca un riesame della valutazione di merito, in questa sede incensurabile.

7. Consegue al rigetto del ricorso principale l’assorbimento di quello incidentale condizionato.

8. L’obiettiva difficoltà interpretativa sul punto controverso costituisce grave motivo per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale;

compensa fra le parti le spese legali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Seconda Civile, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

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