Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17771 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.19/07/2017),  n. 17771

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11570/2012 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS) – UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI VERONA DIREZIONE

GENERALE DEL VENETO C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati LORENZO PICOTTI,

GABRIELLA DE STROBEL, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 687/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/12/2011 R.G.N. 517/2008; il P.M. ha depositato

conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

Che con sentenza in data 27/12/2011 la Corte d’Appello di Venezia a conferma della sentenza del Tribunale di Verona n.251/2007 ha accolto la domanda di C.F. nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione, rivolta a sentir riconoscere il diritto dell’appellante alla ricostruzione della carriera, dalla data di conferma in ruolo dell’1/09/1992 con un’anzianità di anni quindici, mesi tre e giorni venticinque ai fini giuridici ed economici, oltre a mesi otto ai soli fini economici;

Che l’amministrazione scolastica aveva considerato irrecuperabile ai fini economici la predetta anzianità, per aver preso la dipendente, servizio effettivo soltanto a seguito della riammissione conseguente alla conclusione della vicenda penale che l’aveva vista coinvolta e per la quale aveva scontato la pena detentiva di un anno, otto mesi e quindici giorni;

Che la Corte d’Appello, ha riconosciuto il diritto alla ricostruzione della carriera di C.F., sul presupposto che la stessa, supplente incaricata con contratti temporanei, nominata in ruolo in attuazione della L. n. 270 del 1982 dal Provveditore agli Studi di Trento con decorrenza 10/08/1982, si era trovata nell’impossibilità di svolgere il periodo di prova, essendo, al tempo della stabilizzazione sottoposta a sospensione cautelare, durata dal 18/02/1982 al 20/08/1991 – prima obbligatoria, poi facoltativa – per essere imputata di compartecipazione morale in delitti a finalità politico – eversive;

Che, a seguito della sentenza di condanna l’amministrazione, con provvedimento del 20/08/1991, aveva inflitto alla dipendente la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro di sei mesi, per poi riammetterla in servizio, preso atto che detta sanzione, computata con decorrenza dal 18/02/1982, era stata già interamente scontata nell’ambito di un provvedimento di sospensione cautelare di durata di gran lunga superiore ai sei mesi di sospensione disciplinare dal servizio, inflitti a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna;

Che la Corte d’Appello ha ritenuto che il ritardo con il quale C.F. aveva svolto il periodo di prova non fosse dipeso da fatto a lei imputabile, ma dal protrarsi per ben nove anni della sospensione cautelare in ragione della durata del maxiprocesso penale, e che, pertanto, il rapporto d’impiego dovesse ritenersi perfezionato fin dall’atto di nomina in ruolo del 10/08/1982;

Che avverso la sentenza interpone ricorso il Miur con due censure, cui resiste C.F. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che con la prima censura il Miur deduce violazione del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 9, 96 e 97 in quanto la sentenza d’Appello avrebbe omesso di valutare che, essendo scaturite sia la misura cautelare sia la sanzione disciplinare da un’imputazione penale conclusasi con la condanna della controricorrente, l’art. 96 – il quale prevede che qualora la sospensione cautelare ecceda nella sua durata quella della sanzione disciplinare, il dipendente pubblico ha diritto alla ricostruzione della carriera con il computo dell’intera anzianità di servizio anche ai fini economici – non sarebbe applicabile al caso controverso;

Che sempre nel primo motivo di ricorso, il Miur deduce che la Corte territoriale abbia errato nel non seguire l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo la quale non può attribuirsi all’amministrazione alcuna responsabilità per l’interruzione del rapporto del dipendente incolpato, ma che tale responsabilità ridondi a carico del solo autore delle condotte delittuose e, pertanto, il principio valido ed erroneamente disapplicato dalla Corte territoriale sarebbe quello di corrispettività della retribuzione previsto al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 9, comma 2;

Che nel secondo motivo il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’Appello di Venezia si sia astenuta dall’apprezzare gli effetti del giudicato amministrativo intervenuto tra le parti, costituito dalla decisione del Consiglio di Stato n.77/2001; che tale motivo è sollevato dal Miur anche sotto il diverso profilo dell’omessa pronuncia sul fatto decisivo ai fini della soluzione della controversia dell’esistenza di una decisione che aveva statuito la correttezza dell’operato dell’amministrazione di non corrispondere l’intera retribuzione, per avere la stessa controricorrente dichiarato che durante il periodo di sospensione cautelare aveva prestato attività professionale retribuita;

Che va preliminarmente ricordato come la normativa applicabile ratione temporis alla controversa vicenda è quella contenuta nel D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 9, 96 e 97 (Testo unico sugli impiegati civili dello Stato) (Cass. n.20967/2016), e che pertanto, la soluzione al caso in esame deve essere collocata nell’ambito dei principi pubblicistici che hanno ispirato la disciplina del rapporto d’impiego con la pubblica amministrazione fino a quando il legislatore non ha inteso imprimere un mutamento radicale a tale inquadramento, stabilendo, tra l’altro, che la materia della sospensione cautelare fosse soggetta a delegificazione a decorrere dalla stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994- 1997 (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69);

Che quanto alle censure prospettate dal ricorrente, la prima è fondata e va accolta;

Che la Corte d’Appello di Venezia erroneamente ha interpretato come interdipendenti i due principi – guida che governano la fattispecie (D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 96 e 9), là dove, a un più corretto esame, non solo essi non appaiono necessariamente connessi, ma, qualora considerati tali, conducono a conclusioni devianti rispetto alla complessiva ratio legis nel senso di seguito chiarito:

a) il primo principio riguarda il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 96, comma 2, secondo il quale il periodo di sospensione cautelare va computato nella sanzione disciplinare sospensiva. La norma prevede altresì che quando la sospensione cautelare è di durata superiore a quella disciplinare, il pubblico dipendente ha diritto alla ricostruzione della carriera con il computo dell’intera anzianità anche ai fini economici, dedotte in ogni caso le somme corrisposte a titolo di assegno alimentare (comma 3);

b) il secondo concerne l’art. 9, rubricato “Nomina in prova”, dove al comma 2, si afferma che la nomina dell’impiegato che per giustificato motivo assume servizio con ritardo sul termine prefissatogli decorre agli effetti economici dal giorno in cui lo stesso prende servizio (cd. principio di corrispettività);

Che la parte motiva della sentenza con cui la Corte territoriale, coniugando i due principi sopra richiamati, assume che la lavoratrice, a causa della lunghissima sospensione cautelare dal servizio, è stata impossibilitata, per una ragione a lei non imputabile, a svolgere il periodo di prova richiesto per il perfezionamento del rapporto d’impiego, non si rivela in grado di disattendere le ragioni dell’amministrazione;

Che il richiamo all’art. 96, comma 1, non è pertinente al caso in esame, in quanto esso, con riferimento al computo della sospensione cautelare, fornisce strumenti e criteri alle amministrazioni per modulare i periodi sospensivi nella direzione di un’attenuazione del regime interdittivo quando la sanzione disciplinare è di durata inferiore alla sospensione cautelare, attraverso il computo della prima nella seconda;

Che l’art. 96, comma 2, che sancisce il diritto del dipendente alla ricostruzione della carriera anche ai fini economici (cd. restitutio in integrum) quando la sospensione cautelare è superiore a quella disciplinare, non può che riferirsi ai soli rapporti d’impiego già perfezionati col verificarsi della condizione risolutiva del positivo superamento del periodo di prova;

Che il periodo di prova, nel processo di progressiva formazione del rapporto d’impiego in regime pubblicistico, è elemento costitutivo del perfezionamento della fattispecie, ed ha per obiettivo di consentire all’amministrazione di accertare se il giudizio espresso in sede selettiva sulla preparazione culturale del candidato trovi conferma nella capacità ed attitudine dello stesso in relazione alle mansioni inerenti al posto (C.St., V, n.699/1981);

Che secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, nel pubblico impiego non contrattualizzato il periodo di prova si distingue dal periodo successivo al superamento della prova per essere il primo sottoposto al verificarsi della condizione risolutiva della conferma in ruolo, la quale, perfeziona la costituzione del rapporto fin dall’origine (tra tutte v. Cons. St., 6, n.892/1988);

Che pertanto, l’applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 96 deve essere ritenuta esclusa nel caso in esame, riferendosi la norma ai soli rapporti d’impiego pubblico già perfezionati per il positivo esito della prova;

Che una volta affermata l’inapplicabilità del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 96 al caso in esame trova compiuta applicazione la norma generale sulla nomina in prova contenuta nell’art. 9 che, al comma 2, disciplina l’ipotesi del ritardo giustificato nell’assunzione in servizio (in prova) di un impiegato, stabilendo che ai fini economici la nomina decorra dal giorno in cui egli prende effettivo servizio (cd. principio di corrispettività), mentre non si adatta evidentemente alla questione controversa il comma 3 della stessa norma, che riguarda la diversa ipotesi di decadenza dal servizio del dipendente nominato (in prova), il quale senza un giustificato motivo (soggettivo) non si presenti entro il termine stabilito;

Che privo di conducenza – anzi deviante – appare il ricorso al giudizio sull’imputabilità soggettiva del ritardo nel caso in esame, perchè anche qualora si voglia escludere che la responsabilità della mancata presa di servizio sia derivata dalla condotta della dipendente, non si vede come la stessa potrebbe essere posta in capo al Miur, il quale ha assunto le proprie determinazioni nell’adempimento degli obblighi di legge, curando il bilanciamento tra le esigenze pubbliche del servizio rappresentato e la tutela lavorativa della controricorrente colpita da condanna penale;

Che l’obiezione mossa dalla controricorrente secondo cui l’imputabilità del ritardo starebbe in capo al Ministero, poichè questi, pur possedendo il potere di porre fine alla sospensione cautelare (facoltativa) non lo avrebbe esercitato, mal si coniuga, sul piano logico argomentativo, con la ratio di un istituto di natura squisitamente discrezionale, avendo la legge, una volta esaurita la misura cautelare obbligatoria, riservato all’amministrazione la valutazione del persistere dell’esigenza cautelare;

Che la sentenza d’Appello è errata, nella parte motiva, là dove dall’erogazione alla controricorrente dell’assegno alimentare pretende di desumere che il rapporto d’impiego debba considerarsi già instaurato, pur anteriormente alla presa di servizio;

Che secondo la condivisibile giurisprudenza amministrativa, l’istituto della sospensione cautelare presuppone costituito il rapporto al momento della sua adozione, ma non richiede anche la presenza in servizio dell’impiegato (Cons. St. 6, n.373/1964), cosicchè, anche al dipendente che non abbia ancora preso servizio va riconosciuto il diritto a percepire l’assegno alimentare, senza che da ciò possa farsi conseguire che il rapporto si sia già perfezionato;

Che del resto la natura “assistenziale” dell’assegno ne rende la funzione compatibile col rapporto d’impiego, formalmente costituito ma ancora statico nella produzione degli effetti sotto il profilo economico, a causa della mancata presa di servizio per il protrarsi dell’esigenza cautelare; e che, correttamente l’amministrazione ne ha compensato l’ammontare con gli altri redditi dichiarati dalla lavoratrice nel periodo di vigenza della sospensione cautelare;

Che il secondo motivo di censura è infine inammissibile, perchè il ricorrente si richiama alla sentenza del Consiglio di Stato n. 77/2001 e al provvedimento amministrativo del 20/08/1991, n. 1054 del Sovrintendente Scolastico di Trento ma non provvede all’allegazione di tali fonti interpretative, nè ne riporta i brani essenziali, con ciò venendo meno al principio di specificità dei motivi di ricorso per Cassazione, per il quale il ricorrente, qualora proponga censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto ad assolvere il duplice onere, di cui agli artt. 366, n.6 e 369, n.4, cod. proc. civ. (Cass. Sez. Un. n.5698/2012 e n.22726/2011);

Che, pertanto, il ricorso, fondato il primo mezzo e infondato il secondo, va accolto e la sentenza cassata.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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