Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1777 del 28/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 1777 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 20600-2011 proposto da:
VITO AUGUSTO C.F. VTIGST35A01F839Q, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 9, presso lo
studio dell’avvocato AGUGLIA BRUNO, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
3284

contro

COMUNE DI VITERBO, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato RAMPELLI
ELISABETTA, che lo rappresenta e difende, giusta

Data pubblicazione: 28/01/2014

;

delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza definitiva n. 8961/2009 della
CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/08/2010
R.G.N. 1152/2007;

CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/04/2009
R.G.N. 1152/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/11/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
MAMMONE;
udito l’Avvocato AGUGLIA BRUNO;
udito l’Avvocato GIANNINI MARINA per delega RAMPELLI
ELISABETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza non defintiva n. 5887/2008 della

1.- Con ricorso per provvedimento di urgenza al Giudice del
lavoro l’Avv. Vito Augusto impugnava il licenziamento con preavviso
irrogatogli in data 22.09.00 dal Comune di Viterbo, del quale era stato
dipendente quale addetto all’ufficio legale comunale. Con ordinanza ex
art. 669 sexies c.p.c. il Tribunale di Viterbo accoglieva la domanda
cautelare e ordinava al Comune di non dare corso al licenziamento e di
reintegrare l’istante nel posto di lavoro. Il reclamo contro l’ordinanza
era rigettato dal Tribunale in composizione collegiale.
2.- Introdotto il giudizio di merito e dichiarato dal Giudice del
lavoro illegittimo il licenziamento, il Comune proponeva appello
contestando con il primo motivo la sentenza nella parte in cui aveva
ritenuto che il licenziamento era stato irrogato intempestivamente e
sostenendo nel merito la correttezza del recesso, sussistendo le ragioni
che ne avevano determinato l’irrogazione.
3.- La Corte d’appello di Roma con sentenza non definitiva del
1°.04.09 accoglieva il primo motivo, ritenendo tempestiva l’irrogazione
della sanzione. Con sentenza definitiva del 18.08.10 la stessa Corte
accoglieva la rimanente parte dell’impugnazione, rilevando come il
licenziamento fosse stato originato dall’atteggiamento assenteista del
dipendente, che aveva dato luogo ad un comportamento di gravità tale
da giustificare la sanzione espulsiva.
4.- Avverso entrambe le sentenze il Vito propone ricorso per
cassazione illustrato da memoria, al quale risponde con controricorso il
Comune di Viterbo.
Motivi della decisione
5.- Il ricorrente deduce due motivi di ricorso.
5.1.- Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 24, c. 6, del
ceni 6.07.95 e carenza di motivazione, contestando la sentenza non
definitiva nella parte in cui ritiene che, avendo ricevuto il Vito la
contestazione in periodo di congedo per malattia, il procedimento
disciplinare doveva ritenersi sospeso fino alla cessazione del congedo,
di modo che il termine per l’irrogazione della sanzione previsto dalla
norma collettiva (gg. 120 dalla contestazione) doveva ritenersi
rispettato. Sostiene, invece, parte ricorrente che non esiste alcun
automatismo tra la malattia e la sospensione del procedimento
disciplinare e che tale sospensione avrebbe dovuto essere frutto di un
provvedimento esplicito dell’Amministrazione, da emanare solo ove ne
fosse stata effettuata richiesta dal lavoratore allo scopo di spiegare la
sua difesa.
1. Vito Augusto c. Comune di Viterbo (20600-11)

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Svolgimento del processo

1. Vito Augusto c. Comune di Viterbo (20600-11)

2

5.2.- Carenza di motivazione, in quanto la Corte d’appello
avrebbe erroneamente valutato tanto le circostanze di fatto che
determinarono il licenziamento, quanto le risultanze istruttorie
acquisite a proposito degli addebiti contestati
6.- Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’erronea
interpretazione dell’art. 24 del ccril 6.7.95 (Contratto 1994-1997) per il
personale del comparto regioni-enti locali, per la quale “il
procedimento disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dalla data
della contestazione d’addebito. Qualora non sia stato portato a termine
entro tale data, il procedimento si estingue” (c. 6). Il giudice avrebbe
dovuto rilevare l’estinzione del procedimento disciplinare, atteso che
tra la data di contestazione dell’addebito (19.04.00, data di ricevimento
da parte del Vito dell’atto di contestazione del 13.04.00) e quella di
irrogazione del licenziamento (22.09.00) era decorso un lasso di tempo
superiore ai 120 giorni.
Al riguardo deve premettersi che l’art. 2110, c. 2, c.c. prevede
che nel caso di malattia del lavoratore il datore possa recedere dal
rapporto di lavoro solo dopo il decorso del periodo di conservazione
del posto di lavoro fissato dalla legge e dai contratti collettivi. Le
disposizioni dell’art. 2110 c.c., infatti, impediscono al datore di lavoro
di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite
di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto comporto), nell’ambito di un
contemperamento degli interessi confliggenti del datore stesso (a
mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del
lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi
senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione), così
riversando sull’imprenditore il rischio della malattia del dipendente.
La giurisprudenza della Corte ha, tuttavia, coordinato tale
principio in relazione alle varie fattispecie legali di recesso prevedendo
che lo stato di malattia: a) non preclude l’irrogazione del licenziamento
per giusta causa, non avendo ragion d’essere la conservazione del
posto durante la malattia in presenza di un comportamento che non
consente la prosecuzione neppure temporanea del rapporto (v. tra le
altre Cass. 1.06.05 n. 11674 e 27.02.98 n. 2209); b) parallelamente
sospende l’efficacia del licenziamento per giustificato motivo o il
decorso del periodo di preavviso (se la malattia sia intervenuta durante
tale periodo) (Cass. 10.10.13 n. 23063 e 4.07.01 n. 9037). Ne consegue
che il licenziamento, che non sia irrogato per giusta causa, durante lo
stato di malattia è sospeso fino alla guarigione e da quel momento
riprende la sua efficacia (Cass. 7.01.05 n. 239 e 6.08.01 n. 10881).
Nel caso di specie, dunque, il momento di sofferenza del
procedimento di licenziamento irrogato all’avv. Vito va individuato
non nella circostanza che l’addebito sia stato contestato durante lo

1. Vito Augusto c. Comune di Viterbo (20600-11)

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stato di malattia, atteso che l’efficacia della contestazione rimarrebbe a
sua volta sospesa fino al momento della guarigione, ma nella verifica
dell’effettivo godimento delle garanzie apprestate dalla legge e dalla
norma contrattuale per l’esercizio di difesa del lavoratore. Al riguardo,
infatti, la giurisprudenza di legittimità, proprio con riferimento alla
disposizione contrattuale ora in esame, ha enunziato il principio che
qualora il contratto collettivo preveda termini volti a scandire le fasi del
procedimento disciplinare e un termine per la conclusione di tale
procedimento, solo quest’ultimo é perentorio, con conseguente nullità
della sanzione in caso di inosservanza, mentre i termini interni sono
ordinatori e la violazione di essi comporta la nullità della sanzione solo
nel caso in cui l’incolpato denunci, con concreto fondamento,
l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà della sua difesa (tra le altre v.
Cass. 12.03.10 n. 6091 e 19.11.10 n. 23484).
7.- Nel caso di specie, secondo quanto accertato dal giudice di
merito e ribadito dal ricorrente stesso con il ricorso, il dipendente
aveva fruito di un periodo di malattia dal giorno 12.04.00 al 20.08.00,
di modo che la contestazione scritta dell’addebito (inviata dal datore il
13.04 e realizzatasi il 19.04.00 con il ricevimento dell’atto scritto)
intervenne durante il periodo in cui il diritto di recesso del datore è
sospeso, ai sensi dell’art. 2110, c. 2, c.c. Sempre nel giudizio di merito è
emerso che dopo il 20.08.00 il Comune di Viterbo in data 23.08.00
reiterò la “convocazione scritta per la difesa” prevista dall’art. 24 del
ccn1 (c. 3) già inviata il 26.04.00 in costanza del periodo di malattia.
Facendo applicazione dei principi enunziati al paragrafo che
precede, deve dunque rilevarsi che la contestazione fu validamente
effettuata nel corso del periodo di malattia, anche se — a seguito della
sospensione di efficacia ex art. 2110 c.c. — divenne operante solo dal
momento della guarigione. Tale considerazione comporta che il lasso
di tempo intercorso tra la contestazione (rectius il momento di efficacia
della contestazione) e la irrogazione del licenziamento, corrispondente
alla durata massima del procedimento disciplinare scansita dall’art. 24
del ccnl, deve essere fissato in misura pari al periodo 20.08.00 —
22.09.00, ovvero in termini largamente rientranti in quelli massimi
indicati dal sesto comma della disposizione collettiva (in termini
sostanzialmente analoghi v. Cass. 4.04.06 n. 7848).
Con queste precisazioni, deve ritenersi corretta la motivazione
della sentenza non definitiva del giudice di appello e di conseguenza
deve essere rigettato il primo motivo.
8.- E’ infondato anche il secondo motivo, con il quale è dedotta
carenza di motivazione per l’incoerente valutazione delle circostanze di
fatto che determinarono il licenziamento.

pi

Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso e condanna :da ricorrente alle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in € 100 (cento) per esborsi ed in €
3.500 (tremilacinquecento) per compensi, oltre Iva e cpa.
Così deciso in Roma il 19 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Le censure mosse al percorso motivazionale del giudice di
appello hanno infatti un contenuto esclusivamente di merito. Le
circostanze di fatto (il comportamento tenuto dal datore di lavoro
antecedente al 27.03.00) che si assumono non prese in considerazione,
sono infatti puntualmente valutate dal giudice (v. pg. 3-4 della sentenza
definitiva) e ritenute ininfluenti per la giustificazione del
comportamento disciplinare contestato al dipendente. Essendo la
motivazione adottata in termini logicamente e congruamente articolati,
deve ritenersi che parte ricorrente con la sua censura intenda sollecitare
il Collegio di legittimità ad un inammissibile riesame del fatto.
9.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, come di seguito liquidate,
conseguono alla soccombenza.
10.- I compensi professionali vanno liquidati in € 3.500 sulla
base del d.m. 20.07.12 n. 140, tab. A-Avvocati, con riferimento alle tre
fasi previste per il giudizio di cassazione (studio, introduzione,
decisione) ed allo scaglione del valore indeterminabile.

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