Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17769 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/08/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 29/08/2011), n.17769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA SICILIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALFREDO CATALANI 4,

presso lo studio dell’avvocato SANTAMARIA FILIPPO ALBERTO,

rappresentata e difesa dagli avvocati FORTINO GIUSEPPE, SINAGRA

NUNZIO, giusta procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARANTO

142/C, presso lo studio dell’avvocato PRUDENTE SIMONA, rappresentato

e difeso dall’avvocato SORBELLO GAETANO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 62/2007 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 12/02/2007 R.G.N. 856/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato FORTINO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 23.1.07 la Corte d’Appello di Messina rigettava il gravame proposto da Banco di Sicilia S.p.A. (soggetto cessionario delle attività e passività della Sicilcassa S.p.A.) contro la sentenza con cui il Tribunale della stessa sede, adito in via di opposizione all’esecuzione, aveva dichiarato l’illegittimità delle detrazioni operate dal predetto istituto di credito – sul risarcimento dei danni ex art. 18 Stat. già accordato in separata sede a C.C. – di quanto da costui percepito (dal 16.11.94 al 28.4.97) per trattamento pensionistico dopo il licenziamento intimatogli, nonchè l’illegittimità delle trattenute per le quote contributive, a carico del lavoratore, sulle retribuzioni corrispostegli in forza della sentenza di reintegra nel posto di lavoro.

Statuivano in proposito i giudici di merito che in sede di opposizione all’esecuzione non poteva rimettersi in discussione quanto stabilito all’esito del giudizio di cognizione, restandovi coperto il dedotto e il deducibile e, quindi, anche la questione delle rate di pensione percepite prima della formazione del titolo esecutivo di reintegra e di relativo risarcimento dei danni in favore del C.; quanto alle rate successive alla formazione del giudicato, la differente natura – previdenziale e non risarcitoria – del trattamento erogato impediva che a riguardo potesse eccepirsi un aliunde perceptum; in ogni caso, il Banco di Sicilia non era legittimato alla ripetizione del preteso indebito, ripetizione semmai spettante all’INPS. Infine, la Corte territoriale negava che si potessero effettuare trattenute a titolo di quote contributive a carico del lavoratore, ostandovi la L. n. 218 del 1952, art. 23, in virtù del quale, in caso di ritardato pagamento dei contributi, il datore di lavoro è tenuto anche per la quota gravante sul lavoratore.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Banco di Sicilia S.p.a.

affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il C..

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. nella parte in cui l’impugnata sentenza ha affermato che la detraibilità o meno del trattamento di pensione erogato al C. nelle more del giudizio di impugnativa del licenziamento costituisce questione non più deducibile in sede di opposizione all’esecuzione, ostandovi il giudicato (che copre il dedotto e il deducibile). Obietta a riguardo la società ricorrente che il giudice dell’esecuzione deve, invece, accertare con esattezza quanto dovuto in forza del titolo esecutivo (la sentenza di reintegra emessa dal Tribunale di Ragusa, nel caso in esame), appartenendo alla successiva fase esecutiva il problema della detraibilità del trattamento pensionistico dalla somma riconosciuta al lavoratore.

La doglianza è infondata.

Per ormai largamente consolidato insegnamento giurisprudenziale di questa S.C., richiamato anche dalla gravata pronuncia e al quale va data continuità, l’ammontare del risarcimento accordato L. n. 300 del 1970, ex art. 18, non può essere diminuito degli importi nel frattempo percepiti dal lavoratore a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicchè le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all’operatività della regola della “compensano lucri cum damno” (cfr. Cass. 11.6.2004 n. 11134; Cass. 17.2.2004 n. 3088; Cass. 9.2.2004 n. 2406; Cass. 1.8.2003 n. 11758; Cass. 24.1.2003 n. 1099;

Cass. S.U. 13.8.2002 n. 12194).

Analogo principio vige per tutte le altre prestazioni di natura previdenziale erogate al lavoratore illegittimamente licenziato (cfr., da ultimo, Cass. 28.4.2010 n. 10164).

Nè può considerarsi compensativo – quale “aliunde perceptum” – del danno arrecato con il licenziamento ogni altro reddito nelle more percepito, ma solo quello conseguito attraverso l’impiego della medesima capacità lavorativa che, in assenza dell’illegittimo recesso, il lavoratore avrebbe adoperato alle dipendenze del datore di lavoro.

Di conseguenza, il trattamento pensionistico non può configurarsi come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore detraibile dall’ammontare del risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro, in quanto la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento, facendo venir meno il presupposto del pensionamento, travolge ex tunc lo stesso diritto dell’assicurato alla prestazione previdenziale e lo espone all’azione di ripetizione dell’indebito da parte del soggetto erogatore della pensione (v. Cass. 14.6.2007 n. 13871; Cass. 22.7.2004 n. 13715; Cass. 1.8.2003 n. 11758; Cass. 20.2.2003 n. 2529; Cass. S.U. 13.8.02 n. 12194), l’unico a tanto legittimato (come giustamente ricordato anche nell’impugnata sentenza).

Ciò assorbe ogni altra considerazione sull’epoca di formazione del giudicato e sulla possibilità, per il giudice dell’esecuzione, di prendere in esame fatti modificativi od estintivi verificatisi successivamente ad esso (per altro, come esattamente ricordato dalla Corte territoriale, quelli anteriori sono preclusi se non dedotti in sede di cognizione, stante la nota regola per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile).

2. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 218 del 1952, artt. 19 e 23, applicabile soltanto al volontario omesso versamento dei contributi alla scadenza del periodo di paga di riferimento, per cui il datore di lavoro resta obbligato anche per la quota che, altrimenti, graverebbe sul lavoratore, mentre nel caso in oggetto non si potrebbe parlare di volontaria omissione contributiva, essendo essa conseguente alla sospensione dal servizio del C.; inoltre, il lavoratore aveva provveduto a pignorare la somma che a suo parere gli sarebbe stata dovuta, in essa compresa quella destinata al versamento dei contributi, in tal modo vincolandola e sottraendola alla disponibilità dell’istituto di credito; da ultimo – prosegue la società ricorrente – la L. n. 300 del 1970, art. 18, non specifica che le retribuzioni dovute a titolo risarcitorio debbano essere versate al lordo dei contributi previdenziali.

Anche tale motivo è infondato.

In virtù di pacifico insegnamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema, la trattenuta, ad opera del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dalla L. 4 aprile 1952, n. 218, art. 19, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell’art. 23, comma 1 citata legge; il datore di lavoro che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito è da considerare – salva la prova di fatti a lui non imputabili -debitore esclusivo dei contributi stessi, anche per la quota a carico del dipendente (cfr.

Cass. 11.2.2011 n. 3375; Cass. 7.7.2008 n. 18584; Cass. 11/07/2000 n. 9198; conf. Cass. 15/7/2002 n. 10258; in anni più remoti v., fra le tante, Cass. n. 13715/1992; Cass. n. 816/88; Cass. n. 3871/87).

Ed ancora nello stesso senso è pure Cass. l/7/2000 n. 8842, che ribadisce che l’accertamento e la liquidazione in giudizio dei crediti pecuniari del lavoratore vanno effettuati al lordo delle ritenute contributive, che non possono essere considerate nell’ambito del giudizio di cognizione giacchè il datore di lavoro può provvedervi in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza.

Nè ha pregio obiettare che, avendo il C. provveduto a pignorare la somma dovutagli, al lordo dei contributi, la società ricorrente si sarebbe vista vincolare e sottrarre proprio gli importi che avrebbe dovuto destinare alla contribuzione omessa: in realtà, essendosi già verificate le omissioni alla scadenza di ciascuna mensilità retributiva non corrisposta dopo il licenziamento e nelle more di lite, ben ha fatto il lavoratore a pignorare la somma dovutagli al lordo dei contributi, proprio perchè i relativi importi sono a carico della odierna ricorrente, che deve provvedervi attingendo a differente provvista e non al credito spettante al C..

Nemmeno può sostenersi che in ipotesi di retribuzioni versate a titolo risarcitorio ex art. 18 Stat. non si sarebbe in presenza di volontaria omissione contributiva: anzi, proprio l’illegittimo licenziamento è espressione della volontà datoriale di non far proseguire il rapporto di lavoro e, con esso, i correlati obblighi retributivi e contributivi, di guisa che non può non considerarsi volontario il mancato versamento dei contributi de quibus, versamento che il cit. art. 18 prevede come obbligatorio e aggiuntivo rispetto al mero pagamento delle retribuzioni intercorse fra la data dell’illegittimo licenziamento e quella di reintegra.

Nè trova alcun aggancio normativo l’ipotizzata rimessione in termini del datore di lavoro (di cui si legge nelle memoria ex art. 378 c.p.c. depositata dalla società ricorrente) per il versamento delle quote contributive una volta che sia stata accertata l’invalidità del licenziamento.

Riepilogando, il datore di lavoro che, avendo illegittimamente licenziato il proprio dipendente, abbia poi pagato solo a seguito di ordine giudiziale le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella di reintegra nel posto di lavoro, resta debitore esclusivo dei contributi relativi a dette retribuzioni, anche per la quota a carico del lavoratore.

3. Il terzo ed ultimo motivo di doglianza, relativo alla pretesa illegittimità della condanna alle spese sul presupposto dell’erroneità della gravata pronuncia, è inammissibile perchè con esso non si denuncia un vizio della sentenza, bensì il mero effetto della soccombenza in lite, soccombenza confermata dal rigetto dei motivi di ricorso alla stregua delle considerazioni sopra svolte.

4. In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a pagare in favore del controricorrente le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 28,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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