Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17769 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.19/07/2017),  n. 17769

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10209/2012 proposto da:

P.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ALESSANDRO VIVENZA 41, presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNI GARRETTO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA “(OMISSIS)” P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato NICOLA SEMINARA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 170/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 15/02/2011 R.G.N. 792/2009.

Fatto

RILEVATO

Che la Corte d’Appello di Catania con sentenza in data 15/02/2011 in riforma della sentenza del locale Tribunale n. 844/2001, ha respinto il ricorso proposto da P.S., assistente tecnico presso l’Azienda Ospedaliera “(OMISSIS), rivolto a sentir condannare la datrice al risarcimento del danno alla salute (biologico, morale, esistenziale) causato dal rifiuto dell’istanza del lavoratore di essere riammesso in servizio a seguito di ordinanza di scarcerazione successiva al suo coinvolgimento in presunti illeciti per una gara d’appalto in cui era stato nominato testimone dall’Azienda;

Che in sede di reclamo, dopo che la l’istanza era stata rigettata dal Pretore, il Tribunale di Catania aveva disposto la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro, decisione confermata, poi, nel merito con sentenza del 2001, la quale aveva dichiarato l’illegittimità del provvedimento di sospensione e ordinato la riammissione in servizio del P.;

Che l’Azienda nell’ottemperare alla predetta decisione del Tribunale aveva inflitto al dipendente un demansionamento, causandogli perdite economiche, dovute all’impossibilità, nella nuova mansione assegnata, di svolgere straordinari e di percepire l’indennità di reperibilità;

Che nel 2003 P.S. veniva completamente assolto da qualsivoglia responsabilità penale “perchè il fatto non costituisce reato”;

Che la stessa sentenza ha respinto il ricorso incidentale dell’Azienda Ospedaliera, sulla statuizione concernente le spese processuali, compensate nonostante la soccombenza, per la peculiarità della vicenda e l’oggettiva opinabilità delle questioni decise;

Che avverso la decisione interpone ricorso P.S. con tre censure, illustrate da memoria, cui resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera.

Diritto

CONSIDERATO

Che nel primo motivo il ricorrente si duole dell’insufficiente e contraddittoria motivazione, da parte della sentenza gravata, circa la legittimità della mancata riammissione in servizio del dipendente, avendo motivato genericamente sul punto se, pur in seguito alla scarcerazione, l’Azienda avesse legittimamente tenuto ferma la misura della sospensione facoltativa dal servizio nei suoi confronti (art. 32, del c.c.n.l. del comparto Sanità);

Che sempre col primo motivo parte ricorrente deduce la mancata valutazione da parte della sentenza gravata della violazione degli obblighi di condotta da parte della controricorrente (correttezza e buona amministrazione), là dove in motivazione ha valutato legittimo il diverso comportamento dell’Azienda in un caso ritenuto sovrapponibile, in cui un altro dipendente, egualmente sospeso dal servizio in via cautelativa, era stato riammesso in servizio in quanto non rinviato a giudizio, mentre al P., giudicato dal GUP con rito abbreviato, ed in seguito scagionato, era stata negata la riammissione;

Che con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 96 c.p.c. e insufficiente e contraddittoria motivazione per non avere la Corte d’Appello riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni da responsabilità processuale in capo al ricorrente, così come derivanti non solo dalla resistenza in giudizio (cd. danni endoprocessuali), ma altresì dall’emanazione di atti prodromici e anche successivi alla sua istaurazione, certificati solo nel 2003 e solo in un momento successivo all’attivazione del giudizio (concluso nel 2001), stante l’impossibilità “tecnica” di conoscerne l’entità fino a quando la stessa malattia era ancora in corso;

Che nel terzo motivo si deduce, infine, l’insufficiente motivazione da parte della Corte d’Appello, circa l’esplicita riferibilità dell’illecito alla condotta del Direttore Generale prima per finalità personali, poi, e senza soluzione di continuità, per il conseguimento di fini istituzionali dell’amministrazione (sospensione, rigetto dell’istanza di riammissione, conferimento dell’incarico per resistere in giudizio), con l’esito di ribaltare, a discapito del ricorrente, il giudizio di responsabilità individuando nell’Azienda la vittima più che l’artefice, degli illeciti perpetrati ai suoi danni (anche) dall’ex Direttore Generale;

Che il primo motivo va accolto, in quanto, il denunciato vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello è effettivamente configurabile nell’incongrua valutazione della natura oggettivamente cautelare del provvedimento di sospensione dal servizio assunto dall’Azienda a valle dell’ordine di custodia cautelare in carcere così, come d’altro canto, il medesimo vizio si propone anche riguardo alla parte della motivazione concernente la ritenuta legittimità del rigetto della richiesta di riammissione in servizio seguita all’ordinanza di scarcerazione;

Che, ancora rispetto al primo motivo, la sentenza non è immune da vizi logico argomentativi, neanche quanto alla presumibile assenza di violazione delle regole di correttezza, imparzialità e buona amministrazione, avendo giustificato la diversa risposta che l’Azienda aveva ritenuto di dare in due situazioni sovrapponibili, con la motivazione per cui nel caso occorso a P.S., a differenza dall’altro, questi fosse stato rinviato a giudizio;

Che cesta Corte, nell’interpretare l’art. 32 del c.c.n.l. del Comparto del personale del Servizio Sanitario Nazionale, ha ritenuto che, una volta cessato lo stato di restrizione della libertà personale del dipendente, il prolungamento del periodo di sospensione dal servizio dello stesso, in presenza di fatti oggetto dell’accertamento penale che abbiano una relazione col rapporto di lavoro, o, comunque, tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento, “…può essere adottato a prescindere dal fatto che nei confronti del dipendente sia stato o meno emesso un provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale” (Cass. n. 11738/2010) e ancora, da ultimo, ha ribadito che “…nel caso di procedimento penale che abbia comportato la restrizione della libertà personale, il prolungamento facoltativo della misura sospensiva può essere adottato a prescindere dal rinvio a giudizio del dipendente” (Cass. 20544/2016);

Che nel caso di specie il giudice di merito, con decisione contraddittoria e non chiaramente argomentata, non ha reso corretta applicazione del principio affermato da codesta Corte – cui s’intende dare continuità – avendo considerato il rinvio a giudizio quale presupposto del provvedimento di sospensione cautelare e giudicato oggettivo e, dunque, necessitato, un diniego di revoca dello stesso istituto che le fonti, sia legali sia contrattuali hanno concepito come di attuazione facoltativa;

Che, ancora riguardo alla prima censura, va considerato assorbito il profilo della presunta mancata valutazione da parte della sentenza gravata della violazione degli obblighi di correttezza e buona amministrazione da parte dell’Azienda controricorrente, la quale costituirà oggetto del giudizio di rinvio;

Che il secondo motivo di ricorso va rigettato, in quanto, per l’accertamento della responsabilità nel senso invocato dall’art. 96, la norma richiede sia l’elemento soggettivo del dolo e della colpa grave sia l’elemento oggettivo della prova del danno sofferto, mentre parte ricorrente pretenderebbe che il risarcimento sia azionabile solo nel momento in cui la condotta ha consumato interamente i suoi effetti dannosi, con ciò mostrando di confondere il riconoscimento dell’esistenza del danno e la sua quantificazione, ed l’indebita resistenza in giudizio con mala fede o colpa grave da parte del controricorrente per aver costretto la controparte a partecipare a un processo evidentemente immotivato;

Che il terzo motivo rimane assorbito poichè la responsabilità dell’Azienda per l’accertamento della violazione delle regole di correttezza e buona amministrazione potrà conseguire eventualmente all’esito del giudizio di rinvio;

Che pertanto il primo motivo di ricorso va accolto, rigettato il secondo, mentre il terzo e ultimo motivo rimane assorbito.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza e rinvia alla stessa Corte d’Appello di Catania in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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