Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17767 del 26/08/2020

Cassazione civile sez. II, 26/08/2020, (ud. 03/10/2019, dep. 26/08/2020), n.17767

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28116-2015 proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Torino, via

Talucchi n. 2 presso lo studio dell’avv.to CLAUDIO LIA che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.S., elettivamente domiciliato in Torino via Bagetti n.

31, presso lo studio dell’avv.to SABRINA TODARO che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 744/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/10/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Roberto Afectra e Silvana Meliandro.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione R.S., premesso di essere stato amministratore del condominio sito in (OMISSIS), sino al 31 ottobre 2008, e di aver anticipato somme per pagare beni e servizi condominiali,citava il condominio per ottenere il pagamento delle somme anticipate e il rimborso delle spese sostenute nell’interesse del condominio mandante, chiedendone la condanna al pagamento di Euro 12.581.

1.1 Si costituiva il condominio proponendo domanda riconvenzionale per ottenere la restituzione della somma di ire Euro 5090 prelevata dal conto bancario condominiale dopo la revoca dell’amministratore.

2. Il Tribunale di Torino respingeva la domanda dell’attore e accoglieva quella riconvenzionale del condominio, condannando R. al pagamento della somma di Euro 5090 in favore del condominio.

3. R.S. proponeva appello.

4. La Corte d’Appello, in accoglimento parziale

dell’impugnazione, riformava la sentenza di primo grado, condannando il condominio di via Pellice 17 al pagamento della somma di Euro 9990,55 in favore dell’appellante. Secondo il giudice del gravame, il controllo delle poste di debito e credito avviene in seno all’assemblea attraverso il preventivo esame da parte dei condomini; prima e durante l’approvazione del rendiconto, di tutte le voci del consuntivo e di tutta la relativa documentazione d’appoggio da mettere a confronto con i versamenti dei condomini. Il credito dell’amministratore, ove sussistente, dunque, è dato dalla differenza risultante da tale verifica, la cui approvazione da parte dei condomini ne implica di per sè il riconoscimento, salvo contestazioni o rilievi al consuntivo. Diversamente, una documentazione inesistente o lacunosa autorizzerebbe i condomini, all’esito di tale esame, a sospendere l’approvazione del consuntivo e a richiedere chiarimenti ed ulteriore documentazione, laddove invece l’approvazione del consuntivo equivale ad approvazione del rendiconto

dell’amministratore secondo le regole del mandato cui il rapporto soggiace.

La sentenza di primo grado, pertanto, era errata nella parte in cui, in presenza di un consuntivo regolarmente approvato dall’assemblea, ovvero del rendiconto reso dall’amministratore aveva ritenuto che la mancata indicazione di una specifica posta relativa, al credito per le anticipazioni dell’amministratore medesimo potesse escludere che l’approvazione del rendiconto avesse valore confessorio dell’esistenza del credito.

Secondo la Corte d’Appello non era necessario che nel consuntivo sottoposto all’approvazione dell’assemblea si evidenziasse un’apposita voce per indicare il credito dell’amministratore sulla base di specifiche spese pagate con fondi del medesimo, in quanto tale risultato era destinato ad emergere contabilmente dallo squilibrio tra le poste attive di versamento dei condomini e quelle passive dell’ammontare delle spese regolarmente pagate di cui al consuntivo. Con riferimento ai rendiconti non ancora approvati relativi alla gestione del 2008, sino alla revoca del mandato del 20 ottobre del medesimo anno, la Corte d’Appello osservava che la documentazione giustificativa prodotta dall’attore ed esaminata anche dal consulente tecnico d’ufficio provava l’avvenuto pagamento da parte dell’amministratore. Sicchè, rimaneva un saldo a dell’amministratore di Euro 9990 senza che rilevasse che alcuni pagamenti erano stati effettuati in contanti. La Corte d’Appello, infine, respingeva l’appello avverso la parte della sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda riconvenzionale del condominio di rimborso della somma di Euro 5090, indebitamente prelevata dall’amministratore, il 21 ottobre 2008, dal conto condominiale dopo la cessazione del suo mandato, non avendo questi dimostrato la legittimità del prelievo effettuato.

5. Il condominio dello stabile di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi di ricorso.

6. R.S. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va rilevata l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il medesimo manca di una esposizione dei fatti della causa che consenta alla Corte di comprendere l’esatto oggetto della pretesa e il tenore della sentenza impugnata in coordinamento con i motivi di censura (Cass., Sez. Un., n. 16628 del 17/07/2009; cfr. anche, Sez. Un., n. 5698 del 11/04/2012; Sez. 6 – 3, n. 22860 del 28/10/2014). Com’è noto, l’art. 366 c.p.c., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.

1.2 Con particolare riferimento al requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa” (art. 366 c.p.c., n. 3), che deve avere ad oggetto sia i fatti sostanziali che i fatti processuali necessari alla comprensione dei motivi, va osservato che tale requisito è posto, nell’ambito del modello legale del ricorso, non tanto nell’interesse della controparte, quanto in funzione del sindacato che la Corte di cassazione è chiamata ad esercitare e, quindi, della verifica della fondatezza delle censure proposte.

Esiste pertanto un rapporto di complementarità tra il requisito della “esposizione sommaria dei fatti della causa” di cui n. 3 dell’art. 366 c.p.c. e quello – che lo segue nel modello legale del ricorso – della “esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione” (n. 4 dell’art. 366 c.p.c.), essendo l’esposizione sommaria dei fatti funzionale a rendere intellegibili, da parte della Corte, i motivi di ricorso di seguito formulati.

In altri termini, secondo il “modello legale” apprestato dall’art. 366 c.p.c., la Corte di cassazione, prima di esaminare i motivi, dev’essere posta in grado, attraverso una riassuntiva esposizione dei fatti, di avere contezza sia del rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia dello sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti; valutazione – questa – che è possibile solo se chi esamina i motivi sia stato previamente posto a conoscenza della vicenda sostanziale e processuale in modo complessivo e sommario, mediante una “sintesi” dei fatti che si fondi sulla selezione dei dati rilevanti e sullo scarto di quelli inutili.

Perciò, il difensore chiamato a redigere il ricorso per cassazione deve procedere ad elaborare autonomamente “una sintesi della vicenda fattuale e processuale”, selezionando i dati di fatto sostanziali e processuali rilevanti (domande, eccezioni, statuizioni delle sentenze di merito, motivi di gravame, questioni riproposte in appello, etc.) in funzione dei motivi di ricorso che intende formulare, in modo da consentire alla Corte di procedere poi allo scrutinio di tali motivi disponendo di un quadro chiaro e sintetico della vicenda processuale, che le consenta di cogliere agevolmente il significato delle censure, la loro ammissibilità e la loro pertinenza rispetto alle rationes decidendi della sentenza impugnata.

1.3 L’esposizione sommaria dei fatti della causa, per essere funzionale alla comprensione dei motivi, dev’essere “sintetica”, come si evince dal richiamo al suo carattere “sommario”, già preteso dal codificatore del 1940. La “sintesi” degli atti processuali costituisce oggi un vero e proprio “valore”, che va assumendo importanza crescente nell’ordinamento italiano. Basti pensare a quanto previsto dall’art. 3, n. 2, del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), con riferimento all’obbligo di redigere gli atti “in maniera chiara e sintetica”; basti pensare al ruolo sempre maggiore assegnato – con riguardo ai provvedimenti del giudice – all’ordinanza decisoria, motivata in modo “succinto” e “conciso” (art. 134 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.), rispetto alla sentenza.

1.4 Nel caso di specie l’esposizione del fatto e dello svolgimento del processo si risolve nella mera allegazione di atti del processo, peraltro degli atti di parte sono riportati solo quelli del ricorrente omettendo del tutto di riportare le difese avversarie. In particolare, con riferimento al giudizio di primo grado, sono riportati per intero la comparsa di costituzione risposta del condominio, la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 4, n. 3, la comparsa conclusionale, la memoria di replica e con riferimento al secondo grado la comparsa di riposta del condominio la comparsa conclusionale e la memoria di replica.

In tal modo il ricorrente non assolve l’onere di offrire una chiara e sintetica esposizione dei fatti della causa, essendosi limitato a riversare in sede di legittimità i propri atti dei gradi di merito, senza dar conto, peraltro in alcun modo del contenuto della difesa della controparte. Tale tecnica redazionale non è compatibile con i principi sopra esposti che definiscono le modalità di introduzione del giudizio di legittimità sulla base del disposto dell’art. 366 c.p.c. come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte.

1.5 Risulta pertanto palese la violazione dei principi di sinteticità e chiarezza del ricorso. In relazione a tali principi questa Corte ha già avuto modo di affermare, con la sentenza n. 17698/14, che il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva espone il ricorrente per cassazione al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, in quanto esso collide con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, tendente ad una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonchè di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui.

Detta violazione, infatti, rischia di pregiudicare la intelligibilità delle questioni sottoposte all’esame della Corte, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e quindi, in definitiva, ridondando nella violazione delle prescrizioni assistite dalla sanzione testuale di inammissibilità, di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4.

2. Il Collegio, sulla base delle considerazioni che precedono, intende dare continuità al seguente principio di diritto: In tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’art. 3 c.p.a., comma 2, esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4 (ex plurimis Sez. 5, Ord. n. 8009 del 2019).

1.3 Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore dell’avv.to Sabrina Todaro, che se ne è dichiarata antistataria.

7. Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2500 più 200 per esborsi, con distrazione in favore dell’avv.to Sabrina Todaro, che se ne è dichiarata antistataria;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Seconda Civile, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2020

 

 

 

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