Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17766 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.19/07/2017),  n. 17766

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21295/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’dvvocuto LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6002/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/09/2010 R.G.N. 9377/2006.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza 20 settembre 2010, la Corte d’appello di Roma dichiarava l’inefficacia del contratto di lavoro a termine stipulato da Poste Italiane s.p.a. con P.D. per il periodo dal 2 febbraio al 30 aprile 2002 e la ricorrenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla prima data, con sua prosecuzione tuttora in corso: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande del lavoratore, sul presupposto della risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

che avverso tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso con sei motivi, mentre il lavoratore intimato non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente deduce contraddittoria e insufficiente motivazione su fatto decisivo e controverso e violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175,1375,2697,1427,1431 c.c. e art. 100 c.p.c., per la sufficienza dell’inerzia della lavoratrice, di durata congrua (oltre tre anni), ad integrare acquiescenza alla cessazione del rapporto (primi due motivi); violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2, art. 4, comma 2, art. 12 preleggi, art. 1362 c.c. e segg., 1325 c.c. e segg., per la specificità delle ragioni tecniche, produttive ed organizzative datoriali in virtù del richiamo delle previsioni contenute negli accordi sindacali del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002 (integralmente trascritti mediante riproduzione fotografica) e con particolare evidenza delle disposizioni finali dell’accordo 17 ottobre 2001, compiutamente disciplinanti il processo di riallocazione territoriale e professionale delle risorse a tempo indeterminato, alla base dell’esigenza aziendale di assunzioni a termine volte all’eliminazione dell’esubero di organico nelle articolazioni produttive eccedentarie con spostamento in favore di quelle carenti, nell’arco temporale necessario ai processi di mobilità interna (terzo motivo); omessa e insufficiente motivazione sul fatto decisivo e controverso dell’idoneità della compresenza di più ragioni, tra loro non incompatibili e per richiamo ai citati accordi sindacali, quale elemento di sufficiente specificazione delle esigenze sottese al contratto a termine (quarto motivo); violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4,comma 2, art. 2697 c.c., artt. 115,116,244,253 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, per inesistenza di un onere probatorio a carico datoriale delle esigenze giustificanti l’assunzione a termine, previsto per la sola eventuale proroga e per mancata ammissione dei mezzi di prova orale dedotti con esposizione degli elementi essenziali, da integrare con la documentazione prodotta (quinto motivo); omessa e insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo della mancata ammissione in particolare del capitolo 11), inteso a provare la diretta incidenza del processo di riposizionamento del personale sull’unità produttiva del lavoratore, eventualmente integrabile con il ricorso ai poteri istruttori officiosi giudiziali (sesto motivo);

che ritiene il collegio sia meritevole di accoglimento la richiesta finale di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, dovendo il ricorso nel resto essere rigettato;

che, infatti, i primi due motivi sono infondati per inidoneità del solo decorso del tempo, in assenza di circostanze significative di una chiara e certa comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780; Cass. 1 luglio 2015, n. 13535; Cass. 22 dicembre 2015, n. 25844), neppure rilevando il semplice reperimento di altra occupazione, che, rispondendo ad esigenze di sostentamento quotidiano, non indica la volontà del lavoratore di rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di lavoro (Cass. 9 ottobre 2014, n. 21310; Cass. 11 febbraio 2016, n. 2732); trattandosi comunque di valutazione del significato e della portata del complesso di elementi di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. 13 febbraio 2015, n. 2906) le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Cass. 4 agosto 2011, n. 16932, con affermazione del principio ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1), da escludere nel caso di specie (per le ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 2 al primo di pg. 3 della sentenza);

che parimenti infondati sono il terzo e il quarto motivo, congiuntamente esaminabili, per esatta applicazione del criterio interpretativo più elastico adottato da questa Corte per le situazioni aziendali complesse (Cass. 7 gennaio 2016, n. 113; Cass. 26 novembre 2015, n. 24196; Cass. 12 gennaio 2015, n. 208; Cass. 26 gennaio 2010, n. 1577) e ritenuto generico il richiamo di Poste Italiane s.p.a. alle esigenze rappresentate negli accordi sindacali sopra citati, debitamente scrutinati (ultimo capoverso di pg. 5 e primi tre di pg. 6 della sentenza);

che dall’infondatezza dei superiori motivi consegue l’assorbimento del quinto e del sesto, salva la fondatezza della deduzione finale di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, per insussistenza di una preclusione da giudicato, avendo la ricorrente proposto l’impugnazione nei confronti della parte principale della sentenza (relativa alla pronuncia di nullità del contratto a termine), necessariamente comportante, per la sua composizione di più parti tra loro connesse in un rapporto di dipendenza, nel caso di eventuale accoglimento dell’impugnazione nei confronti della parte principale, anche la caducazione della parte dipendente (di risarcimento del danno per l’accertata nullità), pur in assenza di impugnazione specifica (Cass. s.u. 27 ottobre 2016, n. 21691);

che pertanto il ricorso deve essere respinto, salvo l’accoglimento della suddetta richiesta finale, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione alla richiesta accolta e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente ai sensi dell’art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (per tutte: Cass. 10 luglio 2015, n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (per tutte: Cass. 17 febbraio 2016, n. 3062).

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, limitatamente all’applicazione dello ius superveniens (L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5), rigettato nel resto; cassa la sentenza, in relazione allo ius superveniens e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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