Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17761 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/07/2017, (ud. 28/03/2017, dep.19/07/2017),  n. 17761

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2574/2012 proposto da:

C.P. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA QUINTINO SELLA 23, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

CANCRINI, rappresentato e difeso dall’avvocato LIDIA BRACA, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.E. C.F. (OMISSIS), ZA.EL. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 31, presso

lo studio dell’avvocato ALESSANDRA FLAUTI, rappresentati e difesi

dagli avvocati GERARDO GATTI, MARGHERITA GATTI, giusta delega in

atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 441/2010 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 08/01/2011 R.G.N. 148/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/03/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso; udito l’Avvocato VINCENZO CANCRINI per delega

verbale Avvocato LIDIA BRACA;

udito l’Avvocato MARGHERITA GATTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Perugia dichiarò la nullità la domanda di C.P. tesa ad ottenere la condanna di Z.E., per il quale aveva lavorato fino al febbraio del 2003 (prima come agente di commercio e poi direttamente nella produzione e nella vendita) quando il rapporto si era interrotto, al pagamento della somma di Euro 173.135,75 per Fir, indennità di clientela, indennità di mancato guadagno e per retribuzione della gestione ed organizzazione della produzione del calzaturificio oltre che della vendita, Euro 50,000 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale ed Euro 100.000 per lesione dell’immagine professionale. Rigettò poi la domanda riconvenzionale delle parti convenute di restituzione di somme a vario titolo percepite.

2. La Corte di appello ha poi confermato la declaratoria di nullità rilevando che effettivamente le domande formulate nel ricorso erano genericamente affastellate senza una precisa descrizione e ricostruzione delle attività e sottolineando che, con riguardo alle somme pretese, non era stata fornita alcuna indicazione dei criteri di calcolo utilizzati e che in relazione al chiesto risarcimento del danno non era stato precisato in cosa si sarebbe concretata la lesione all’immagine lamentata.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre il C. con due motivi. Resistono con controricorso Za.El. e E.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso è censurata la sentenza per avere, in violazione degli artt. 414,434,112,115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e con motivazione insufficiente e contraddittoria, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, confermato la nullità del ricorso di primo grado sebbene il ricorso fosse sufficientemente analitico e non richiedesse alcuna integrazione.

5. Con il secondo motivo di ricorso – nel denunciare un error in procedendo per manifesta illogicità, travisamento dei fatti e violazione del diritto alla prova delle risultanze processuali – si censura la sentenza per avere la Corte di merito attinto il proprio convincimento da elementi svincolati dal caso concreto, senza fornire una congrua motivazione dell’omesso esame di punti decisivi della controversia, che erano stati allegati ed avrebbero dovuto essere verificati con l’assunzione delle prove oltre che attraverso l’esercizio dei poteri officiosi del giudice.

6. Le censure, che per la loro intrinseca connessione possono essere esaminate congiuntamente sono destituite di fondamento. Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. 04/09/2015 n. 17615, 09/05/2012 n. 7097, 08/02/2011 n. 3126, 16/01/2007 n. 820) dal quale non vi è ragione di discostarsi, nel rito del lavoro la valutazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per omessa determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui essa si fonda è ravvisabile solo quando attraverso l’esame complessivo dell’atto risulti impossibile l’individuazione esatta della pretesa del ricorrente ed il resistente non possa apprestare una compiuta difesa. Tale valutazione implica un’interpretazione dell’atto introduttivo della controversia riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, il che comporta l’esame non del ricorso introduttivo ma delle ragioni esposte nella sentenza impugnata per affermare che il ricorso stesso sia o meno affetto dal vizio denunciato.

7. Tanto premesso e così circoscritto l’ambito di indagine qui consentito va rilevato che la Corte di merito nel confermare la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato nullo il ricorso introduttivo del giudizio, ha verificato che – contrariamente a quanto affermato dall’appellante – a fronte di una puntuale contestazione della nullità del ricorso, da parte dei convenuti in primo grado, la subordinata difesa nel merito non aveva determinato alcuna sanatoria del vizio. Inoltre il giudice di appello ha riscontrato che, come ritenuto dal Tribunale, il ricorso era generico e confuso nella descrizione delle attività svolte, che non erano descritte nei dettagli ed erano prive di precisi riferimenti a fatti e circostanze concrete che avrebbero in ipotesi consentito di comprendere come si conciliavano tra loro attività, quali l’agente di commercio e l’addetto alla gestione amministrativa ed alla vendita, in sè difficilmente compatibili anche per la dislocazione geografica delle varie attività. Ha del pari verificato che le richieste economiche erano totalmente prive di indicazione dei criteri di calcolo e che neppure era stato indicato in cosa si sarebbe concretata la lesione dell’immagine professionale lamentata.

8. In definitiva non è ravvisabile alcun vizio nella motivazione della sentenza che ha ben verificato che le molteplici domande non erano supportate da quella specifica e puntuale descrizione dei fatti indispensabile a comprendere il contesto in cui le stesse erano formulate ed indicazione dei presupposti e dei parametri per riscontrare la stessa consistenza delle pretese economiche avanzate. L’onere della determinazione dell’oggetto della domanda, fissato a pena di nullità dall’art. 414 c.p.c., n. 3, deve ritenersi osservato, con riguardo alla richiesta di pagamento di spettanze retributive, qualora l’attore indichi i relativi titoli, ponendo così il convenuto in condizione di formulare immediatamente ed esaurientemente le proprie difese. Solo una volta individuati i criteri in base ai quali effettuare la liquidazione dei crediti fatti valere si potrà procedere ad una quantificazione anche attraverso l’esercizio dei poteri officiosi del giudice.

9. Una volta che il giudice di merito abbia verificato la mancata esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si fondano la domanda e le conclusioni formulate nel ricorso questi non è tenuto a verificare ulteriormente i fatti di cui sia stata accertata la confusa ed incompleta esposizione.

10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, poste a carico della parte soccombente.

PQM

 

La Corte, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in e 5.200,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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