Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17758 del 29/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 29/07/2010), n.17758

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6804/2005 della CORTE D’APPELLO ai ROMA,

depositata il 24/10/2005 r.g.n. 6491/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 17911/2002 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma in accoglimento della domanda proposta da A.R. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la illegittimità del termine apposto al primo contratto di lavoro intercorso tra le parti (stipulato per esigenze eccezionali ex acc. az. 25’9’97 dal 7-2- 1998 al 30-4-1998, prorogato al 30-5-1998) con conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condannava la società alla riammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni spettanti.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

L’ A. si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza depositata il 24-10-2005, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

L’ A. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando violazioni di legge (L. n. 230 del 1962, art. 23 L. n. 56 del 1987, artt. 1362 e segg. c.c.) e vizio di motivazione, censura l’impugnata sentenza che ha ritenuto la illegittimità della apposizione del termine al primo contratto (7-2-1998/30-4-1998 prorogato al 30-5-1998). rilevando che, in sostanza, “nel caso in esame, la mera trasposizione nel contratto della formulazione contenuta nell’accordo sindacale del 25-9-97 non soddisfa l’onere della prova” che incombe sul datore di lavoro, in quanto “le ragioni addotte, meramente riproduttive della clausola contrattuale, seppure in ipotesi provate, non dimostrerebbero affatto la necessaria correlazione, ai fini della legittimità del termine, tra le ragioni medesime e quelle specifiche dell’assunzione proprio di quel lavoratore, in quel luogo, in quel tempo, con quelle specifiche mansioni”.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., in sostanza lamenta che la Corte d’appello “non ha svolto alcun tipo di verifica” in ordine alla messa in mora del datore di lavoro da parte del lavoratore e non ha tenuto conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del lavoratore.

Il primo motivo è fondato e va accolto in conformità con l’indirizzo ormai consolidato affermato da questa Corte in casi analoghi, risultando, peraltro. assorbito il secondo motivo.

In particolare, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588. questa Corte ha più volte affermato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco”‘ a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari” non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 28-11-2008 n. 28450, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

La Corte di merito, in effetti, ha deciso in violazione del suddetto principio di diritto; alla base della motivazione della decisione è l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali; la sentenza, quindi, si muove pur sempre nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1; ciò in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte.

Peraltro, come pure è stato ripetutamente affermato “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con raccordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608. Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 23-8-2006 n. 18378), per cui il contratto in esame, anteriore a tale data, rientra, anche temporalmente, nella previsione collettiva, che legittima la apposizione del termine L. n. 56 del 1987, ex art. 23.

Così accolto il primo motivo resta assorbito il secondo, riguardante le conseguenze della illegittimità del termine, e tanto basta per cassare la impugnata sentenza con rinvio alla stessa Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, la quale si atterrà ai principi sopra richiamati e, statuendo anche sulle spese di legittimità, esaminerà le questioni ulteriori ritenute assorbite nell’impugnata sentenza (riguardanti la proroga del primo contratto nonchè i contratti successivi).

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa la impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2010

 

 

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