Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17756 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 19/07/2017, (ud. 21/03/2017, dep.19/07/2017),  n. 17756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14647-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.

(OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici

domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

C.M.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, SALITA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 1/B, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO NASO, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 239/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/03/2012 R.G.N. 211/2010.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 5.3.2012 n. 239 la Corte di Appello di Milano ha respinto l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca avverso la sentenza con la quale il giudice di primo grado aveva dichiarato il diritto di C.M.M. al riconoscimento della anzianità di servizio maturata durante lo svolgimento dei rapporti di lavoro subordinato a tempo determinato intercorsi con il Ministero, ai fini dell’attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i lavoratori assunti a tempo indeterminato ed ha condannato il Ministero al pagamento delle differenze stipendiali maturate;

che avverso tale sentenza il MIUR ha proposto ricorso affidato a due motivi al quale ha al quale ha opposto difese C.M.M..

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo di ricorso, nel denunciare plurime disposizioni di legge nonchè della direttiva 1999/70/CE, assume che i supplenti della scuola, legittimamente assunti sulla base di una disciplina speciale conforme alla direttiva europea, non sono comparabili ai dipendenti di ruolo in quanto sottoscrivono ogni anno un nuovo contratto del tutto autonomo rispetto al precedente;

che il Collegio ritiene che il ricorso deve essere rigettato perchè la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte con le sentenze nn. 22558 e 23868/2016, con le quali si è statuito che “nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere la anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini della attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai c.c.n.l. succedutisi nel tempo, sicchè vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati c.c.n.l. che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso la retribuzione degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato.”;

che a dette conclusioni la Corte è pervenuta valorizzando i principi affermati dalla Corte di Giustizia quanto alla interpretazione della clausola 4 dell’Accordo Quadro ed evidenziando che l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;

che il motivo di ricorso non prospetta argomenti che inducono a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

che il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura il capo della decisione relativo al rigetto della eccezione di prescrizione, per violazione dell’art. 2947 c.c. e art. 2948 c.c., n. 4, è inammissibile innanzitutto perchè il ricorrente non indica in che termini la questione prospettata nel motivo potrebbe incidere nella fattispecie concreta, ossia se e in quale misura la pretesa della controricorrente potrebbe essere paralizzata dalla eccepita prescrizione quinquennale;

che nel giudizio di cassazione l’interesse alla impugnazione va valutato in relazione ad ogni singolo motivo e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata, bensì deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile dall’eventuale accoglimento del gravame alla parte (Cass. nn. 13373/2008 e 15353/2010), utilità che deve potere essere desunta dagli elementi che la parte è tenuta ad indicare nel ricorso;

che, inoltre, il ricorrente si limita a invocare l’applicazione del termine breve sul presupposto della legittimità dei contratti, come si è detto irrilevante ai fini che ci occupano, ma non indica le ragioni per le quali la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che le somme rivendicate dovevano essere riconosciute a titolo risarcitorio, per la violazione di norme inderogabili di legge, ossia della direttiva europea e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6;

che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, devono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. 15.1.2015 n. 635);

che le spese del giudizio di legittimità devono essere compensate perchè le pronunce sopra richiamate sono intervenute successivamente alla proposizione del ricorso e sulla questione controversa la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti contrastanti;

che non sussistono la condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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