Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17755 del 03/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/07/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 03/07/2019), n.17755

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1405-2018 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato MARCO MACHETTA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3145/17/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 30/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 30 maggio 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio confermava la decisione di primo grado che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto da C.S. contro l’avviso di accertamento con il quale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, sulla base del maggior reddito d’impresa determinato in via induttiva, venivano accertate maggiori imposte IRPEF, IRAP ed IVA per l’anno 2008. Riteneva la CTR che la ricostruzione indiretta del volume di affari e dei ricavi D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, era stata legittimata dai rilievi scaturiti a seguito di verifica fiscale e riportati nel processo verbale di constatazione, da cui era emersa una sostanziale inattendibilità della contabilità tenuta dalla contribuente. Osservava che legittimamente l’Ufficio, attraverso i dati dichiarati ed in contraddittorio con la parte, era pervenuto alla determinazione del costo delle materie prime e quindi, mediante l’applicazione della percentuale di ricarico dichiarata dalla parte, dei ricavi attribuibili alla contribuente. Rilevava che nel caso di accertamento induttivo del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, l’Amministrazione finanziaria è ammessa ad utilizzare qualsiasi elementi probatorio, ricorrendo a presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, mentre spetta al contribuente provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa tributaria, onere nel caso di specie non assolto dalla contribuente.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 27 dicembre 2017, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo di ricorso la contribuente deduce “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, e degli artt. 115 e 116 c.p.c.”. Lamenta la ricorrente che la CTR abbia illegittimamente esteso il proprio sindacato ai profili costitutivi dell’accertamento, confermando la rideterminazione del reddito sulla base di una valutazione di congruità priva di riscontro contabili, documentali, statistici o normativi, in asserita applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,comma 2.

La censura è infondata.

Va ribadito che:

– Il processo tributario, pur introdotto mediante l’impugnazione di un atto, ha ad oggetto il rapporto sostanziale posto a fondamento dello stesso, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’atto impositivo per motivi non formali, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, avvalendosi degli ordinari poteri di indagine e di valutazione dei fatti e delle prove consentiti dagli art. 115 e 116 c.p.c., senza che, da un lato, ciò costituisca attività amministrativa di nuovo accertamento e, da un altro, determini una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Cass. n. 25629 del 2018);

– Il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’ufficio, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. n. 13294 del 2016);

– Il giudice tributario non incontra alcun limite, ex art. 112 c.p.c., nel caso in cui le parti controvertano sulla legittimità/annullamento del provvedimento impositivo, atteso che nella richiesta di esame della legittimità del provvedimento impugnato, ove le questioni sottoposte all’esame del giudice vertano sulla fondatezza della pretesa fiscale in relazione al corretto criterio di calcolo da adottare per la determinazione della percentuale di ricarico sulla merce venduta, è implicita anche quella di esatta commisurazione dell’importo dovuto dal contribuente nell’ipotesi in cui la pretesa dovesse risultare solo parzialmente fondata (Cass. n. 17952 del 2013).

Orbene, la CTR, nel confermare la decisione di primo grado che aveva rideterminato la pretesa tributaria, riducendone la misura sulla base della valutazione delle risultanze processuali, si è uniformata ai principi di diritto innanzi richiamati.

Alla stregua di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi esposti anche in memoria dalla ricorrente, il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 luglio 2019

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