Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17754 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 25/08/2020), n.17754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19219-2019 proposto da:

O.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI

n. 6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2071/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.C., cittadino nigeriano di etnia Ika e fede cristiana, impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari, sezione di Foggia, con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di essere fuggito dalla Nigeria perchè, trovatosi in grandi difficoltà economiche a seguito della morte della madre in conseguenza di un incidente stradale, aveva deciso di recarsi in Libia per poter provvedere al sostentamento del padre, invalido. Giunto in Libia nel 2012, vi rimaneva vino al 2014, quando iniziavano i combattimenti ed era costretto a lasciare anche quel Paese per l’Italia.

Si costituiva il Ministero resistendo al ricorso ed invocandone il rigetto.

Con ordinanza del 15.12.2017 il Tribunale di Bari rigettava il ricorso, ritenendo insussistenti i requisiti previsti per il riconoscimento di una delle forme di tutela invocate dal ricorrente.

Interponeva appello l’ O. e si costituiva in seconde cure il Ministero resistendo al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 2071/2018, la Corte di Appello di Bari rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto O.C. affidandosi a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente negato il riconoscimento dello status di rifugiato.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha infatti respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato osservando che il Tribunale aveva escluso la sussistenza della persecuzione in danno del richiedente, “… per essere l’emigrazione avvenuta per ragioni estranee al sistema della protezione. Senza contestare tale valutazione, O., proveniente dal Delta State, insiste sul preteso conflitto armato interno ai fini della protezione sussidiaria e sulla sua vulnerabilità” (cfr. pag.1 e 2 della sentenza impugnata).

Da tale passaggio motivazionale si ricava che la domanda di riconoscimento dello status è stata disattesa per insussistenza dei relativi presupposti; ed in effetti dalla stessa esposizione in fatto contenuta a pag.2 del ricorso emerge una storia di emigrazione sostanzialmente fondata su motivazione economiche, e non su persecuzioni o situazioni di pericolosità generalizzate nel Paese di origine del migrante. Il motivo in esame non censura adeguatamente tale statuizione, in quanto il ricorrente non contesta, ma -al contrario- conferma di aver lasciato la Nigeria per problematiche di carattere economico (in particolare, per provvedere al sostentamento del padre invalido), le quali non rientrano nel novero dei motivi previsti per l’accesso alla protezione internazionale o umanitaria.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, degli artt. 2, 3, 5, 8 e 9 della Convenzione E.D.U., nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente negato il riconoscimento della protezione sussidiaria, a fronte della condizione di rischio effettivo per l’incolumità del richiedente derivante dalla situazione complessivamente instabile ed insicura della Nigeria.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nonchè degli artt. 3 e 7 della Convenzione E.D.U., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 perchè la Corte di Appello avrebbe ritenuto insussistente la situazione di pericolo generalizzato esistente in Nigeria, senza attivare in modo adeguato i suoi poteri istruttori ufficiosi.

Le due censure, che meritano un esame congiunto, sono fondate.

Dalla sentenza impugnata risulta infatti che la Corte barese ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della tutela sussidiaria perchè “La Corte rileva l’assenza di conflitto armato nella regione meridionale di provenienza, essendo peraltro nota l’irrilevanza del terrorismo islamista di Boko Haram in zone diverse dal Nord-Est della Nigeria (cfr. pag.4 di Cass. 18539/2016), Nè il timore espresso in passato dalle autorità locali sull’intento di Boko Haram di allargare la propria minaccia all’intero Paese oltrepassa il livello dell’ipotesi e giustifica il riconoscimento delle protezioni maggiori” (cfr. pag.2 della decisione impugnata).

Con tale passaggio motivazionale la Corte di Appello individua in modo aprioristico e apodittico l’unica causa possibile della situazione di pericolo indiscriminato in Nigeria nell’attività del gruppo terroristico Boko Haram, operando una irragionevole limitazione della domanda del richiedente. Costui, invero, non aveva denunciato soltanto la presenza del predetto gruppo, attivo peraltro solo in alcune zone del Paese, ma aveva dedotto, più in generale, l’esistenza di una situazione di grave compromissione dei diritti umani inalienabili del singolo individuo e di pericolo per l’incolumità stessa delle persone.

Rispetto a tale ampia prospettazione, il giudice di merito aveva il dovere di condurre una indagine della situazione interna alla Nigeria non limitata soltanto al fenomeno terroristico legato all’attività di Boko Haram, ma estesa a tutta la condizione effettiva di sicurezza esistente in quel Paese, ed in particolare nella zona di origine del richiedente. Sotto tale ultimo aspetto, peraltro, va ribadito che l’indagine va eseguita direttamente sulla zona di provenienza, in modo diretto, e non invece su altre aree del Paese: l’esistenza di fenomeni di instabilità o rischio strettamente legati all’attività di gruppi terroristici localizzata in determinate aree del Paese, infatti, non esclude la presenza di analoghe condizioni di instabilità e rischio anche in zone diverse, dovendo essere valutato il contesto di ciascuna area geografica con diretto riferimento alla condizione effettiva colà riscontrabile mediante la consultazione delle fonti informative cui il giudice di merito può accedere.

Peraltro, in materia di fonti informative merita di essere ribadito il principio per cui il giudice di merito, nel fare riferimento alle cd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (sul punto, Cass. Sez.1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv.653887; conformi, Cass. Sez.1, Ordinanze n. 13450, n. 13451 e n. 13452, tutte del 17/05/2019, nonchè Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11312 del 26.4.2019, non massimate).

Nel caso di specie, la decisione impugnata non soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa non indica le fonti in concreto utilizzare dal giudice di merito, nè il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti, non consentendo in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione.

Il solo richiamo alle notizie tratte dal sito “Viaggiare Sicuri” non è idoneo ai fini della ricostruzione della condizione interna del Paese di provenienza del richiedente la protezione, in quanto -come del resto affermato anche dalla Corte di Appello: cfr. pag.2 della sentenza impugnata- detto sito è destinato all’informazione turistica e quindi contiene informazioni rivolte all’utenza di coloro che intendono recarsi nel Paese oggetto di indagine, non idonee a descrivere l’effettiva condizione di vita dei cittadini del predetto Paese (Cass. Sez.6-1, Ordinanza n. 16202 del 24/09/2012, Rv.623728).

L’accoglimento del secondo e terzo motivo comporta l’assorbimento del quarto.

La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti delle censure accolte, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

la Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo e terzo e dichiara assorbito il quarto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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