Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17753 del 07/08/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 17753 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: MANCINO ROSSANA

SENTENZA

sul ricorso 28741-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
1309

i

contro

IOCCO ANDREA C.F. CCINDR78A20E2431, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso
lo studio dell’avvocato BELLANTONI DOMENICO,

Data pubblicazione: 07/08/2014

rappresentato e difeso dagli avvocati TENAGLIA
DOMENICO, STEFANO ROSSI giusta procura speciale
notarile in atti;
– controricorrente

e sul ricorso 29016-2008 proposto da:

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso
lo studio dell’avvocato BELLANTONI DOMENICO,
rappresentato e difeso dagli avvocati TENAGLIA
DOMENICO, STEFANO ROSSI giusta procura speciale
notarile in atti;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1292/2007 della CORTE
D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 26/11/2007
R.G.N. 1718/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/04/2014 dal Consigliere Dott. ROSSANA
MANCINO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI

IOCCO ANDREA C.F. CCINDR78A20E2431, elettivamente

ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per

il rigetto di entrambi i ricorsi.

Rgn 28741/2008 + 29016/2008 Poste Italiane s.p.a. c/Iocco Andrea
Udienza 10 aprile 2014

L Con sentenza del 26 novembre 2007, la Corte d’Appello dell’Aquila,
in parziale accoglimento del gravame proposto da Poste Italiane s.p.a.
nei confronti di Iocco Andrea, avverso la pronuncia di prime cure
che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto
concluso inter partes, per il periodo 2.10.2001-31.1.2002, “per esigenze
straordinarie”, e condannato la parte datoriale alla riammissione in
servizio del lavoratore e al pagamento delle retribuzioni maturate
dalla data della messa in mora fino all’effettiva ripresa del rapporto,
esclusa la condanna risarcitoria, confermando nel resto la decisione
impugnata.
2. Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, Poste Italiane
s.p.a ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi,
ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c. Il lavoratore ha
resistito con controricorso e proposto ricorso fondato su un unico
motivo. La società ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione
3. I ricorsi vanno riuniti, siccome proposti avverso la medesima
sentenza (art. 335 c.p.c.).
4. La sentenza impugnata ha ritenuto l’infondatezza della tesi
dell’avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso
in relazione all’inerzia mantenuta dal lavoratore dopo la scadenza del
contratto a termine e fino alla manifestazione della volontà di
ripristinare la funzionalità di fatto del rapporto; tale assunto è stato
censurato dalla società con il primo mezzo.
5. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte (cfr, ex p/utimis,
Cass. 23554/2004), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento
della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo

Rossana Mancino est.

Rgn 28741/2008 + 29016/2008

Svolgimento del processo

6. Nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto di disattendere la tesi
secondo cui la mancanza di una più tempestiva reazione del
lavoratore alla estromissione configurerebbe un suo consenso alla
risoluzione del rapporto alla scadenza del termine apposto, rilevando
che l’inerzia del lavoratore non era stata accompagnata da altri
particolari comportamenti o circostanze atti a dimostrare in modo
certo e univoco il suo disinteresse per la prosecuzione del rapporto e
la volontà di chiudere definitivamente la collaborazione. Tali
conclusioni, in quanto prive di vizi logici o errori di diritto, resistono
alle censure mosse in ricorso.
7. La Corte territoriale ha ritenuto la nullità dell’apposizione del termine
poiché la parte datoriale, a tanto onerata, vertendo la questione sulla
sussistenza di un elemento costitutivo della legittimità della
stipulazione di un contratto a termine, non aveva fornito, in primo
grado, la prova del rispetto della cosiddetta clausola di
a tal fine, la
contingentamento, essendo insufficiente,
documentazione esaminata e inconferenti le prove orali articolate.
8. Tale assunto è stato censurato, dalla società, con il secondo mezzo,
per violazione di norme di diritto e vizio di motivazione.
9. Sotto il primo profilo, la parte datoriale deduce la violazione dei
criteri di ripartizione dell’onere della prova, dovendo la stessa far

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Rossana Mancino est.
Rgn 28741/2008 + 29016/2008

contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di
una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia
accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione
dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di
tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali
circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle
parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso
di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non
sussistono vizi logici o errori di diritto (v., da ultimo, Cass.
1780/2014).

10. In linea con la più recente e condivisa giurisprudenza di questa Corte,
deve invece ritenersi che la prova al riguardo grava sulla parte
datoriale, in base alla regola esplicitata dalla L. n. 230 del 1962, art. 3
secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva
esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine
al contratto di lavoro (cfr, ex plmitnis, Cass., nn. 839/2010;
13536/2012; 20398/2012; 3102/2013); risulta così superato il
contrario orientamento espresso dalla sentenza di questa Corte, n.
17674/2002, richiamata dalla ricorrente.
11. L’ulteriore profilo di doglianza, concernente il preteso vizio di
motivazione, è inammissibile per plurimi profili, giacché: a) non
corredato dal richiesto momento di sintesi ai sensi dell’art. 366-bis
c.p.c., applicabile ratione tenrporis al presente giudizio; b) non
rispettoso del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione,
non essendo stato ivi riprodotto il contenuto della documentazione
di cui si assume l’erroneo apprezzamento; c) si risolve nella richiesta
di un riesame del materiale probatorio, non consentito in questa sede
di legittimità.
12. La Corte territoriale, con riferimento alla svolta eccezione di aliunde
percepturn, ha escluso la condanna della Società al pagamento delle
retribuzioni a far tempo dalla messa in mora, traendo, ai sensi dell’art.
116, secondo comma, c.p.c., argomenti di prova in senso sfavorevole
al lavoratore dalla mancata ottemperanza, da parte di quest’ultimo,
all’ordine di esibizione relativo ai redditi percepiti nel periodo
successivo alla scadenza del contratto.
13. Tale assunto è stato censurato con il mezzo d’impugnazione svolto
dal lavoratore con doglianza che non si appalesa pertinente alle
ragioni del decidere e lo stesso quesito, ex art. 366-bis c.p.c., a
chiusura dell’illustrazione del motivo, evoca la regolamentazione
giuridica dell’onere della prova dell’ aliunde percoturn anziché infirmare
la ratio decidendi improntata sull’assenza di pregiudizio economico

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carico sul lavoratore che abbia eccepito la nullità della clausola
appositiva del termine.

evincendo i relativi argomenti di prova dalla condotta inottemperante
del lavoratore all’ordine di esibizione ex art. 210 c.c.

15. Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via
di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel
giudizio di legittimità lo jus superveniens che abbia introdotto, con
efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il
fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle
questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del
controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici
motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004
n. 4070).
16. In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che
investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina
sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80).
17. Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
18. In definitiva il ricorso principale va rigettato e quello incidentale
dichiarato inammissibile.
19. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di
lite.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso della società; dichiara
inammissibile il ricorso del lavoratore; spese compensate.

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14. Così risultato inammissibile il motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in
qualche modo nel presente giudizio lo jus superveniens, rappresentato
dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2014

gliere

Il Presidente

Il c

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