Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17751 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 25/08/2020), n.17751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20254-2019 proposto da:

D.F., rappresentato e difeso dall’avvocato SIMONA MAGGIOLINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 65/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 07/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. GIANNACCARI ROSSANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.F., cittadino proveniente dalla Nigeria, chiese alla Commissione Territoriale di Bologna, Sezione Distaccata di Bologna il riconoscimento della domanda di protezione internazionale nella forma del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto di rilascio di un permesso umanitario. Innanzi alla Commissione Territoriale, aveva dichiarato di essere un attivista IPOB e di aver partecipato, in data 30.8.2015, ad una manifestazione pubblica di protesta, nel corso della quale vi erano stati morti e feriti. Era intervenuto l’esercito, arrestando molti manifestanti e, temendo di essere arrestato, era fuggito attraverso la Libia prima di giungere in Italia.

1.1. La domanda venne rigettata in sede amministrativa; l’opposizione fu rigettata dal Tribunale ed il provvedimento di diniego fu confermato in appello, con sentenza della Corte d’Appello di Bologna del 7.1.2019.

1.2. Per quel che rileva in sede di legittimità, la corte di merito non ritenne credibili le dichiarazioni del ricorrente nemmeno in relazione alla sua provenienza poichè il predetto non aveva fornito alcun documento di identità, che avrebbe potuto procurarsi dalla sorella ancora residente in Nigeria.

2.Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso D.F. sulla base di un unico motivo.

2.Il Non ha svolto attività difensiva il Ministero dell’Interno, che ha depositato un “atto di costituzione”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1.Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte di merito accertato la provenienza del ricorrente attraverso i doveri di cooperazione istruttoria, ponendo il relativo onere a carico del cittadino straniero, che era sprovvisto di documenti di identità.

1.1.Il motivo è fondato.

1.2. Tutto il sistema della protezione internazionale è incentrato sul principio dell’onere probatorio attenuato posto a carico del richiedente asilo e del connesso dovere di cooperazione tra il richiedente e l’autorità competente nell’acquisizione e valutazione della prova.

1.3.Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 impone al richiedente un dovere di cooperazione consistente nell’allegare, produrre o dedurre “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare” la domanda di protezione internazionale. L’esame è svolto in cooperazione con il richiedente e riguarda tutti gli elementi significativi della domanda.

1.4.Nel comma 2 viene specificato che gli elementi rilevanti che il richiedente è tenuto a fornire devono riferirsi alla sua età, condizione sociale, anche dei congiunti, se rilevante ai fini del riconoscimento, identità, cittadinanza, paesi e luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, domande d’asilo pregresse, itinerari di viaggio, documenti di identità e di viaggio, nonchè i motivi della sua domanda di protezione internazionale.

1.5.L’esame deve essere condotto anche sulla base delle allegazioni e prove fornite dal richiedente ma nel caso tali elementi siano ritenuti deficitari deve essere integrato dall’assolvimento dell’obbligo officioso di assumere le informazioni mancanti o non reperite dal richiedente.

1.6.Premesso, pertanto, il rilievo centrale delle dichiarazioni del richiedente, al fine d’identificare, nell’ipotesi della protezione sussidiaria la sussistenza o la percezione di un rischio effettivo per la vita o l’incolumità psico fisica derivante da una situazione di verosimile condizione d’insicurezza e mancanza di reti di protezione statuali funzionanti nel paese d’origine, è necessario delineare sulla base degli indici normativi provenienti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, quando effettivamente sorga l’obbligo di cooperazione istruttoria in capo alle autorità decidenti. Più specificamente, va individuato quale sia il nucleo minimo di dichiarazioni ed informazioni necessario perchè s’imponga l’adempimento di tale obbligo prima di decidere in ordine ad una domanda di protezione internazionale ed, in particolare, per una domanda di protezione sussidiaria, riconducibile alla fattispecie normativa di cui all’art. 14, lett. c), così come interpretata dalle pronunce della Corte di Giustizia (sentenza n. 172 del 2009, Caso Elgafaji contro Paesi Bassi e, per la definizione di conflitto armato interno si veda la successiva sentenza del 30/1/2014 Caso Diakitè n. 285-12).

1.7.Al riguardo, come affermato da Cassazione civile sez. VI, 10/04/2015, n. 7333, la descrizione di una situazione di rischio per la vita o l’incolumità fisica che derivi da sistemi di regole non scritte sub statuali ma imposte con la violenza e la sopraffazione verso un genere, un gruppo sociale o religioso o semplicemente verso un soggetto o un gruppo familiare nemico – quando sia tollerata o tacitamente approvata dalle autorità statuali od anche quando tali autorità non siano in grado di contenerla o fronteggiarla – impone un approfondimento istruttorio officioso diretto proprio a verificare il grado di diffusione ed impunità dei comportamenti violenti descritti e la risposta delle autorità statuali. In tal caso, si impone un approfondimento istruttorio officioso sulla provenienza del richiedente asilo poichè, in caso di rimpatrio forzato, potrebbe essere esposto ad un danno grave derivante da una situazione di conflitto generalizzato.

1.8.Nel caso in esame, la corte di merito, pur dando atto che in alcune regioni della Nigeria sussistevano “situazioni di violenze ed attentati terroristici di gruppi integralistici di matrice religiosa” e, pur accertando l’esistenza, nella zona nord orientale della Nigeria, del gruppo terroristico di Boko Haram, ha omesso di cooperare con il ricorrente per accertare il territorio di provenienza.

1.9.La corte di merito ha erroneamente ritenuto che fosse onere del ricorrente fornire la prova della sua provenienza attraverso un documento di identità, che si sarebbe potuto procurare tramite la sorella, rimasta in Nigeria mentre tale accertamento poteva essere svolto attraverso l’attivazione dei suoi poteri officiosi.

1.10.In particolare, era compito del giudice colmare detta lacuna informativa, sia attraverso un esame del richiedente asilo diretto a tal fine, sia attraverso l’attivazione dei canali diplomatici e degli strumenti di cooperazione internazionale, tanto più che, nella quasi totalità dei casi, i richiedenti asilo sono sprovvisti di documenti di identità.

2.Il ricorso deve, pertanto, essere accolto.

2.1.La sentenza va cassata e rinviata innanzi alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: “in tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 impone al richiedente un dovere di cooperazione consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessaria per motivare la domanda di protezione internazionale; il dovere di allegazione non investe l’onere della prova, che è temperato dall’obbligo di cooperazione istruttoria da parte del giudice attraverso poteri officiosi di indagine e di informazione, che investono il luogo di provenienza, attraverso l’attivazione di canali diplomatici e di strumenti di cooperazione internazionale, quando venga dedotta, nel paese di provenienza o in alcune parti del territorio di esso, una situazione di violenza generalizzata”.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia innanzi alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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