Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17749 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 25/08/2020), n.17749

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20380-2019 proposto da:

U.S., rappresentato e difeso dall’avvocato SABRINA MURA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 256/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 19/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. U.S., cittadino nigeriano proveniente da Benin City, Uromi, Edo State chiese alla Commissione Territoriale di Cagliari la protezione internazionale, in una delle tre forme, deducendo di essere omosessuale e di aver avuto una relazione con un uomo conosciuto in un hotel dove si prostituiva; aveva appreso che il compagno era stato arrestato, che avesse rivelato la loro relazione ed era fuggito per il timore di essere perseguitato in ragione del proprio orientamento sessuale.

1.1.La richiesta, rigettata in sede amministrativa, venne impugnata innanzi al Tribunale di Cagliari, che rigettò l’opposizione e la decisione venne confermata dalla Corte d’appello di Cagliari con sentenza del 19.3.2019.

1.2.La corte di merito valutò non credibili le dichiarazioni relative all’omosessualità, in quanto non circostanziate e generiche, in relazione ad alcuni aspetti rilevanti, come l’età della scoperta dell’omosessualità ed il nome del partner. Era insussistente anche il timore di essere arrestato per la sua omosessualità, in assenza di provvedimento giudiziari a suo carico.

1.3.Venne, inoltre, rigettata la richiesta di protezione sussidiaria ed il permesso di soggiorno di carattere umanitario, non rientrando nelle ipotesi tassative previste dalla L. n. 132 del 2018.

1.4.Per quel che ancora rileva nel giudizio di legittimità, la corte di merito revocò l’ammissione al gratuito patrocinio, per avere il richiedente agito in giudizio con mala fede.

1.5.Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso U.S. sulla base di quattro motivi.

1.6.Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3 e 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; il ricorrente contesta il giudizio di carenza di credibilità, formulato dai giudici di merito, avvenuto sulla base di stereotipi, contrari alle linee guida dell’UNHCR mentre sarebbe in atti la prova della sua omosessualità, quale partecipante attivo del Movimento Omosessuale Sardo. Censura, inoltre, l’affermazione della Corte di merito relativa all’assenza di un danno grave derivante dal timore di essere arrestato, in assenza di un provvedimento giudiziario a suo carico.

2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame dei rilievi fotografici che lo ritraevano in varie manifestazioni in difesa dei diritti degli omosessuali e le relazioni psicologiche relative all’accettazione del proprio orientamento sessuale.

3. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.

3.1. La valutazione della credibilità del richiedente asilo, per ragioni legate all’omosessualità, deve avvenire secondo i criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. La norma, testualmente riproduttiva della corrispondente disposizione contenuta nell’art. 4 della Direttiva 2004/83/CE, costituisce, unitamente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, relativo al dovere di cooperazione istruttoria incombente sul giudice in ordine all’accertamento delle condizioni aggiornate del paese d’origine del richiedente asilo, il cardine del sistema di attenuazione dell’onere della prova, posto a base dell’esame e dell’accertamento giudiziale delle domande di protezione internazionale.

3.2.Le circostanze e i fatti allegati dal cittadino straniero, qualora non siano suffragati da prova, possono essere ritenuti credibili se superano una valutazione di affidabilità fondata sui sopradescritti criteri legali, tutti incentrati sulla verifica della buona fede soggettiva nella proposizione della domanda, valutabile alla luce della sua tempestività, della completezza delle informazioni disponibili, dall’assenza di strumentalità e dalla tendenziale plausibilità logica delle dichiarazioni, valutabile non solo dal punto di vista della coerenza intrinseca ma anche sotto il profilo della corrispondenza della situazione descritta con le condizioni oggettive del paese.

3.3.Inoltre, il giudice deve tenere conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente”, con riguardo alla sua condizione sociale e all’età (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c), e acquisire le informazioni sul contesto socio-politico del paese di rientro, in correlazione con i motivi di persecuzione o i pericoli dedotti, sulla base delle fonti di informazione indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l’acquisizione di altri canali informativi (Cass. n. 16202/2012).

3.4. Nè la direttiva qualifiche nè la direttiva procedure contengono specifiche disposizioni relative alla modalità con cui vengono raccolte le dichiarazioni del richiedente asilo per ragioni legate al proprio orientamento sessuale, nè in ordine alla valutazione della sua credibilità.

3.5. Le linee guida dell’UNHCR raccomandano che non si proceda ad interrogatori invasivi concernenti i dettagli delle pratiche sessuali di un richiedente, esami medici o pseudo-medici, e richieste abusive di video o fotografie che ritraggano il richiedente asilo mentre compie atti sessuali. Vengono scoraggiate anche valutazioni della credibilità basate sull’assenza di tempestività della richiesta dello status di rifugiato, sulla risposta non corretta a domande su argomenti di carattere generale, per esempio relative alle organizzazioni che rappresentano gli omosessuali nel paese dove viene richiesto l’asilo.

3.6.La direttiva qualifiche non pone limiti a nessun tipo di prova che può essere presentata a sostegno di una domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato purchè siano raccolte in modo da rispettare i diritti fondamentali dei richiedenti. Metodi degradanti o non conformi alla dignità umana, come analisi pseudo-mediche o valutazioni compiute tramite il riferimento a stereotipi, non sono conformi nè alla direttiva qualifiche nè alla Carta dei diritti fondamentali.

3.7.La Corte di Giustizia, con la sentenza del 2 dicembre 2014 n. 2406, pronunciandosi sull’art. 4 della direttiva qualifiche in merito all’attribuzione dello status di rifugiato a richiedenti che invocavano il loro orientamento sessuale a fondamento del rischio di persecuzione nel loro paese di origine, ha individuato i limiti per la raccolta e la valutazione delle dichiarazioni, ai fini della compatibilità con il diritto dell’Unione. Nella sentenza citata, la Corte di Lussemburgo ha escluso detta compatibilità, laddove si abbia riguardo, quanto alla raccolta della prova ad interrogatori dettagliati relativi alle pratiche sessuali del richiedente incompatibili con il rispetto della vita privata e familiare o a test idonei a dimostrare l’omosessualità o registrazioni video di atti intimi. Infine, la Corte di Giustizia ha affermato che l’art. 4, paragrafo 3 della direttiva 2004/83 nonchè l’art. 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 devono essere interpretati nel senso che l’assenza di credibilità non può essere desunta dalla circostanza che l’orientamento sessuale non sia stato fatto valere dal richiedente alla prima occasione concessagli per esporre i motivi di persecuzione.

3.8.La dichiarazione di un richiedente relativa al proprio orientamento sessuale è un elemento importante da prendere in considerazione ma l’attività istruttoria e valutativa deve avvenire nel rispetto degli artt. 3 e 7 della Carta.

3.9.Nell’esaminare una domanda di protezione internazionale fondata sul timore di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale, questo deve costituire un fatto assodato in base alle semplici dichiarazioni di tale richiedente e costituire il punto di partenza nel processo di esame dei fatti e delle circostanze previsto all’art. 4 della direttiva 2004/83.

3.10.Occorre rilevare a tal riguardo che, conformemente all’art. 4, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2004/83, tale valutazione deve tener conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave.

3.11.Nel caso di specie, il giudice di merito si è uniformato ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale in materia di valutazione della credibilità del richiedente asilo, con particolare riferimento alla situazione di chi dichiari di essere fuggito da proprio Paese per il timore di subire persecuzioni in ragione del proprio orientamento sessuale.

3.12.La Corte di merito ha valutato complessivamente le dichiarazioni del ricorrente sulla base dei criteri previsti 3 del D.Lgs. n. 251 del 2007 ed ha ritenuto inattendibile la sua narrazione in ordine ad elementi essenziali che connotano il vissuto di un individuo, senza fare ricorso a valutazioni stereotipate in ordine all’orientamento sessuale.

3.13.La corte di merito ha primo luogo, evidenziato contrasti tra le dichiarazioni rese in sede amministrativa ed in sede giudiziale in relazione all’età in cui il ricorrente ha preso coscienza della propria omosessualità; ha evidenziato, quale elemento per il giudizio negativo sull’attendibilità la circostanza che non abbia saputo riferire il cognome del proprio compagno con il quale aveva avuto una stabile relazione nonchè di aver omesso, in sede giudiziale, di riferire la circostanza relativa all’esercizio della prostituzione.

3.14.La valutazione della credibilità è avvenuta, quindi, alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, secondo le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia; le dichiarazioni rese dal ricorrente sono coerenti con un esame rispettoso dei diritti dell’individuo e della sua sfera privata, senza il ricorso a metodi invasivi o a domande basate su stereotipi.

3.15.Alla luce di quanto esposto, risulta, quindi, che il Giudice di merito abbia fatto corretta applicazione degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, pervenendo ad un giudizio di intrinseca inattendibilità per la genericità e l’incoerenza delle dichiarazioni.

3.16.Non sussiste, inoltre, il vizio di omesso esame dei rilievi fotografici, che ritrarrebbero il ricorrente in varie manifestazioni, tra le quali il Gay Pride o delle relazioni sull’accettazione della propria sessualità, in quanto non solo il ricorrente non ha allegato integralmente detta documentazione, se non per stralci, ma non ha nemmeno indicato la sede in cui detta documentazione è stata prodotta, in violazione dell’art. 366 c.p.c..

3.17 L’orientamento di questa Corte è consolidato nell’affermare che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cassazione civile sez. un., 27/12/2019, n. 34469).

3.18. La censura è, inoltre, inammissibile per difetto di decisività, in quanto la documentazione è riferibile a fatti successivi rispetto alla manifestazione del proprio orientamento sessuale nel paese di provenienza.

4.Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lettera, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere la corte di merito rigettato la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari – fondato sull’inserimento nella comunità omosessuale sarda – sulla base delle disposizioni contenute nella L. 132 /2018, pur trattandosi di normativa non avente efficacia retroattiva.

4.1.Il motivo è fondato.

4.2.Come recentemente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza del 13/11/2019, n. 29459, in tema di successione di leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Di conseguenza, il c.d Decreto Sicurezza N. 113/2018 non è applicabile retroattivamente alle domande già pendenti, da scrutinare sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione.

4.3.La Corte d’appello, nonostante la domanda di protezione fosse stata proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113/2018 ha valutato i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base di tale disciplina, che ha tipizzato tassativamente le ipotesi di rilascio, mentre avrebbe dovuto applicare la previgente disciplina, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, il quale vietava il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno quando comunque ricorressero “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.

4.4.La sentenza va, pertanto cassata, e rinviata alla Corte d’appello di Cagliari, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

5.Con il quarto motivo di ricorso, si contesta la revoca del gratuito patrocinio, nonostante l’insussistenza dei presupposti della mala fede e colpa grave.

5.1.Il motivo è inammissibile.

5.2.Il provvedimento di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio resta assoggettato esclusivamente al mezzo di impugnazione suo proprio, anche se la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato viene pronunciata nel contesto del giudizio di merito. Ne consegue, che la relativa decisione non costituisce un autonomo capo della sentenza di merito, ma va considerata come se fosse stata emessa secondo la forma prescritta. Pertanto, il mezzo di impugnazione esperibile avverso la stessa resta quello suo proprio, ossia l’opposizione da proporsi al capo dell’ufficio giudiziario del magistrato che ha disposto la revoca (ex multis Cassazione civile sez. VI, 08/03/2018, n. 5535).

PQM

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi alla Corte d’appello di Cagliari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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