Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17747 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 25/08/2020), n.17747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20213/2019 proposto da:

D.K., rappresentato e difeso dall’Avvocato CARMELO PICCIOTTO,

presso il cui studio a Messina, via Placida 13, elettivamente

domicilia, per procura speciale del 20/5/2019, in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI MESSINA del 7/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/1/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.K., nato in (OMISSIS), ha impugnato il provvedimento con il quale, in data 21/8/2018, la commissione territoriale ha respinto la sua domanda di protezione internazionale.

Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha rigettato il ricorso.

D.K., con ricorso notificato il 12/6/2019, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione del decreto, dichiaratamente comunicato il 13/5/2019.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza per error in procedendo e motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 35 bis, comma 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che la storia raccontata dal richiedente non fosse totalmente credibile senza fornire, in ordine a tale convinzione, una motivazione plausibile.

1.2. Il tribunale, peraltro, ha aggiunto il ricorrente, ha omesso di ascoltare preventivamente il richiedente, come invece prescrive del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 10, lett. c), a norma del quale il giudice deve fissare l’udienza per la comparizione delle parti esclusivamente quando ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti. Il tribunale, quindi, avrebbe dovuto dapprima chiedere i chiarimenti e poi stabilire se quanto narrato dal ricorrente fosse o meno credibile.

2.1. Il motivo è infondato. Intanto, il decreto contiene la rappresentazione delle ragioni (corrette o sbagliate che siano) per le quali il tribunale ha ritenuto che “la storia raccontata dal D. non sia totalmente credibile”, vale a dire che lo stesso ha fornito alla commissione territoriale”risposte… prive di coerenza interna, contraddittorie e poco precise”. E tale motivazione non risulta affatto apparente, tale essendo solo quella che, pur se graficamente esistente, risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, laddove, al contrario, le ragioni esplicitate nel provvedimento impugnato consentono senzàaltro di far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.

2.2. Quanto al resto, la Corte si limita ad osservare che, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 10, lett. c), l’udienza per la comparizione delle parti è fissata “esclusivamente quando il giudice:… ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti”: non anche, come invece pretende il ricorrente, quando abbia ritenuto che la narrazione dallo stesso fornita nella domanda di protezione internazionale non sia, per una ragione o per l’altra, credibile, a meno che (ma non risulta dedotto che questo sia accaduto nel caso di specie) l’audizione non sia stata dall’istante espressamente sollecitata proprio per fornire chiarimenti e precisazioni rispetto a quanto già dichiarato e, ciò nonostante, immotivatamente negata.

3.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità per error in procedendo e motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, pur a fronte della documentazione fornita dal richiedente sulla sussistenza dei presupposti della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha ritenuto che, alla luce del rapporto annuale 2017/2018 di Amnesty International e del Country Report of Human Rights Practies 2018 del US Department of State del 13/3/2019, in (OMISSIS), nonostante i disordini e le molteplicità difficoltà e focolai di crisi e sconti, non vi sia un conflitto armato o una violenza indiscriminata.

3.2. Il provvedimento, quindi, si limita, ha osservato il ricorrente, ad un mero rinvio, senza fornire altra spiegazione, e ciò integra il vizio della nullità della sentenza per omessa motivazione.

4.1. Il motivo è infondato. Non è, infatti, carente di motivazione, ai fini previsti dall’art. 132 c.p.c., n. 4, il decreto con il quale il tribunale rigetta la domanda di protezione internazionale recependo per relationem il contenuto e le conclusioni esposte dalle fonti d’informazione a tal fine utilizzate. Del resto, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, se da un lato è vero che, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente, è anche vero, però, dall’altro lato, che al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto (solo) ad indicare specificatamente, com’è accaduto nel caso di specie, le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto ed il contenuto dell’informazione che da esse ha tratto, ritenendola rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019).

5.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità per error in procedendo e motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 35 bis, comma 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria.

5.2. Il tribunale, infatti, così facendo, non ha tenuto conto del fatto che, come emerge dalla documentazione depositata in giudizio, il percorso che dovrebbe portare il ricorrente verso il lavoro, è stato intrapreso fruttuosamente, per cui l’affermazione del tribunale secondo la quale, mancando l’impegno in un lavoro, manca l’integrazione, è apodittico ed integra, quindi, il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione apparente, così come è apodittico e, quindi, privo di motivazione il passo nel quale il tribunale ha ritenuto che la situazione denunciata non appare di tal natura da comportare la privazione della titolarità o dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale.

5.3. D’altra parte, ha proseguito il ricorrente, il tribunale ha riconosciuto che il richiedente, nel transito vero l’Italia, aveva subito vessazioni in Libia senza, però, giungere alla ovvia conclusione che tali vessazioni, pur se rese in un paese di mero transito, possano oltremodo pesare sul richiedente ove dovesse fare ritorno al Paese d’origine.

5.4. Nè rileva, ha concluso il ricorrente, il fatto che, secondo il tribunale, le dichiarazioni del richiedente sul periodo in Libia sono scarne, trattandosi di dichiarazioni rese innanzi alla commissione senza che la stessa abbia ritenuto di fare altre domande, in tal modo integrando la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 35 bis, comma 9, per non aver chiesto ulteriori chiarimenti al richiedente.

6.1. Il motivo è solo in parte fondato.

6.2. Il tribunale ha ritenuto che non sussiste alcuna specifica situazione di vulnerabilità che possa giustificare la protezione invocata sul rilievo, per un verso, che, pur a fronte di “un positivo percorso educativo e relazionale”, “non è possibile ritenere che il ricorrente abbia raggiunto un elevato grado di integrazione sociale in Italia”, e, per altro verso, che “la situazione denunciata, non appare di tale natura da importare la privazione della titolarità o dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale”. Ritiene la Corte che, a fronte di tali affermazioni, deve escludersi, intanto, che la decisione assunta dal decreto risulti supportata da una motivazione solo apparente, tale essendo, invero, solo quella che, seppur graficamente esistente, risulti del tutto inidonea ad assolvere alla specifica funzione di esplicitare le ragioni della decisione, laddove, al contrario, le ragioni esplicitate nel provvedimento impugnato consentono senz’altro di far conoscere il ragionamento (corretto o meno non importa) seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Peraltro, una volta escluso che il decreto impugnato sia stato utilmente censurato per difetto di motivazione o per motivazione apparente, l’accertamento in fatto che lo stesso ha operato può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata: ciò che, nel caso di specie, non è accaduto, non avendo il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame sia stato omesso dal giudice di merito nonchè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risultino esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la loro “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.).

6.3. Nè rileva la dedotta violazione, ad opera della commissione territoriale, del D.Lgs. n. 251 del 2008, art. 35 bis, comma 9, la censura è palesemente inammissibile. La violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sull’autorità amministrativa (perchè di questo, in sostanza, si tratta) si risolve, ove il provvedimento di rigetto adottato dalla stessa sia stato confermato dal tribunale, in un vizio del decreto reso da quest’ultimo, a condizione, però, il ricorrente lo abbia specificamente lamentato nell’impugnazione proposta in sede giurisdizionale: ciò che, nel caso in esame, alla luce delle indicazioni contenute nel ricorso, non risulta essere accaduto.

6.5. Risulta, invece, fondata la censura relativa all’omesso esame, quale fatto decisivo ai fini del giudizio, delle vessazioni che il ricorrente aveva subito in Libia, quali emergono dalla riproduzione in ricorso delle dichiarazioni rese sul punto dal richiedente (p. 10, 11). Il tribunale, al riguardo, si è limitato a rilevare che per il ricorrente la Libia è stato un Paese di mero transito e che, pertanto, in relazione a tale Paese, lo stesso non poteva fondatamente avanzare alcuna domanda di protezione internazionale. Sennonchè, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2 bis, introdotto dal D.L. n. 89 del 2011, conv. con modificazioni nella L. n. 129 del 2011, nell’individuare, ai fini del divieto di espulsione e di respingimento, le “categorie vulnerabili” di soggetti, dà rilievo alle “gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali” disponendo che, per tali persone, il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione “sono effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate”. Questa Corte, nella recente ordinanza n. 5358 del 2019, ha affermato che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari (secondo la normativa vigente ratione temporis) presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali, richiamando il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, nel testo modificato dalla L. n. 110 del 2017. Sempre questa Corte ha, inoltre, precisato (Cass. 28990 del 2018) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie dev’essere frutto di valutazione autonoma, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti. La protezione umanitaria, nella disciplina applicabile ratione temporis, è, in effetti, una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. 23604 del 2017). Ne consegue che la pronuncia impugnata, sotto il profilo del vizio motivazionale sostanzialmente denunciato, in merito alla richiesta di protezione umanitaria, deve essere riformata, atteso che, pur essendo vero che il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), nel caso di specie, non risulta essere stata compiuta alcuna valutazione del fatto, rappresentato dal richiedente innanzi alla commissione territoriale, rappresentato dalle violenze dallo stesso subìte non nel Paese d’origine ma in Libia, Paese di transito ma anche di permanenza per un periodo (a quel che sembra) non breve, potenzialmente idoneo, ove vagliato, quale elemento in grado di ingenerare nella persona un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla suddetta condizione di vulnerabilità ed ad essere quindi ostativa ad un rientro nel Paese d’origine (nella specie, il Togo).

6.6. Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce, in definitiva, una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. n. 13096 del 2019).

7. Il decreto impugnato dev’essere, quindi, cassato, in relazione alla censura accolta, con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Messina – sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il primo ed il secondo motivo; accoglie, nei limiti indicati in motivazione, il terzo motivo; cassa il decreto impugnato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Messina – sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione internazionale, che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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