Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17745 del 29/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 29/07/2010), n.17745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.E.S. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESIRA FIORI 32, presso lo studio dell’avvocato LICCIARDELLO ORAZIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CIMINELLI CARLO,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, PULLI CLEMENTINA, VALENTE NICOLA, giusta delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 816/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 23/10/2008 r.g.n. 628/07; udita la relazione della

causa svolta nella pubblica udienza del 16/06/2010 dal Consigliere

Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato LICCIARDELLO ORAZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 23 ottobre 2008 la Corte d’appello di Genova, confermando la statuizione di primo grado, rigettava la domanda proposta da P.E.S. nei confronti dell’Inps. Il P., erede della madre S.M., chiedeva la condanna dell’Istituto al pagamento delle differenze della pensione di reversibilità di cui questa aveva goduto fino al decesso, affermando che la stessa doveva essere incrementata, spettando al coniuge dante causa P.R. il beneficio per esposizione ad amianto, ai sensi della L. n. 257 del 1992. Rilevava la Corte territoriale che P.R., alla data di entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, ossia al 28 aprile 1992, era titolare di pensione di invalidità Inps di cui al R.D.L. n. 636 del 1939 ed affermava che il beneficio non spettava perchè il medesimo, alla data di entrata in vigore della legge aveva 73 anni e non lavorava. I Giudici d’appello richiamavano l’orientamento di legittimità per cui il beneficio contributivo per esposizione ad amianto non si applica a coloro che erano già pensionati di vecchiaia o di anzianità alla data di entrata in vigore della legge, mentre si applica ai titolari di pensione di invalidità. Tuttavia, anche se il dante causa non aveva proposto domanda per la trasformazione della pensione di invalidità nella pensione di vecchiaia preclusiva del beneficio, la Corte negava il diritto alla rivalutazione contributiva, sul rilievo che in quel caso i benefici di cui alla citata Legge del 1992 verrebbero snaturati da incentivo a lasciare il lavoro a mero incremento del trattamento in godimento a prescindere da ogni mutamento di vita.

Avverso detta sentenza il soccombente ricorre con due motivi.

L’Inps ha depositato procura.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si censura la sentenza per violazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, come modificato dalla L. n. 271 del 1993, nonchè dell’art. 12 preleggi e per difetto di motivazione, per avere ritenuto che dal beneficio fossero esclusi i titolari di pensione di invalidità sul rilievo che costoro, non essendo in attività lavorativa, non fossero meritevoli della tutela di legge.

Con il secondo motivo si reiterano le medesime censure sul rilievo che sarebbe errato il riferimento all’età pensionabile di sessanta anni per gli uomini, essendo questa stata elevata prima ai sessantadue anni con la L. n. 407 del 0 e poi a sessantacinque dal D.Lgs. n. 503 del 1992.

Il ricorso merita accoglimento.

Infatti, a prescindere dalla fondatezza del secondo motivo, che resta così assorbito, va accolto il primo perchè la sentenza impugnata non si è attenuta all’orientamento ormai consolidato (da ultimo Cass. n. 2849 del 13 febbraio 2004) in cui si è affermato che, “In materia di benefici pensionistici a favore dei lavoratori del settore dell’amianto, la L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8, nel testo di cui al D.L. 5 giugno 1993 n. 169, così come modificato dalla Legge di Conversione 4 agosto 1993, n. 271, deve essere interpretato nel senso che la maggiorazione secondo il coefficiente 1,5, ai fini delle prestazioni pensionistiche, del periodo lavorativo soggetto ad assicurazione obbligatoria per le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, “per i lavoratori” per cui tale esposizione sia avvenuta per un periodo superiore a dieci anni, non è applicabile “solo” ai soggetti che, al momento dell’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992 e successive modificazioni, erano titolari di pensione di vecchiaia o di anzianità”.

Si è precisato che scopo generale della legge è il sostegno ai lavoratori pregiudicati nelle loro possibilità occupazionali dalla soppressione delle lavorazioni dell’amianto, e che i benefici di cui all’art. 13, comma 8, mirano specificamente ad agevolare il pensionamento di vecchiaia o di anzianità dei soggetti esclusi dal beneficio del prepensionamento (previsto dal comma secondo), per la mancanza del requisito dei trenta anni di contribuzione o della attualità del rapporto di lavoro. Si è invece affermato che non sono esclusi, dalla rivalutazione dei periodi contributivi in questione, i titolari di pensione o assegno di invalidità, poichè ai medesimi si addice la qualifica di “lavoratori”, dato che il godimento della prestazione di invalidità non preclude lo svolgimento di attività lavorativa e che anche per essi vi è l’esigenza di incrementare l’anzianità assicurativa per poter conseguire le prestazioni di vecchiaia. Nè si può escludere dalla categoria dei “lavoratori” come indicata dalla legge, tutti coloro che, alla data della sua entrata in vigore, si trovino in stato di disoccupazione volontaria o involontaria, giacchè lo stato di disoccupazione non fa venir meno il fatto che i medesimi hanno prestato attività lavorativa.

Inoltre nessuna delle leggi che regolano il beneficio per cui è causa lo subordinano a limiti di età, di talchè non è consentito all’interprete di aggiungere una ulteriore condizione non prevista;

nè invero alcuna norma di legge preclude lo svolgimento di attività lavorativa anche a coloro di età avanzata.

In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice che si designa nella Corte d’appello di Torino, la quale deciderà anche sulle spese del presente processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2010

 

 

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