Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17745 del 19/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 19/07/2017, (ud. 01/03/2017, dep.19/07/2017),  n. 17745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23100-2013 proposto da:

I.S.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLLI DELLA FARNESINA 132, presso lo studio dell’avvocato

EDOARDO BITTERMAN, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIORGIO CONTI;

– ricorrente –

contro

G.G., P.G.A., N.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2642/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/03/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con atto notificato l’8.7.1999, G.G. conveniva la Artecasa di N.G. e C. s.n.c, nonchè i relativi soci illimitatamente responsabili N.G., I.C. e P.G., davanti al Pretore di Desio. Deduceva che nel giugno 1994, a seguito della mediazione svolta da detta società, aveva sottoscritto una proposta irrevocabile d’acquisto di una villetta a schiera e, successivamente, il relativo contratto preliminare, corrispondendo per la mediazione la provvigione di Lire 9.000.000. Solo dopo l’integrale pagamento del prezzo, pari a Lire 330.000.000, aveva appreso che il trasferimento della proprietà non era possibile giacchè titolare dell’immobile non era il promittente venditore, C.G., ma la Ilenia e Jenny s.r.l., società che nel frattempo era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Monza. Quindi, domandava la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento del danno sofferto e, in subordine, alla restituzione della provvigione.

La società Artecasa e l’ I. resistevano in giudizio, evidenziando, in particolare, che nel preliminare il promittente venditore aveva specificato la propria qualità di “proprietario per compromesso”.

Il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, competente a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 51 del 1999, con sentenza del 2 luglio 2002 accoglieva entrambe le domande della G. e condannava i convenuti, in solido, a restituire la provvigione di Euro 5.112,92, oltre interessi al saldo, e a risarcire nella misura di Euro 20.000,00 il disagio morale oltre che fisico cagionato all’attrice.

Tale decisione, gravata dalla società Artecasa, dall’ I. e dal P. e, in via incidentale, dalla G., era riformata dalla Corte di appello di Milano, che rigettava l’impugnazione incidentale e, in parziale accoglimento di quella principale, rigettava la domanda di risarcimento del danno.

Proposto ricorso (principale) per cassazione da parte della G. (e incidentale da parte della Artecasa e di I.C.), questa Corte Suprema con sentenza n. 21925/09 annullava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della medesima Corte d’appello di Milano. Osservava questa Corte che, in difetto di un litisconsorzio necessario, doveva dichiararsi inammissibile il ricorso della G. nei soli confronti di N.G., non avendo la ricorrente ottemperato all’ordinanza che aveva disposto di rinotificare il ricorso a quest’ultimo. Rilevava, quindi, che una volta accertato che al pagamento dell’intero prezzo non era seguito nè l’adempimento del preliminare nè la restituzione delle somme versate, contraddittoriamente i giudici di secondo grado non avevano ravvisato un danno nel pregiudizio subito dalla promissaria per il mancato rispetto del sinallagma contrattuale, essendo del tutto illogica la presunzione di un acquisto dell’immobile a titolo gratuito dal fallimento dell’intestataria, e mancando la prova che fosse stata pagata la provvisionale riconosciuta in favore dell’attrice nel procedimento penale.

Con sentenza n. 2642/13 la Corte d’appello di Milano, quale giudice di rinvio, condannava I.S.C. e P.G., quali soci illimitatamente responsabili della società Artecasa di N.G. e C. s.n.c., in solido fra loro, a corrispondere a G.G. la somma di Euro 170.430,78, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, con gli interessi legali dalla domanda al saldo, mentre rigettava la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.

Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte milanese osservava che, cancellata e quindi estinta la società, ad essa succedevano i soci ai sensi dell’art. 110 c.p.c., e dunque, nella specie, N.G., I.C. e P.G.. Solo che nei confronti del primo dei predetti la sentenza n. 21925/09 di questa S.C. aveva dichiarato inammissibile il ricorso principale della G., che non aveva ottemperato all’ordinanza che aveva disposto una nuova notifica del ricorso a N.G..

Osservava, quindi, richiamandosi espressamente a Cass. S.U. n. 22548/13, che la Artecasa, essendo stata cancellata dal registro delle imprese sin dal 2004, non era più parte del giudizio e che, in definitiva, gli unici contraddittori erano i relativi soci. Ciò posto, per effetto della sentenza di annullamento con rinvio doveva ormai ritenersi definitivamente accertata la responsabilità di detta società per violazione del dovere d’imparzialità e correttezza verso la G. nello svolgere la propria attività di mediazione. Riteneva, quindi, non seriamente contestabile il danno patrimoniale arrecato alla G., che aveva sborsato la somma di Euro 170.430,78 a titolo di prezzo senza divenire proprietaria del bene, e che I. e P. non avevano provato la restituzione di alcuna parte di tale somma, nemmeno della provvisionale.

Per la cassazione di tale ultima sentenza I.S.C. propone ricorso, affidato a quattro motivi.

N.G. e P.G. sono rimasti intimati.

Attivato il procedimento camerale ex art. 380-bis c.p.c., comma 1 inserito, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, il difensore della parte ricorrente ha formulato istanza affinchè gli fosse concesso un termine per notificare nuovamente il ricorso a Giuseppina G., non essendo andata a buon fine la prima notificazione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Per le ragioni che seguono, il ricorso è manifestamente infondato in ciascuno dei suoi motivi. Pertanto, per ragioni di economia processuale e ad evitare un inutile dispendio a carico della parte ricorrente, non va disposta la rinnovazione della notifica del ricorso nei confronti di G.G..

2. – Il primo motivo deduce la violazione dell’art. 110 c.p.c., per non essere stato integrato il contraddittorio nei confronti di N.G., da ritenersi litisconsorte necessario per la ritenuta assimilazione della vicenda estintiva della società ad una fattispecie di successione a titolo universale nel processo. Il secondo motivo lamenta che G.G. avrebbe ottenuto a suo favore una duplicazione di titoli condannatori per la medesima vicenda sostanziale, avendo ella conseguito in sede penale la condanna di C.G. al pagamento di 380 milioni di Lire, e in sede civile la condanna dei soci I. e P. per Euro 170.430,78. Il terzo motivo espone la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., perchè sarebbe stato onere (non assolto) della G. provare il mancato risarcimento da parte di C.G.. Il quarto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., in quanto non risponde al vero che la Artecasa avrebbe sempre qualificato il sig. C.G. come proprietario dell’immobile oggetto del contratto stipulato con la G.. Al contrario, proprio tale contratto qualifica il C. come proprietario “per compromesso” e non “per rogito”. Di conseguenza, l’attrice deve ritenersi aver concorso colposamente nella produzione del danno, effettuando i pagamenti previsti in maniera imprudente e prima del rogito notarile.

3. – Il primo motivo è manifestamente infondato, anche se per ragioni diverse da quelle esposte nella sentenza impugnata, la cui motivazione va in parte qua corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.

In tema di giudizio di rinvio, il principio della rilevabilità del giudicato (sia interno che esterno) in ogni stato e grado del giudizio deve essere coordinato con i principi che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel giudizio di legittimità, ma anche quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza, ancorchè non dedotte o rilevate in quel giudizio, sicchè il giudice di rinvio non può prendere in esame neppure la questione concernente l’esistenza di un giudicato esterno o interno, qualora l’esistenza di quest’ultimo, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio (Cass. nn. 16171/15, 13787/06 e 6260/05).

Ne consegue che la sentenza di annullamento della Corte di cassazione preclude al giudice di rinvio di non solo di interpretare altrimenti il principio di diritto ivi affermato, o di accertare nuovamente i fatti che ne presuppongono l’enunciazione, ma anche di riesaminare questioni che la Corte di cassazione abbia espressamente (o anche solo implicitamente) risolto e sulle quali si sia formato, pertanto, il giudicato interno.

Così, non gli è dato di rivalutare l’eventuale esistenza di un litisconsorzio necessario, allorchè – com’è avvenuto nella specie (v. pag. 5 della sentenza n. 21925/09 di questa Corte Suprema) – la pronuncia di cassazione l’abbia espressamente escluso.

4. – Il secondo motivo non ha pregio.

Proprio perchè non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario quando la causa ha ad oggetto un’obbligazione solidale, poichè la struttura del rapporto consente al creditore di esigere – e obbliga ciascun debitore a corrispondere – l’intero, sicchè non occorre alcun simultaneus processus (cfr. ex multis, Cass. nn. 14844/07 e 7501/07), è possibile per il creditore agire separatamente contro i coobbligati solidali e, di riflesso, ottenere nei confronti di ciascuno di loro un autonomo titolo esecutivo di condanna.

5. – Anche il terzo motivo va respinto.

Al contrario di quanto mostra di opinare parte ricorrente, l’adempimento (totale o parziale) dell’obbligazione risarcitoria da parte di uno degli obbligati solidali, sia o non sia quest’ultimo parte in causa, non costituisce elemento costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio, ma caratteristico fatto estintivo che (proprio ai sensi dell’art. 2697 c.c., di cui parte ricorrente lamenta infondatamente la violazione) grava sulla parte obbligata.

6. – Il quarto motivo è infondato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (così e per tutte, Cass. n. 16038/13). In altri termini, la violazione di legge è l’effetto di un’errata interpretazione di norme e giammai dell’apprezzamento dei fatti, come invece mostra di ritenere parte ricorrente allorchè pone a base della censura la propria valutazione dei fatti storici che hanno originato la controversia.

E poichè la sentenza impugnata non contiene alcuna, neppur implicita, affermazione che contrasti con la corretta interpretazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, anche tale motivo d’impugnazione non coglie nel segno, traducendosi nell’indiretta sollecitazione di un inammissibile sindacato di puro merito.

7. – In conclusione il ricorso va respinto.

8. – Nulla per le spese, non essendo stata svolta attività difensiva ad opera delle parti intimate.

9. – Ricorrono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, a carico della parte ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2017

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