Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17742 del 29/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 29/07/2010), n.17742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GUADAGNI SIMONETTA, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA,

1312, presso lo studio dell’avvocato TAMAGNINI CATIA E CINZIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato TRONCA ACHILLE, giusta mandato

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8806/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/01/2006 r.g.n. 3413/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega GUADAGNI SIMONETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 27 gennaio 2006, la Corte di appello di Roma in riforma della decisione di primo grado, ha parzialmente accolto la domanda proposta da B.M. nei confronti della società Poste Italiane, e dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato fra le parti il 1^ febbraio 2000, con la conseguente trasformazione del rapporto in quello di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ha condannato l’azienda a corrispondere al lavoratore le retribuzioni maturate dal 10 maggio 2002, data della costituzione in mora della società, e nei limiti del triennio decorrente dalla cessazione del rapporto, e quindi fino al 30 giugno 2003, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. La Corte di merito è pervenuta a queste conclusioni, avendo accertato che l’apposizione del termine al contratto di assunzione dell’appellante, per il periodo 1^ febbraio/30 giugno 2000, era stata giustificata dalla datrice di lavoro con il richiamo alla disciplina legale e all’art. 8 c.c.n.l. 26 novembre 1994, nonchè al successivo accordo integrativo del 25 settembre 1997, in particolare per far fronte alle esigenze di carattere straordinario conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane. Essendo le assunzioni per tali ipotesi legittimate dalla contrattazione collettiva fino al 30 aprile 1998, data di scadenza della proroga per l’esercizio della facoltà per l’azienda di procedere ad assunzioni a termine per sopperire alle dette esigenze, il termine era stato illegittimamente apposto.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società, con ricorso basato su un solo motivo.

L’intimato ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico articolato motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ., dell’art. 425 cod. proc. civ., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’efficacia dell’accordo del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 c.c.n.l. 1994. Pone la questione del limite temporale del suddetto accordo e di quelli successivi, i quali, ad avviso della società hanno valenza meramente ricognitiva della situazione aziendale e delle condizioni di fatto legittimanti il ricorso alla fattispecie di apposizione del termine, senza circoscrivere in alcun modo il ricorso a tale strumento solo al periodo di tempo là indicato, così come era emerso anche dalle dichiarazioni rese da taluni rappresentanti sindacali nel corso dell’audizione disposta dal giudice del gravame.

Prima del suesposto motivo, deve essere esaminata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso sollevata dal resistente sia per la mancata enunciazione del quesito di diritto sia per l’omessa indicazione delle ragioni di diritto in ordine alle violazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. e dell’art. 425 cod. proc. civ..

L’eccezione è prima di fondamento. Quanto al primo profilo, è sufficiente osservare che la disposizione dettata dall’art. 366 bis cod. proc. civ., – alla stregua della quale l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, e nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione – è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al processo di cassazione, e si applica ai ricorsi proposti contro sentenze pubblicata dopo il 2 marzo 2006, mentre quella qui impugnata è anteriore a tale data.

Riguardo all’altro profilo, nel motivo sono specificati i canoni ermeneutici che si assumono violati e le critiche in ordine alla valutazione dei rappresentanti dei sindacati che avevano sottoscritto gli accordi attuativi e anche di quelli “non firmatari”.

Il ricorso, sebbene ammissibile, è però infondato.

Si deve infatti qui richiamare l’ormai copiosa giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378), la quale, decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha confermato le pronunce dei giudici di merito che avevano dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra citato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione ..), dopo il 30 aprile 1998, e tale interpretazione è stata poi convalidata anche da quella elaborata dopo l’entrata in vigore della riforma del processo di cassazione introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che nel consentire il ricorso per cassazione “per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro” (art. 360 cod. proc. civ., n. 3), affida a questa Corte l’esegesi delle disposizioni dei contratti collettivi che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti di Poste Italiane.

Richiamato quanto già affermato circa la configurabilità, in relazione alla L. n. 56 del 1987, art. 23, di una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati nell’individuazione di nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, e premesso altresì che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, questa Corte ha ritenuto corretta o l’interpretazione dei giudici di merito del distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data e del successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, nel senso che con tali accordi le parti avevano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che, per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione, l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. Si è in particolare osservato che la suddetta interpretazione degli accordi attuativi non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).

Inoltre è stato rilevato che tale interpretazione è rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 cod. civ., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Infine, questa Corte ha ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato; ed invero, ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la conclusione affermata dal giudice del merito è comunque conforme alla regala iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, va confermata la nullità del termine apposto al contratto stipulato dalla società Poste Italiane con l’odierno resistente per il periodo 1^ febbraio/30 giugno 2000.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore di B.M., delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 13,00 e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2010

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