Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17740 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/08/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 29/08/2011), n.17740

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30610/2007 proposto da:

MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, in persona del Ministro pro

tempore, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER L’EMILIA ROMAGNA, in

persona dei rispettivi legali rappresentanti, tutti domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che li rappresenta e difende ape legis;

– ricorrenti –

contro

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAZIO

20/C, presso lo studio dell’avvocato COGGIATTI Claudio, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MENONI RENZO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

B.F., S.B.M., M.P., P.

C., C.M., M.G., C.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 98/2007 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 01/08/2007 R.G.N. 1043/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato GERARDIS CRISTINA;

udito l’Avvocato COGGIATTI CLAUDIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

l.~ La sentenza attualmente impugnata rigetta l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dalla Sovraintendenza scolastica regionale per l’Emilia Romagna e dal Centro Servizi amministrativi di Parma avverso la sentenza del Tribunale di Parma del 27 giugno 2003, n. 337, che ha accertato il diritto della professoressa G.L. all’immissione in ruolo per l’insegnamento della lingua inglese, alle scuole medie inferiori o in alternativa superiori, con decorrenza giuridica dall’anno scolastico 2000-2001 e con le consequenziali pronunce.

La Corte d’appello di Bologna, per quel che qui interessa, precisa che:

a) non può essere condivisa la tesi delle Amministrazioni appellanti secondo cui la graduatoria unica deve essere sostanzialmente intesa come somma di diverse graduatorie concorsuali distribuite nel tempo;

b) in base a tale tesi il diritto del disabile di priorità nell’assunzione non potrebbe che riguardare la graduatoria concorsuale in cui lo stesso è risultato vincitore, pur con il temperamento previsto dalla L. n. 68 del 1999, art. 16, comma 2, che consente l’assunzione dell’idoneo oltre i limiti della riserva;

c) tuttavia, la suddetta conclusione contrasta con i primi due commi della L. n. 124 del 1999, art. 2, come autenticamente interpretati dal D.L. n. 255 del 2001;

d) con la suddetta normativa, infatti, il legislatore non solo ha trasformato le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli per il personale docente della scuola in graduatorie permanenti (da utilizzare per le assunzioni in ruolo e da integrare periodicamente con l’inserimento dei docenti vincitori dell’ultimo concorso regionale per titoli ed esami), ma soprattutto ha costituito una graduatoria (permanente) unica comprendente diverse categorie di docenti;

e) come risulta dalla decretazione ministeriale del 2000, la divisione dei docenti in fasce non è dovuta all’intento di preservare le posizioni di coloro che erano inclusi prima perchè risultavano precedentemente vincitori di concorsi, ma risponde all’esigenza di inserire nella graduatoria, in base a criteri predefiniti e obiettivi, i docenti in possesso di determinati requisiti, secondo un ordine progressivo e conseguente, prendendo in considerazione le differenti situazioni soggettive di partenza e le diverse esperienze professionali;

f) in altri termini, le fasce secondo la normativa del settore rappresentano soltanto lo strumento o il criterio utilizzato per formare la graduatoria che, però, nel suo complesso è stata concepita come unica, tanto che tutti i docenti sono stati ivi inseriti in ordine decrescente secondo una numerazione progressiva e senza soluzione di continuità;

g) conseguentemente, la quota di riserva riconosciuta a favore dei disabili (estensibile fino al 50% dei posti disponibili, nelle procedure selettive pubbliche) deve trovare applicazione per tutte le immissioni in ruolo, indipendentemente dalla fascia nella quale il singolo docente è collocato;

h) la tesi opposta si pone radicalmente in contrasto con la finalità prevista dalla L. 12 marzo 1999, n. 68, consistente nel favorire l’accesso all’impiego dei disabili in modo relativamente indipendente dal merito e dal punteggio conseguito nella graduatoria;

i) tale tesi, infatti, non solo consentirebbe all’Amministrazione di non coprire le quote di riserva previste dalla indicata L. n. 68 del 1999, ma darebbe anche luogo a un risultato illogico, dal momento che le immissioni in ruolo avvengono utilizzando la graduatoria unica permanente e non facendo riferimento alle singole graduatorie dei vari concorsi ai quali gli aspiranti hanno partecipato (disposti, in ordine logico, con l’individuazione delle fasce);

1) in sintesi, il docente riservatario non può non avere titolo all’assunzione, nei limiti della quota assegnata, in riferimento all’unica graduatoria permanente, prescindendo dalla sua collocazione nelle fasce.

2.- Il ricorso del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (d’ora in poi: MIUR) e dell’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia Romagna domanda la cassazione della sentenza per un unico, articolato, motivo; resiste con controricorso la prof. G.L., la quale deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione: a) della L. 12 marzo 1999, n. 68, artt. 3, 7, 16, in relazione all’istituzione delle graduatorie permanenti di cui alla L. 3 maggio 1999, n. 124; b) della L. 3 maggio 1999, n. 124 e del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, artt. 399 e 401, nonchè del D.L. 3 luglio 2001, n. 255, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 20 agosto 2001, n. 333; c) degli artt. 1 e 4 disp. gen., in riferimento all’applicazione del D.M. n. 132 del 2000 e D.M. n. 146 del 2000.

Si rileva che la Corte d’appello ha ritenuto che le suindicate norme debbano essere interpretate nel senso che le graduatorie permanenti, seppure divise in fasce, devono essere considerate uniche ai fini dell’assunzione dei docenti disabili.

Viceversa, ad avviso dei ricorrenti, la suddetta interpretazione viola la normativa richiamata, dalla quale si evince che le suddette graduatorie (previste dalla L. n. 124 del 1999) devono essere intese quali graduatorie distinte, pur nella unicità del procedimento di reclutamento, in relazione ai differenti requisiti professionali e di servizio richiesti. In tale contesto, il conseguente scaglionamento anche delle riserve non sarebbe lesivo della L. n. 68 del 1999 e dei diritti ivi riconosciuti a favore dei disabili nell’accesso al lavoro.

2- Il ricorso non è fondato, per le ragioni di seguito precisate.

2.1.- La questione relativa all’ambito di operatività della quota di riserva in favore dei disabili e del relativo diritto di priorità nell’assunzione in riferimento al reclutamento del personale docente della scuola è già stata più volte esaminata da questa Corte che – dopo un precedente in senso contrario (Cass. 29 dicembre 2006, n. 27600) basato su una interpretazione sostanzialmente analoga a quella sostenuta dagli attuali ricorrenti – a partire dalla sentenza delle Sezioni unite 22 febbraio 2007, n. 4110 si è orientata, con indirizzo ormai consolidato (vedi: Cass. 11 settembre 2007, n. 19030;

Cass. 9 settembre 2008, n. 23112; Cass. 12 marzo 2009, n. 6026), su una diversa interpretazione.

La motivazione delle menzionate sentenze – recentemente ribadita da Cass. 6 aprile 2011, n. 7889 – sorregge anche la decisione del presente giudizio.

Come è stato osservato da più parti, la L. n. 68 del 1999 – la cui emanazione ha seguito le numerose critiche mosse alla normativa sulle assunzioni obbligatorie dettata dalla L. 2 aprile 1968, n. 482 – determina nella tutela degli invalidi un salto di qualità. Essa, infatti, segna il passaggio da un sistema, prevalentemente ispirato all’idea della configurazione dell’inserimento degli invalidi nelle imprese come un peso da sopportare in chiave solidaristica, ad un altro sistema diretto, invece, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse.

In tale ottica è stato anche rimarcato che con la normativa del 1999 si è manifestata una più accentuata sensibilità del legislatore verso la persona dell’invalido, pur nel rispetto del principio del bilanciamento degli interessi; il che è attestato, da un lato, dalla completa equiparazione dei datori di lavoro pubblici a quelli privati – con la perdita da parte dei primi di quello che è stato visto come il privilegio (accordato dalla L. n. 482 del 1968, art. 12) di subordinare l’assunzione degli invalidi al verificarsi delle vacanze in organico – e, dall’altro, da un riallineamento dei parametri delle quote di riserva a quelli fissati dagli altri Paesi europei.

Una corretta lettura della L. n. 68 del 1999, art. 3, non può, dunque, che comportare il riconoscimento della piena fondatezza delle domande della professoressa G.L., sussistendo nella specie un obbligo della Pubblica amministrazione a ricoprire i posti riservati agli invalidi; obbligo che non poteva in alcun modo essere eluso, atteso che non confliggeva nè con il principio delle diverse graduatorie separate di merito (corrispondenti alla diverse fasce), nè con il principio meritocratico posto a base di dette graduatorie, per essersi creata la necessità di assegnare un posto nella quota riservata e per non riscontrarsi nella fascia superiore a quella in cui era collocata la professoressa G., persone appartenenti alle categorie protette aventi, come tali, titolo per concorrervi.

Dalle suesposte considerazioni può desumersi con certezza che nell’impiego pubblico privatizzato ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro ad individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti”riservati”, essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato (vedi, in particolare Cass. 9 settembre 2008, n. 23112, cit).

E che si tratti di un diritto da osservarsi, stante la sua inderogabilità, dalla Pubblica amministrazione – tenuta in materia, come i privati datori di lavoro, al rispetto del principio fissato dall’art. 38 Cost., insuscettibile di essere disatteso – emerge con certezza anche dal contenuto della L. n. 68 del 1999, art. 16, riguardante i “concorsi presso le pubbliche amministrazioni”. Detta disposizione, infatti, da un lato, pone limitazioni solo per casi tassativi alla partecipazione ai concorsi dei disabili per l’occupazione di posti comportanti l’esercizio di specifiche e predeterminate mansioni (vedi: art. 16, comma 1, ed il riferimento all’art. 3, comma 4, ed art. 5, comma 1); e dall’altro, ad ulteriore dimostrazione dell’assoluta vincolatività dell’assegnazione dei posti riservati inderogabilmente ai disabili, riconosce (anche al fine di contribuire a rendere nella realtà fattuale l’art. 38 Cost., norma precettiva) la possibilità di assumere i disabili (che abbiano conseguito la idoneità in pubblici concorsi) anche se non versino in stato di disoccupazione e oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso.

Corollario delle argomentazioni sinora svolte è altresì l’affermazione che, mentre l’Amministrazione scolastica non può attingere gli aspiranti “riservatari o non” da una successiva graduatoria prima dell’esaurimento di quella precedente della “stessa specie”, essa è invece obbligata ad attingere gli invalidi dall’apposita graduatoria per coprire quei posti che, riservati ai sensi della L. n. 68 del 1999, art. 3, rimarrebbero altrimenti illegittimamente scoperti. Ogni diversa opinione finirebbe per eludere il dettato legislativo e per disattendere la tutela apprestata ai disabili dal dettato costituzionale perchè legittimerebbe – ad esempio nei casi in cui le fasce di merito fossero composte di più aspiranti e solo nell’ultima fossero collocati uno o più disabili – una completa disapplicazione delle quote di riserva di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 3.

Le conclusioni cui si è pervenuti trovano ulteriore conforto nel reticolato di numerose disposizioni della L. n. 68 del 1999. Dette disposizioni, come si è detto, mostrano sotto diversi versanti un rafforzamento in chiave garantistica della tutela apprestata (sia nell’area pubblica che in quella privata) per gli appartenenti alle categorie protette, abbandonando l’ottica della precedente normativa, favorevole a riconoscere maggiori spazi alla libertà decisionale del datore di lavoro in ragione delle esigenze di un pronto recupero della produttività aziendale. Nè può il datore di lavoro pubblico attraverso circolari o altri provvedimenti negare un diritto che, per la sua natura e per l’interesse ad esso sotteso, non è suscettibile di alcuna lesione ad opera di fonti non primarie.

2.2.- Tutto ciò non si pone in contrasto con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 168 del 2004.

In detta sentenza, infatti, la Corte si è limitata a dichiarare la non fondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale relative alla conformità agli artt. 3 e 97 Cost. del citato D.L. n. 255 del 2001, art. 1, commi 2 e 7, ma non si è affatto occupata dei rapporti tra la normativa dettata dalla L. n. 68 del 1999 e quella dettata dal suddetto D.L. n. 255 del 2001 e dalla L. n. 124 del 1999. Non ha quindi affrontato il problema del collocamento obbligatorio degli insegnanti invalidi, la cui disciplina si pone in rapporto di specialità rispetto a quella generale di avviamento e costituzione del rapporto di lavoro (vedi, da ultimo, Cass. 31 maggio 2010, n. 13285).

Va invece considerato, come ulteriore argomento, che anche nell’Unione europea e nell’ordinamento internazionale la tutela del disabile ha assunto un ruolo sempre più pregnante.

Basti pensare che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – proclamata a Nizza nel 2000 e successivamente adattata a Strasburgo il 13 dicembre 2007- all’art. 26 (intitolato “inserimento dei disabili”) stabilisce che: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”.

A questa Carta l’art. 6 del Trattato di Lisbona ha attributo il valore giuridico dei trattati, ma anche in precedenza ad essa è stato riconosciuto “carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti europei” (Corte costituzionale, sentenze n. 135 del 2002, n. 393 e n. 394 del 2006) avente, quindi, come tale valore di ausilio interpretativo (Corte cost. sentenze n, 349 del 2007, n. 251 del 2008).

Inoltre, per quanto attiene alla normativa internazionale, la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con L. 3 marzo 2009, n. 18, all’art. 27 statuisce che “gli Stati Parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità”.

Diritto – specifica la Convenzione in parola – che deve essere garantito, anche attraverso l’adozione di “appropriate iniziative” volte, fra l’altro, a favorire l’assunzione delle persone con disabilità nel settore pubblico ovvero il loro impiego nel settore privato.

Nè va dimenticato che a tale ultima Convenzione la Corte costituzionale, nella sentenza n. 80 del 2010, ha attribuito valore cogente nel nostro ordinamento.

3.- In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

Viceversa, le spese del giudizio di cassazione, per il criterio della soccombenza, vengono poste a carico del resistente e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna i ricorrenti – Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ufficio scolastico regionale per l’Emilia Romagna – al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 34,00 per esborsi, oltre a Euro tremila,00 (3000/00) per onorario unico difensivo, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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