Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17740 del 29/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2010, (ud. 26/05/2010, dep. 29/07/2010), n.17740

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati TRIOLO VINCENZO,

FABIANI GIUSEPPE, TADRIS PATRIZIA, giusta mandato in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, P.LE CLODIO 32,

presso lo studio dell’avvocato CIABATTINI SGOTTO LIDIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICA FANTINI,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 155/2007 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 06/06/2007 r.g.n. 179/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2010 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato CIABATTINI SGOTTO LIDIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Campobasso rigettava la domanda proposta da S. M. contro l’Inps, diretta a conseguire, a carico dell’apposito fondo di garanzia di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, il pagamento del t.f.r. maturato nel corso del rapporto di lavoro, conclusosi il (OMISSIS), che egli aveva intrattenuto alle dipendenze, da ultimo di C.G.. Il Tribunale riteneva che difettasse il presupposto dell’avvenuta sottoposizione del datore di lavoro a procedura concorsuale, nella specie mancata perchè, non avendo il lavoratore promosso entro l’anno dalla cessazione dell’attività dell’impresa la dichiarazione di fallimento, tale dichiarazione era stata esclusa appunto per il decorso di un anno dalla cessazione dell’attività.

A seguito di appello del lavoratore, la Corte d’appello di Campobasso riformava la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda e condannava l’Inps al pagamento della somma di Euro 10.913,42 a titolo di t.f.r., oltre accessori per il ritardo dalla cessazione del rapporto di lavoro. A giustificazione della decisione la Corte richiamava gli orientamenti giurisprudenziali secondo cui il termine di 12 mesi indicato dalla L. n. 297 del 1982, deve essere calcolato non dalla data di apertura della procedura concorsuale ma dalla data di proposizione delle domande volte all’apertura di detta procedura, oppure dalla data di proposizione dell’atto di iniziativa volto a far valere in giudizio il credito del lavoratore. Era decisivo quindi che nella specie il lavoratore avesse proposto entro l’anno la domanda per ingiunzione.

L’Inps ricorre per cassazione con un motivo. Il S. resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso dell’Inps, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, in sostanza ripropone la tesi interpretativa già recepita dal giudice di primo grado e lamenta l’inconferenza rispetto alla problematica rilevante nella specie degli orientamenti giurisprudenziali richiamati dal giudice di appello, riguardanti la diversa ipotesi della garanzia degli ultimi tre mesi di retribuzione. In particolare quindi doveva ritenersi non sufficiente ai fini dell’accoglimento della domanda la promozione da parte del lavoratore, in data di un pignoramento mobiliare con esito negativo in data 12.7.2002 a seguito di precetto del 24.5.2002, fondato su decreto ingiuntivo n. 62/2002.

2. Tale motivo non è fondato.

2.1. La Direttiva CE n. 987 del 1980 prevede l’intervento del Fondo di garanzia quando sia stata chiesta l’apertura di un procedimento volto a soddisfare collettivamente i creditori e quando l’autorità competente abbia deciso l’apertura di detto procedimento, ovvero abbia constatato la chiusura definitiva dell’impresa e l’insufficienza dell’attivo disponibile per giustificare l’apertura del procedimento (art. 2, paragr. 1). Già la direttiva quindi da rilevo ad ipotesi – seppure non perfettamente coincidenti con quelle previste dalla norma della legge fallimentare italiana che ha operato nella specie – di non apertura della procedura concorsuale dipendenti non dall’inesistenza dell’insolvenza ma da valutazioni legislative correlate alla mancanza di un’esigenza attuale di apertura della procedura stessa. Non è ravvisabile quindi una finalità della direttiva contraria alla valorizzazione da parte del diritto italiano di una situazione di insolvenza in cui l’apertura del fallimento sia preclusa dal decorso del tempo dalla cessazione dell’impresa.

Deve poi tenersi presente l’art. 2, paragr. 4, della citata direttiva, secondo cui “La presente direttiva non impedisce agli Stati membri di estendere la tutela dei lavoratori subordinati alle situazioni di insolvenza, come la cessazione di fatto dei pagamenti in forma permanente, stabilite mediante procedure diverse da quelle di cui al paragrafo 1 previste dal diritto nazionale”.

2.2. La L. n. 297 del 1982, all’art. 2, ha previsto il pagamento del t.f.r. da parte dell’INPS quando l’impresa sia assoggettata a fallimento, ovvero quando (comma 5) il datore di lavoro, non soggetto alla legge fallimentare, venga sottoposto senza esito ad esecuzione forzata.

2.3. Questa Corte ha recentemente ritenuto con le sentenze n. 7466 del 2007 e n. 1178 del 2009 che una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del Fondo di garanzia, quando l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. L’espressione “non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942” va quindi interpretata nel senso che l’azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive (ad esempio, piccolo imprenditore) vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo (ad esempio, trattandosi di ditta individuale cessata da oltre un anno); cioè, l’imprenditore “non più” assoggettabile a fallimento va considerato come imprenditore non soggetto alla legge fallimentare.

2.4. A tale interpretazione il Collegio intende dare continuità nei seguenti termini.

Si rileva, da un lato, che la stessa, come si è visto sub 2.1., non solo valorizza una situazione analoga ad una di quelle specificamente previste dalla direttiva, ma anche trova piena giustificazione nella facoltà data dalla direttiva ai legislatori nazionali di assicurare la tutela dei lavoratori anche in casi di insolvenza accertati con modalità e in sedi diverse da quelle tipiche delle procedure concorsuali.

Si osserva, poi, che la medesima interpretazione esclude quella situazione di non-copertura assicurativa che altrimenti si verificherebbe quando, come nella specie, il datore di lavoro è astrattamente assoggettabile a fallimento, ma il fallimento non può essere dichiarato per il decorso del tempo, mentre il lavoratore abbia intrapreso un’esecuzione forzata e questa non dia esito (cfr.

Cass. n. 11379 del 2008). Questo risultato è coerente con la finalità del Legislatore del 1982, che, mediante l’istituzione di un Fondo di garanzia affidato all’ente previdenziale pubblico, ha inteso compensare la peculiarità della disciplina del t.f.r. – in cui il sistema degli accantonamenti fa sì che gli importi spettanti al lavoratore vengano trattenuti e utilizzati dal datore di lavoro – con la previsione di una tutela certa del credito, realizzata attraverso modalità garantistiche e non soggetta alle limitazioni e difficoltà procedurali previste, invece, per la tutela delle ultime retribuzioni (ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1992).

2.5. Il principio da affermare, quindi, è che, ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del 1982, in favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, quest’ultimo, se è assoggettabile a fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito per avere cessato l’attività di impresa da oltre un anno, va considerato “non soggetto” a fallimento, e pertanto opera la disposizione dell’art. 2, comma 5, della predetta legge, secondo cui il lavoratore può conseguire le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’INPS alle condizioni previste dal comma stesso, essendo sufficiente, in particolare, che il lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione, salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrano che esistono altri beni aggreditali con l’azione esecutiva.

2.6. In base a tale principio, deve concludersi che la decisione impugnata ha correttamente riconosciuto il diritto del lavoratore di ottenere la tutela del Fondo di garanzia, essendosi accertato, in modo pacifico, che egli aveva dapprima ottenuto decreto ingiuntivo per il pagamento del t.f.r. e aveva poi vanamente proposto l’azione esecutiva, vedendosi quindi rigettare l’istanza di dichiarazione di fallimento per il decorso di un anno dalla cessazione dell’impresa, e aveva infine domandato l’intervento del Fondo dopo avere nuovamente promosso, senza esito, l’azione esecutiva individuale.

3. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. La difficoltà della questione e il consolidarsi recente del richiamato orientamento giurisprudenziale inducono a compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2010

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