Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17739 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 25/08/2020), n.17739

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1803/2016 R.G. proposto da:

ARIANNA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dagli Avv. Alberto Luppi, del foro di Brescia

e Guido Romanelli, del foro di Roma, con domicilio eletto in Roma,

presso lo studio del secondo difensore, via Pacuvio n. 34;

– ricorrente –

contro

CANTIERI ITALIANI s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Tommaso Marchese, del foro

di Pescara, con domicilio eletto in Roma presso lo studio del Dott.

Alfredo Placidi, via Cosseria n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Brescia n.

1114/2015 depositata il 2 novembre 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19 dicembre

2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con decreto ingiuntivo n. 8764/2008, notificato il 15.12.2008, ed emesso dal Tribunale di Brescia in favore della CANTIERI ITALIANI s.r.l., veniva ingiunto alla ROMEA s.r.l. il pagamento della somma di Euro 450.000,00 alla stessa corrisposta dall’intimante a titolo di caparra, in ragione del mancato avveramento della condizione sospensiva cui le parti avevano subordinato l’efficacia del contratto di compravendita immobiliare intervenuto tra le stesse società;

– avverso il decreto la società ingiunta proponeva opposizione, con atto notificato in data 8 febbraio 2009, nel quale ripercorreva le varie fasi della vicenda, precisando che l’originario contratto era stato sottoscritto il 1 marzo 2006 con la NOVALIS s.p.a., cui era subentrata come promissaria acquirente la società opposta, chiarendo di avere provveduto al recesso dall’accordo, pertanto spiegava domanda riconvenzionale chiedendo che fosse dichiarato legittimo il proprio recesso dal contratto, con il conseguente diritto a trattenere l’importo versato a titolo di caparra confirmatoria, o che, in subordine, il contratto fosse dichiarato risolto per inutile decorso del tempo assegnato con la diffida ad adempiere notificata, oltre al risarcimento del danno; in via di ulteriore subordine, chiedeva che il contratto fosse dichiarato risolto per inadempimento della società intimante;

– instaurato il contraddittorio, nella resistenza della società opposta, il giudice adito, con sentenza n. 3010 del 2010 del 05.10.2010, in accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e in accoglimento della riconvenzionale, dichiarava legittimo il recesso esercitato dalla ROMEA, nonchè il suo diritto a trattenere la somma corrisposta a titolo di caparra;

– in virtù di rituale appello interposto dalla CANTIERI ITALIANI, la Corte di appello di Brescia, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 1114/2015, in “parziale” riforma della decisione del giudice di prime cure, accertava il mancato avveramento della condizione sospensiva di cui all’art. 4 del contratto preliminare sottoscritto in data 1.3.2006 e condannava la ROMEA alla restituzione della somma ricevuta a titolo di caparra di Euro 450.000,000, oltre ad interessi e alle spese processuali.

A sostegno della decisione la Corte distrettuale evidenziava che, anche alla luce della normativa regionale, la sottoscrizione della Convenzione con il Comune di Voghera non poteva che intervenire a decorrere dal 3 settembre 2008 e la DIA non avrebbe potuto che essere presentata (o comunque presa in esame) solo dopo tale data e l’effetto autorizzatorio manifestato una volta decorsi trenta giorni dal 04.09.2008, con la conseguenza che in ogni caso non sarebbe stato possibile ottenere entro il 30 settembre 2008 il realizzarsi dell’evento dedotto in contratto, ininfluenti, al riguardo, le condotte tenute dalle parti dopo la scadenza della data prevista nella pattuizione per l’efficacia dell’accordo per l’impossibilità del verificarsi della condizione. Aggiungeva che comunque la interpretazione delle clausole contrattuali di cui agli artt. 6 e 7 del preliminare, relative alla ripartizione degli oneri e dei costi fra i contraenti, fornita dalla promissaria acquirente non poteva essere considerata sic et simpliciter contraria a buona fede;

– per la cassazione del provvedimento della Corte di appello di Brescia ricorre la ARIANNA s.r.l., società nella quale si è fusa la ROMEA per incorporazione, sulla base di tre motivi, illustrati anche da memoria, cui ha resistito la CANTIERI ITALIANI con controricorso;

– in prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato il deposito di memoria illustrativa.

Atteso che:

– va pregiudizialmente affermata l’ammissibilità del ricorso.

Nel ricorso per cassazione viene regolarmente indicato tanto l’atto di fusione a rogito notaio S. di Brescia del 14.10.2013, quanto la procura speciale ad litem rilasciata dal legale rappresentante della Arianna s.r.l., V.G., agli avv. Alberto Luppi del Foro di Brescia e Guido Romanelli del Foro di Roma.

La controricorrente Cantieri Italiani s.r.l. ha, del resto, in termini generici e del tutto apodittici dedotto l’inammissibilità del ricorso.

Non ha viceversa contestato l’esistenza dell’atto di fusione, del tutto omettendo di fornire elementi decisivi a sostegno della sollevata eccezione, per cui stante la formulazione a tale stregua non specifica della censura (cfr. Cass. 17 luglio 2013 n. 17470), in difetto della stessa descrizione del fatto processuale, essa si risolve invero in una prospettazione meramente ipotetica del vizio di invalidità della costituzione in giudizio della società ricorrente (cfr., in termini, Cass., 13 dicembre 2016 n. 25487).

Trova pertanto nel caso applicazione il principio in base al quale il successore a titolo particolare nel diritto controverso è legittimato ad impugnare la sentenza resa nei confronti del proprio dante causa (cfr. Cass. 17 marzo 2009 n. 6444) allegando il titolo che gli consente di sostituire quest’ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell’intestazione dell’impugnazione qualora il titolo sia di natura pubblica (di contenuto quindi accertabile), e sia rimasto del tutto o come nella specie non idoneamente contestato;

venendo al merito, con il primo motivo la società ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: ossia la considerazione della condotta inerte di Cantieri Italiani in data anteriore al settembre 2008 in relazione all’attività funzionale alla sottoscrizione della Convenzione. Ad avviso della ricorrente la corte territoriale avrebbe mancato di considerare che ancora in data 14.05.2008 la Romea aveva comunicato alla promissaria acquirente, oltre alla intervenuta adozione del P.U.A. con Delib. Giunta Comunale 29 aprile 2008, n. 77, tutti gli adempimenti che incombevano sulla stessa in base a quanto previsto dalla convenzione stessa (fideiussioni assicurative, versamento di monetizzazioni e oneri di urbanizzazione primaria).

Con la seconda doglianza la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte distrettuale asserito che l’interpretazione delle clausole 6 e 7 del preliminare non potesse in quanto tale considerarsi contraria a buona fede ed espressiva della volontà di impedire il verificarsi della condizione sospensiva, ma siffatta interpretazione era da ritenere contraria al canone ermeneutico letterale.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1358 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, quale errata applicazione del principio di buona fede. Premesso che si tratta di vizio connesso al denunciato vizio di omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla condotta inerte e del silenzio serbato da Cantieri Italiani a fronte della missiva del 14.05.2008, chiarisce che il comportamento inerte della promissaria acquirente era stato totalmente negletto con riferimento alla norma invocata.

Le tre censure – da trattare unitariamente perchè attengono ciascuna ad una delle due ratio che sostengono il convincimento del giudice – sono prive di pregio.

Premesso che la clausola contenuta nell’art. 6 del preliminare detta la regola generale che doveva presiedere alla regolamentazione degli oneri di urbanizzazione, mentre il successivo art. 7 dispone che gli eventuali oneri sostenuti per il perfezionamento dell’iter amministrativo, in ipotesi anticipati dalla promittente la vendita, avrebbe dovuto essere alla stessa rimborsati, la Corte di appello ha ritenuto che la condizione relativa al perfezionamento della procedura amministrativa nei termini concordati dalle parti non permetteva di affermare con sicurezza che era obbligo della Cantieri Italiani provvedere a fornire alla Romea, “soggetto attuatore dell’intervento e referente diretto con l’Amministrazione”, le risorse necessarie per fare fronte agli oneri medesimi. Da ciò il giudice del gravame ha tratto il convincimento che l’adempimento della pratica amministrativa bene poteva essere curata da entrambe le parti contraenti al fine di consentire l’avveramento della condizione, non previsto espressamente dall’art. 6 il soggetto obbligato. Ha, inoltre, aggiunto che il successivo art. 7, avvalorava siffatta presunzione conseguente al decorso del tempo, sebbene avesse efficacia meramente integrativa, disciplinando la ripartizione e l’eventuale rimborso dei costi da sopportarsi da ciascuna delle parti. In caso contrario la clausola resterebbe priva di effetti. Richiama, infine, il principio di autoresponsabilità dei contraenti a norma dell’art. 2 Cost., secondo cui i criteri della buona fede e della correttezza – come previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c. – costituiscono ormai parte del tessuto connettivo dell’ordinamento giuridico, l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza – infatti – costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale – la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica, proprio per il suo rapporto sinergico con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce forza normativa e ricchezza di contenuti – applicabile, sia in ambito contrattuale, sia in quello extracontrattuale (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15 febbraio 2007 n. 3462). In questa prospettiva, si è giunti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (v. Cass., Sez. Un., 15 novembre 2007 n. 23726 ed i richiami ivi contenuti).

Orbene, assunta la conformità di tale interpretazione, la Corte di appello non poteva che disattendere la rilevanza delle condotte oggetto della prima censura (comunicazione inviato alla promissaria acquirente in data 14.05.2008, anche quanto alla intervenuta adozione del P.U.A. da parte della giunta comunale, rappresentazione di tutti gli adempimenti conseguenti), poichè i termini di cui all’art. 7 delle clausole contrattuali stanno a significare che l’insolvenza o comunque il mancato assolvimento degli adempimenti ivi previsti dava in ogni caso diritto al rimborso dei costi esborsati per dette voci in favore della promittente venditrice.

Hanno quindi efficacia integrativa delle precedenti disposizioni, restando irrilevante il fatto che si siano nel frattempo verificate altre fattispecie di insolvenza. Essenziale è solo che la condotta di entrambe le parti fosse indirizzata al perfezionamento del procedimento amministrativo necessario per garantire la realizzabilità delle opere di urbanizzazione, come convenuto con il contratto preliminare.

Rimane superata alla luce delle considerazioni sopra svolte anche la questione dell’imputabilità del mancato avveramento della condizione contestato con il terzo mezzo, essendo comunque la parte che ne reclami l’applicazione dimostrare di avere adempiuto ai doveri nascenti dall’art. 1358 c.c..

Conclusivamente, il ricorso va respinto, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, sempre a carico della parte ricorrente, soccombente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore della controricorrente in complessivi Euro 8.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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