Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17738 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/08/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 29/08/2011), n.17738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18086/2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

lo studio dell’avvocato URSINO Anna Maria, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.I., rappresentato e difeso dagli avvocati MONDIN Claudio,

CAMPESAN ALDO, domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte

Suprema di Cassazione, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

B.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 456/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 08/06/2005, R.G.N. 558/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 456/05, depositata il 23 maggio 2005, decidendo sul ricorso proposto da Poste Italiane spa nei confronti di C.I. e B.A., in ordine alla sentenza del Tribunale di Belluno n. 136/2002, rigettava l’appello.

2. Il Tribunale di Belluno era stato adito dal C. e dal B., con distinti ricorsi, poi decisi, previa riunione, con un’unica sentenza.

Gli stessi già dipendenti di Poste Italiane spa, entrambi cessati dal rapporto per dimissioni, rassegnate, il primo, il 31 dicembre 1999, ed il secondo, in data 1 aprile 2000, premettendo:

A) di non aver lavorato nelle giornate:

1 maggio 1994;

25 dicembre 1994;

8 dicembre 1996;

1 novembre 1998;

15 agosto 1999;

26 dicembre 1999;

giornate, tutte, coincise con la domenica;

B) di aver diritto alla normale retribuzione globale di fatto giornaliera e ad ulteriore retribuzione pari al 100 per cento di 1/26 della retribuzione mensile ai sensi dell’art. 16 del CCNL di categoria del 26 novembre 1994 e della L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 5 e della L. 31 marzo 1954, n. 90, artt. 2, 3, oltre che dell’accordo interconfederale del 3 dicembre 1954 e degli artt. 1175, 1344 e 1375 c.c.;

C) che la società datrice di lavoro aveva comunicato al personale in servizio, con circolare n. 11 del 2000, la determinazione di pagare con la retribuzione del mese di maggio 2000, in misura pari a due giornate di retribuzione al valore attuale, la mancata avvenuta fruizione delle festività, civili e religiose, del periodo 1 maggio 1994 – 25 aprile 1999;

D) che non era stata corrisposta loro alcuna somma.

Tanto premesso, chiedevano l’accertamento del proprio diritto alla corresponsione dell’ulteriore maggiore retribuzione, non corrisposta per le festività cadenti di domenica, nella misura di L. 87.257 per giornata, oltre interessi e rivalutazione.

3. Il Tribunale di Belluno accoglieva la domanda riconoscendo la maggiorazione per tutte le giornate, tranne che per il 1 maggio 1994, attesa la prescrizione del credito, tempestivamente eccepita. Per entrambi, l’accertamento era nella misura capitale di Euro 225,32, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo.

Ad avviso del giudice di primo grado, in particolare, il diritto andava riconosciuto sia per le festività di cui allla L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 1 – per effetto della L. n. 90 del 1954 – sia per le festività indicate dall’art. 2 della medesima L. n. 260 del 1949, in ragione del D.P.R. n. 1029 del 1960, art. 1, che rendeva efficaci erga omnes le disposizioni dell’Accordo interconfederale del 3 settembre 1954.

4. Per la cassazione della suddetta sentenza della Corte d’Appello di Venezia ricorre Poste Italiane spa, prospettando 9 motivi di ricorso.

5. Resiste con controricorso il C., che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

4. Non si è costituito il B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente espone, i primi quattro motivi di ricorso, con i soli riferimenti normativi, come segue, effettuando, quindi una trattazione congiunta degli stessi.

l)Violazione e falsa applicazione della L. n. 260 del 1949, art. 5, come mod. dalla L. n. 90 del 1954, in riferimento della L. n. 93 del 1983, artt. 11 e 29;

2) Violazione e falsa applicazione della L. n. 260 del 1949, art. 5, come mod. dalla L. n. 90 del 1954, in riferimento all’art. 3 Cost.;

3) Violazione e falsa applicazione della L. n. 260 del 1949, art. 5, come mod. dalla L. n. 90 del 1954, in riferimento alla L. n. 119 del 1958.

4) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dal ricorrente.

1.1.Prospetta la società Poste Italiane che:

non sono applicabili al personale della ex amministrazione P.T. le disposizioni della L. n. 260 del 1949 e L. n. 90 del 1954;

nell’ambito del pubblico impiego non è ammessa l’estensione di istituti non espressamente previsti;

la disciplina ex lege n. 260 del 1949 e succ. modifiche, sulle ricorrenze festive, riguarda i lavoratori non retribuiti in misura fissa;

la L. n. 93 del 1983 ha rimesso agli accordi sindacali ogni statuizione sul trattamento economico del personale;

l’Amministrazione Poste ha sempre trovato una propria disciplina normativa specifica sia per il proprio ordinamento che per il personale;

la disciplina di cui alla L. n 260 del 1949, art. 5, commi 1 e 2 intendeva non creare disparità di trattamento tra lavoratori retribuiti a misura fissa e lavoratori retribuiti a ore o a cottimo;

quindi, nessuna maggiorazione compete ai dipendenti dell’ex Amministrazione P.T., ora Poste Italiane spa, in quanto gli stessi percepiscono uno stipendio annuo lordo e fìsso ripartito in dodici mensilità (oltre 13^ e 14^) prescindendosi dal numero di giorni che formano i mesi dell’anno.

Nè può ritenersi che il compenso aggiuntivo in questione competa in tutte le ipotesi in cui le festività cadono nella giornata di domenica, ciò anche in ragione della giurisprudenza di legittimità.

2. Con il settimo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2195 c.c., in riferimento all’Accordo interconfederale 3 dicembre 1954, recepito dalla L. n. 741 del 1959 (recte: secondo quanto previsto dalla L. n. 741 del 1959, dal D.P.R. 1029 del 1960).

Deduce Poste Italiane spa che il suddetto Accordo interconfederale si applica solo agli impiegati ed agli altri lavoratori, retribuiti in misura fissa, dipendenti dalle imprese industriali, precedentemente esclusi, e quindi non si applica al rapporto dei dipendenti di Poste Italiane spa.

3. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

4. Il relativo thema decidendum investe, in particolare, l’ambito e le modalità di attribuzione dell’aliquota giornaliera dovuta, oltre alla normale retribuzione globale, ai lavoratori a retribuzione fissa per le festività coincidenti con la domenica, nelle quali non è stata prestata attività lavorativa, di cui al comma 1 (e comma 3) dell’art. 5, e all’art. 2, della L. n. 260 del 1949, come richiamato dalla L. n. 90 del 1954, art. 3, in relazione all’Accodo interconfederale del 3 dicembre 1954.

4.1. in ragione delle diverse fonti di disciplina, nonchè della giurisprudenza già formatasi in materia nel tempo, è opportuno, in via preliminare, procedere ad una breve ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.

La L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 1, primo periodo (come mod.

dalla L. n. 90 del 1954), prevede che “nelle ricorrenze della festa nazionale (2 giugno), dell’anniversario della liberazione (25 aprile), della festa del lavoro (1 maggio) e nei giorno dell’unità nazionale (4 novembre), lo Stato, gli Enti pubblici ed i privati datori di lavoro sono tenuti a corrispondere ai lavoratori da essi dipendenti i quali siano retribuiti non in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro da essi compiute, la normale retribuzione globale di fatto giornaliera compreso ogni elemento accessorio”.

Ai sensi del successivo comma 3, “ai salariati retribuiti in misura fìssa, che prestino la loro opera nelle suindicate festività, è dovuta, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, la retribuzione per le ore di lavoro effettivamente prestate, con la maggiorazione per il lavoro festivo. Qualora la festività ricorra nel giorno di domenica, spetterà ai lavoratori stessi, oltre la normale retribuzione globale di fatto giornaliera, compreso ogni elemento accessorio, anche una ulteriore retribuzione corrispondente all’aliquota giornaliera”. Tale ultimo periodo, costituisce una delle disposizioni, della cui interpretazione il ricorrente si duole.

La L. n. 90 del 1954, art. 3, ha previsto che le disposizioni della L. n. 260 del 1949, art. 5 cit., “si estendono a tutte le ricorrenze festive previste dall’art. 2 della cit. legge, escluse le domeniche ed i periodi di sospensione del lavoro in atto da oltre due settimane, limitatamente ai lavoratori dipendenti da privati datori di lavoro, i quali siano retribuiti non in misura fissa, ma in relazione alle ore di lavoro da essi compiute”. L’applicabilità di tale previsione anche ai lavoratori a retribuzione fissa di Poste, come si è detto, costituisce oggetto dei suddetti motivi di ricorso.

La L. n. 260 del 1949, art. 2 cit., a sua volta, stabilisce che “sono considerati giorni festivi, agli effetti della osservanza del completo orario festivo e del divieto di compiere determinati atti giuridici, oltre al giorno della festa nazionale” (si consideri, in proposito, che la L. n. 54 del 1977, art. 1, ha disposto che la celebrazione della festa nazionale della Repubblica abbia luogo la prima domenica di giugno; successivamente la L. n. 336 del 2000, art. 1, ha disposto che, a decorrere dal 2001, la celebrazione della festa nazionale della Repubblica abbia nuovamente luogo il 2 giugno di ciascun anno), i giorni seguenti:

tutte le domeniche;

il primo giorno dell’anno;

il giorno dell’Epifania (festività soppressa dalla L. n. 54 del 1977, art. 1, e ripristinata ai sensi del D.P.R. n. 792 del 1985, art. 1);

il giorno della festa di San Giuseppe (festività soppressa dalla L. n. 54 del 1977, art. 1);

il 25 aprile, anniversario della liberazione;

il giorno di lunedì dopo Pasqua;

il giorno dell’Ascensione (festività soppressa dalla L. n. 54 del 1977, art. 1);

il giorno del Corpus Domini (festività soppressa dalla L. n. 54 del 1977, art. 1);

il 1 maggio: festa del lavoro;

il giorno della festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (festività soppressa dalla L. n. 54 del 1977, art. 1, e ripristinata, solo per il comune di Roma – quale festa del Santo Patrono), ai sensi del D.P.R. n. 792 del 1985, art. 1;

il giorno dell’Assunzione della B. V. Maria;

il giorno di Ognissanti;

il 4 novembre: giorno dell’unità nazionale (L. n. 54 del 1977, art. 1, ha disposto che la celebrazione della festa dell’unità nazionale abbia luogo la prima domenica di novembre e, pertanto, il 4 novembre cessa di essere considerato festivo);

il giorno della festa dell’Immacolata Concezione;

il giorno di Natale;

il giorno 26 dicembre.

Rileva, altresì, in materia, per i lavoratori retribuiti in maniera fissa, dipendenti delle imprese industriali, il D.P.R. n. 1029 del 1960 (che recepisce l’Accordo interconfederale del 3 dicembre 1954 per il trattamento degli impiegati e degli altri lavoratori retribuiti in misura fissa nelle ricorrenze festive che cadono di domenica) che all’art. 1, comma 1, ha stabilito “qualora una delle ricorrenze nazionali, oppure una delle altre festività elencate nella L. 27 maggio 1949, n. 260, art. 2, cadano di domenica, agli impiegati ed ai lavoratori retribuiti in misura fissa è dovuto, in aggiunta al normale trattamento economico, un importo pari ad una quota giornaliera della retribuzione di fatto”.

4.2. Tanto premesso, è d’interesse chiarire le ragioni della previsione della retributiva aggiuntiva di cui si controverte.

A tal fine è significativo quanto statuito dal Giudice delle Leggi (sentenza n. 16 del 1987), con riguardo al lavoro prestato nella domenica e al relativo diritto ad una maggiorazione del salario, nell’affermare che “il riposo settimanale, inoltre, va inteso non solo come diretto alla preservazione ed al recupero delle energie psico-fisiche ma anche come possibilità del lavoratore di dedicarsi e di partecipare adeguatamente alla vita familiare, alla vita sociale e di relazione fruendo dei relativi benefici ed adempiendo ai relativi doveri (art. 2 Cost., art. 3 Cost., comma 2, artt. 31 e 35 Cost.), con riferimento al giorno della domenica indicato e ritenuto comunemente e generalmente giorno di riposo per tutti coloro che lavorano”.

La Corte costituzionale, ha affermato inoltre, che “pur essendo apprezzabili le ragioni che, per esigenze pubbliche e sociali, richiedono che il lavoro si svolga anche la domenica per alcune attività e per alcuni lavoratori che in esse prestano la loro opera, non si può escludere la caratterizzazione di maggior peno sita che assume il lavoro prestato nella domenica sicchè esso, in definitiva, viene ad avere una diversa qualità rispetto a quello svolto nei giorni feriali. Onde il diritto del lavoratore (art. 36 Cost.) ad una maggiorazione del salario”.

4.3.In linea con tali principi, questa Corte, ha affermato, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 11117 del 1995 (seguita dalla giurisprudenza successiva, da ultimo, Cass. sentenza n. 30 del 2011, ma, in precedenza, si possono richiamare le sentenze n. 17764 del 2004, n. 10309 del 2002, n. 6747 del 2002, 4998 del 2002, n. 3164 del 2002), con un orientamento confermato nel tempo, al quale il Collegio aderisce, che il compenso aggiuntivo previsto dalla L. n. 260 del 1949, art. 5, comma 3, ultima parte, come mod. dalla L. n. 90 del 1954, è dovuto per la coincidenza di festività nazionali cadenti di domenica non lavorate e spetta al lavoratori retribuito in misura fissa – senza distinzioni nell’ambito delle categorie previste dall’art. 2095 c.c. – e trova giustificazione nel fatto che ove le suddette festività non coincidessero con la domenica, il dipendente fruirebbe di un giorno in più di riposo e la misura fissa della sua retribuzione lo priverebbe, in mancanza di siffatta previsione normativa, di un corrispondente compenso.

Detto indirizzo giurisprudenziale di legittimità, è stato ritenuto costituire diritto vivente dalla Corte costituzionale.

Quest’ultima, infatti, chiamata a vagliare la legittimità costituzionale della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 224, con la sentenza n. 146 del 2008 – nel rigettare un’eccezione di inammissibilità prospettata della difesa statale – ha affermato, per quanto d’interesse nella fattispecie in esame, che l’interpretazione del citato art. 5, terzo comma, del Giudice di legittimità, che ritiene debba essere corrisposta un’aliquota giornaliera aggiuntiva a tutti i lavoratori salariati in misura fissa per il solo fatto che la festività coincida con la domenica, in quanto la finalità del legislatore è quella di compensare il lavoratore della giornata di riposo persa, costituisce un orientamento che è “adottato stabilmente dalla Corte di cassazione da più di un decennio e può dirsi costituire diritto vivente”.

4.4. Ritiene il Collegio che la Corte d’Appello, con la sentenza impugnata, ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, sopra richiamati, con motivazione congrua, logica ed esente da vizi, laddove ha riconosciuto, il diritto all’emolumento per le festività cadenti di domenica, non lavorate, secondo la previsione del citato art. 5, comma 3, ultima parte, a favore dei lavoratori retribuiti in misura fissa.

4.5. Quanto all’applicabilità al caso in esame del combinato disposto di cui alla L. n. 90 del 1954, art. 3 e della L. n. 260 del 1949, art. 2, ritiene la Corte che sia giuridicamente corretta la tesi della sentenza impugnata, secondo la quale il diritto dei lavoratori trova fondamento nel disposto del D.P.R. 1029 del 1960, che ha recepito le clausole dell’accordo interconfederale 3 dicembre 1954 – che obbligano a riconoscere anche ai lavoratori retribuiti in misura fissa, in aggiunta al normale trattamento economico, un importo “pari a una quota giornaliera della retribuzione” per l’eventualità che una qualsiasi delle festività (civili e religiose) considerate dalla L. n. 260 del 1949, e successive modifiche, venga a cadere di domenica – estendendone espressamente le previsioni a tutti i lavoratori dipendenti da imprese industriali (ed. efficacia erga omnes), tra le quali va ricompresa l’Amministrazione Poste, secondo quanto già affermato da questa Corte con indirizzo giurisprudenziale che si condivide (Cass. n. 21616 del 2007, n. 17938 del 2006).

Per effetto del D.L. n. 487 del 1993 art. 1, convertito nella L. n. 71 del 1994, come modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 2, comma 27, l’Azienda autonoma delle Poste è stata trasformata da amministrazione statale in ente pubblico economico e, successivamente (con effetto dal 1 gennaio 1998) in società per azioni, conseguendone la trasformazione della natura giuridica dei rapporti di lavoro da pubblici a privati, mentre l’obbligo del nuovo ente, previsto dal citato d.L, art. 6, comma 6, di applicare ai dipendenti la pregressa disciplina non solo economica, ma anche normativa, già vigente per il rapporto di impiego statale, è venuto meno con la stipulazione del primo contratto collettivo in data 26 novembre 1994 (vedi citata Cass. n. 21616 del 2007, n. 4974 del 2006, n. 4735 del 2005, n. 18715 del 2003). Ne consegue che si applicano ai dipendenti postali le disposizioni vigenti per il rapporto di lavoro dei dipendenti gli enti pubblici economici e, tra esse (ex artt. 2093 e 2129 c.c), le disposizioni inderogabili che disciplinano la materia del trattamento economico e normativo dei dipendenti delle imprese private.

A queste ultime occorre, dunque, avere riguardo, posto che la pretesa dei lavoratori ha ad oggetto una festività caduta nel corso del rapporto di lavoro con l'(allora) ente Poste italiane e successiva alla data di stipulazione del primo contratto collettivo.

Come già osservato da questa Corte in numerose conformi decisioni, l’attività di impresa esercitata dagli enti pubblici economici va ricondotta alle categorie indicate nell’art. 2195 c.c., il cui comma 1, secondo la propria consolidata giurisprudenza, non ha alcun carattere definitorio, ma sostanzialmente esaurisce, ai numeri 1 e 2, l’ambito della nozione di imprenditore (di cui all’art. 2082 c.c.) mediante la previsione delle imprese industriali e, rispettivamente, di quelle commerciali in senso stretto; sicchè le successive previsioni, contenute nei numeri 3, 4 e 5 dello stesso comma 1, costituiscono mere specificazioni – motivate dalla importanza dei rispettivi settori economici – delle categorie generali delineate nei primi due punti (fra tante, Cass. n. 17938 del 2006, n. 4421 del 1995).

Ne consegue che, ai fini di stabilire se sia o meno applicabile ai dipendenti dell’ente Poste l’Accordo interconfederale del 1954, recepito nel D.P.R. n. 1029 del 1960, la natura dell’attività economica da esso esercitata deve definirsi sulla base dei criteri fissati dal citato art. 2195 c.c.; criteri che inducono a ritenerne il carattere industriale – derivandone la soggezione dei rapporti di lavoro all’accordo in questione – in quanto consistente nella realizzazione di servizi finalizzati alla costituzione di una nuova utilità (si v. vedi, con specifico riferimento all’Ente Poste, citata Cass. n. 17938 del 2006, Cass. n. 735 del 2006, n. 1727 del 2006, nonchè, in generale, Cass. n. 12373 del 2003, n. 6313 del 2001).

5. I motivi di ricorso 5, 6, 8 e 9, sono dedotti come segue. Gli stessi costituiscono oggetto di trattazione congiunta.

5)Violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 2, 6)Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in riferimento all’Accordo tra le OO.SS. e Poste Italiane, sulle festività, del 19 dicembre 2000;

8) Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dal ricorrente.

9)Violazione e falsa applicazione dell’art. 1427 c.c., e segg..

Espone parte ricorrente che il C. ed il B. cessavano dal rapporto di lavoro per risoluzione consensuale e nel relativo atto Poste Italiane riconosceva un ulteriore emolumento quale incentivazione all’esodo, ricomprensiva di ogni e pur non contestato diritto comunque discendente dall’intercorso rapporto di lavoro e dalla relativa risoluzione e , quindi, anche di quanto dovuto a titolo di festività coincidenti con la domenica.

Nè, sarebbe ciò determinerebbe una violazione dell’art. 2113 c.c., dal momento che quanto richiesto, anche per la funzione indennitaria, non può ritenersi indisponibile e inderogabile.

In ogni caso, deduce Poste, erroneamente il giudice di appello avrebbe ritenuto la lettera raccomandata inviata dai controricorrenti alla medesima, come impugnativa rilevante ai sensi dell’art. 2113 c.c., osservandosi che l’impugnazione sarebbe dovuta avvenire attraverso le azioni previste per l’ annullamento dei contratti.

Inoltre era intervenuto, nelle more del giudizio, l’accordo tra Poste e le OO.SS. del 19 dicembre 2000, di cui alla circolare n. 45/2000 del 27 dicembre 2000 di Poste Italiane, con il quale venivano individuate convenzionalmente le festività religiose che erano cadute di domenica rispetto alle quali riconoscere la retribuzione in questione, stabilendone la liquidazione in favore del personale a tempo indeterminato, in servizio presso la società alla data del 19 dicembre 2000.

6. I suddetti motivi devono essere trattati insieme in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

Come queste Corte ha più volte affermato (“ex multis” Cass., n. 11536 del 2006, n. 9407 del 2001), la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme, riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l’onere di impugnare nel termine di cui all’art. 2113 c.c., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili “aliunde”, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi.

La decisione impugnata ha ritenuto, facendo applicazione del suddetto principio, con motivazione congrua e logica, che, pertanto, si sottrae al denunciato vizio di motivazione, che gli accordi intercorsi tra la società e i lavoratori, si sostanziavano in negozi risolutivi del rapporto con profili di rinuncia o di transazione “esclusivamente” quanto all’indennità di ferie maturate e non godute, espressamente in essi richiamata, e non anche con riguardo all’emolumento in questione stante la genericità della dichiarazione abdicativa in essi contenuta.

Quest’ultima, pertanto, era inidonea a comprovare una volontà dispositiva dei lavoratori e la consapevolezza degli stessi in ordine all’esistenza di determinati diritti in materia di festività con l’intento di abdicare ad essi o di transigere. In ragione della correttezza e congruità del suddetto assunto della Corte d’Appello, è assorbita la doglianza circa la tempestività e la correttezza formale dell’impugnazione dell’atto avente contenuto di quietanza.

Infine, in ragione dei principi sopra enunciati, inconferente si rileva il riferimento all’accordo tra Poste e le OO.SS., del 19 dicembre 2000, di cui alla circolare n. 45/2000 del 27 dicembre 2000 di Poste Italiane, in quanto lo stesso è intervenuto successivamente all’instaurazione del contenzioso in esame e, se da un lato lo stesso trova applicazione per i lavoratori in servizio alla data della sua sottoscrizione (artt. 2 e 4), dall’altro non può incidere sui diritti azionati dagli altri lavoratori, collocati a riposo prima.

7.Pertanto il ricorso deve essere rigettato.

8.Le spese seguono la soccombenza, con distrazione a favore dei difensori antistatari, e sono liquidate come in dispositivo.

Nulla spese per B. non costituitosi in giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nei confronti di C.I., con distrazione a favore dei difensori antistatari, che liquida in Euro 50,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A.. Nulla spese per B.A..

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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