Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17736 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 25/08/2020), n.17736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1376/2016 proposto da:

R.D., D.M.L., S.L. e

S.P.F., il primo rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURO

GUALTIERI, e gli altri dall’avvocato CATIA GERBONI, ed elettivamente

domiciliati a Roma, via Giuseppe Ferrari 11, presso lo studio

dell’Avvocato MASSIMO VALENZA, per procura speciale in calce al

ricorso e dichiarazione d’elezione di domicilio del 23/2/2016;

– ricorrenti –

contro

B.G., D.A. e D.O., rappresentati

e difesi dall’Avvocato GIANMATTEO DI FRONZO, ed elettivamente

domiciliati a Roma, Corso Trieste 199, presso lo studio

dell’Avvocato FRANCESCO FALZETTI, per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1097/2015 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA,

depositata il 11/6/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il tribunale di Rimini, con sentenza del 2010, ha dichiarato l’intervenuto acquisto per usucapione, in favore di R.D. e di S.E., della comproprietà dell’appartamento con garage sito nel fabbricato di (OMISSIS), distinto nel N. C.E.U. al f. (OMISSIS), mapp. (OMISSIS).

B.G., D.A. ed D.O. hanno proposto appello.

R.D. e gli eredi di S.E., deceduto il (OMISSIS) e cioè D.M.L., S.L. e S.P.F., hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto, ed hanno proposto, condizionatamente all’accoglimento dell’appello principale, le domande subordinate già svolte in primo grado, qualificate come appello incidentale.

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello proposto da B.G., D.A. ed D.O. ed ha rigettato le domande proposte nei confronti degli stessi da S.E. e R.D..

La corte, in particolare, ha ritenuto fondato il primo motivo d’appello, con il quale gli appellanti avevano lamentato l’errata interpretazione ed applicazione dell’art. 1140 c.c. e l’errata valutazione delle prove in ordine alla sussistenza del possesso ad usucapionem.

La corte, al riguardo, dopo aver evidenziato che ai fini della configurabilità del possesso ad usucapionem è necessaria la sussistenza di un possesso continuo e non interrotto, inteso inequivocamente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario, manifestato con il compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione del bene e tali da rivelare sullo stesso, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria, in corrispondenza dell’inerzia del titolare, ha ritenuto che, nella specie, dalle prove assunte risultano mancanti tanto il requisito dell’indiscussa, inequivoca e piena signoria sull’appartamento, quanto il requisito dell’inerzia del titolare: quanto a quest’ultimo profilo, in particolare, la corte ha evidenziato che escludono l’inerzia del titolare, ancorchè formale, del diritto dominicale sull’immobile: – l’intestazione dei contratti di locazione al D.; – il continuo pagamento degli oneri connessi alla titolarità della proprietà dell’immobile in oggetti; il fatto che lo stesso D. aveva ripetutamente chiesto la “regolarizzazione” della situazione; quanto al primo profilo, la corte ha rilevato che escludono la piena ed indiscussa signoria sull’immobile: – il fatto che gli appellati riconoscessero, tramite rimesse periodiche, le somme “anticipate” dal D. per il rimborso delle spese sostenute; – il fatto che gli appellati deducano di non aver potuto procedere alla regolarizzazione dell’intestazione per l’intervenuto decesso del D.. E ciò, ha aggiunto la corte, a prescindere dalla contraddizione che sussiste nell’affermare, da un lato, l’usucapione in via principale, la cui maturazione implica il riconoscimento dell’alterità della cosa oggetto di possesso, e, dall’altro lato, la simulazione, che implica, invece, che il bene non è mai entrato nel patrimonio del D., essendo da sempre in quello degli appellati.

La corte, quindi, ha provveduto ad esaminare le domande proposte, in via gradata, come appello incidentale.

Al riguardo, esclusa la necessità di integrare il contraddittorio con l’alienante, la corte, innanzitutto, ha ritenuto che l’azione di simulazione relativa fosse infondata: la prova dell’accordo simulatorio, infatti, dev’essere scritta e non sono, quindi, sufficienti gli elementi testimoniali dedotti nè è praticabile la prova presuntiva. Del resto, la configurabilità di una simulazione relativa sotto il profilo soggettivo richiede che l’accordo sia intervenuto non solo tra l’interponente e l’interposto ma anche con il terzo, il quale deve esprimere la propria adesione nella forma scritta. Ma tale prova, ha osservato la corte, non risulta agli atti. La corte, inoltre, ha ritenuto l’infondatezza della domanda di accertamento dell’interposizione reale e della domanda conseguente di

esecuzione dell’accordo fiduciario: premesso che l’interposizione reale di persona, sub specie di negozio fiduciario, ha per oggetto l’obbligo di restituzione del bene in proprietà al fiduciario, quando si realizzano le condizioni previste dalle parti, ovvero, in difetto di una specifica previsione, a semplice richiesta del fiduciante o, com’è avvenuto nel caso di specie, del fiduciario, la corte ha ritenuto che non v’è agli atti alcun documento che preveda l’obbligo del D. di trasferimento dell’appartamento per cui, ha concluso, pur essendo astrattamente credibile la sussunzione dei rapporti tra le parti nello schema dell’intestazione fiduciaria, il relativo contratto deve essere considerato nullo per difetto di forma ed, a fortiori, non provato nei modi previsti dall’art. 2725 c.c., comma 2.

La corte, quindi, rigettata la domanda di risarcimento dei danni conseguenti al preteso inadempimento degli appellanti all’obbligo assunto dal loro dante causa di trasferire a titolo gratuito l’appartamento in questione a R.D. ed S.E., ha esaminato la domanda con la quale costoro hanno invocato gli effetti previsti dall’art. 2041 c.c.: la corte, al riguardo, dopo aver qualificato la domanda proposta come azione d’indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c., vale a dire come domanda di restituzione del tandundem che era stato messo a disposizione del D. all’atto di compravendita, (e, comunque, considerato inammissibile/infondata, per difetto dei requisito di sussidiarietà, la domanda ex art. 2041 c.c.), l’ha ritenuta infondata per intervenuta prescrizione: la domanda di restituzione delle somme indebitamente versate, infatti, ha osservato la corte, poteva essere fatta valere sin dal loro pagamento e, dunque, sin dalla data della stipula dell’atto di acquisto, vale a dire l’8/1/1986, laddove, per contro, manca la prova di atti interruttivi ovvero di atti di riconoscimento da parte del D. della debenza della somma in questione.

R.D., D.M.L., S.L. e S.P.F., con ricorso notificato in data 31/12/2015, hanno chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.

Hanno resistito, con controricorso notificato il 21/1/2016, B.G., D.A. e D.O..

I ricorrenti hanno depositato, in data 9/12/2019, memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che le prove raccolte in giudizio dimostrerebbero la mancanza tanto del requisito dell’indiscussa, inequivoca e piena signoria degli attori sull’appartamento, quanto del requisito dell’inerzia del relativo titolare.

1.2. Le argomentazioni svolte al riguardo nella sentenza impugnata, tuttavia, hanno osservato i ricorrenti, risultano illogiche e contraddittorie, se non altro perchè proprio il rimborso delle spese tributarie e condominiali al D., quale emerge dalle deposizioni testimoniali e dai documenti prodotti dagli attori, conferma che costui era il mero intestatario laddove il R. ed il S. esercitavano la piena signoria sull’appartamento in questione ed agivano quali proprietari. D’altra parte, hanno aggiunto i ricorrenti, non sussiste alcuna contraddizione tra la domanda di usucapione e quella di simulazione, presupponendo entrambe che l’appartamento non sia mai entrato nella possesso effettivo del D..

1.3. Le censurate argomentazioni, inoltre, hanno proseguito i ricorrenti, sono assolutamente inconciliabili con le prove assunte e con le stesse ammissioni delle controparti, dalle quali, al contrario, emerge che la signoria di fatto sull’immobile da parte degli attori si è protratta dal momento dell’acquisto (in data 8/1/1986) fino (quantomeno) alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio in data 17/2/2006), come dimostrato, in particolare, dai seguenti fatti, pretermessi dalla corte d’appello, vale a dire: – il corrispettivo dell’acquisto dell’appartamento è pacificamente rappresentato dall’esecuzione di lavori edili da parte della società di fatto tra R.D. ed S.E.; – il bene è stato intestato a D.L., cognato di S.E., al solo fine di sottrarlo alle eventuali azioni giudiziarie dei creditori; – la consegna delle chiavi dell’appartamento è avvenuta contestualmente alla sottoscrizione dell’appartamento direttamente nelle mani di S.E., che le ha sempre detenute e consegnate ai diversi inquilini, senza che delle stesse il D. abbia mai avuto la disponibilità; – tutti i conduttori dell’appartamento sono stati reperiti da S.E., che ha stipulato i contratti relativi ed incassato i canoni personalmente o a mezzo delle figlie; – gli amministratori del condominio riconoscevano S.E. come proprietario dell’appartamento, inviando a lui le convocazioni dell’assemblea; – D.L., come emerge dal documento 9 di parte attrice, ha svolto affermazioni che hanno contenuto e valenza confessoria della sua totale estraneità alla disponibilità e alla titolarità effettiva dell’appartamento, ancorchè per ragioni formali sottoscrivesse, nella sua qualità di intestatario del bene, i contratti: in particolare, nel 1999, 2000 e 2001 e 2002, il D. ha chiesto il rimborso delle tasse pagate; – tali anticipazioni sono state integralmente rimborsate al D. mentre alcune spese condominiali sono state pagate direttamente da S.E..

1.4. La signoria di fatto che S.E. e R.D. hanno esercitato, come proprietari, sull’immobile non è mai stata contrastata dal D., il quale, anzi, ha ripetutamente ammesso di essere soltanto un intestatario fittizio del bene.

1.5. Nè, hanno proseguito i ricorrenti, può sostenersi che l’inerzia del D. è stata smentita dal continuo pagamento degli oneri connessi alla titolarità dell’immobile e dalla ripetuta richiesta di regolarizzazione della situazione, che sono, invece, elementi da valutare in senso opposto alla tesi svolta dalla corte d’appello poichè dimostrano che il D. non aveva alcun diritto sull’immobile e chiedeva la regolarizzazione dell’intestazione a nome degli attori al fine di non continuare a sostenere oneri economici, così riconoscendo che quel bene non gli era mai appartenuto e che era, invece, di proprietà di R. e S..

1.6. Il D., infine, hanno concluso i ricorrenti, è stato integralmente pagato per l’attività prestata in favore della società di fatto R. e S..

2.1. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, riguardanti l’esercizio della signoria di fatto sull’appartamento de quo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che le prove raccolte in giudizio dimostrerebbero la mancanza tanto del requisito dell’indiscussa, inequivoca e piena signoria degli attori sull’appartamento, quanto del requisito dell’inerzia del relativo titolare.

2.2. Così facendo, però, hanno osservato i ricorrenti, la corte d’appello ha totalmente ignorato le prove decisive oggetto di discussione tra le parti, che avrebbero dovuto condurre a conclusioni opposte ed alla integrale conferma della decisione di primo grado, assumendo, al riguardo, incontestabile rilievo i fatti che seguono: – il corrispettivo dell’acquisto dell’appartamento è pacificamente rappresentato dall’esecuzione di lavori edili da parte della società di fatto tra R.D. ed S.E.; – il bene è stato intestato a D.L., cognato di S.E., al solo fine di sottrarlo alle eventuali azioni giudiziarie dei creditori; – la consegna delle chiavi dell’appartamento è avvenuta contestualmente alla sottoscrizione dell’appartamento direttamente nelle mani di S.E., che le ha sempre detenute e consegnate ai diversi inquilini, senza che delle stesse il D. abbia mai avuto la disponibilità; – tutti i conduttori dell’appartamento sono stati reperiti da S.E., che ha stipulato i contratti relativi ed incassato i canoni personalmente o a mezzo delle figlie; – gli amministratori del condominio riconoscevano S.E. come proprietario dell’appartamento, inviando a lui le convocazioni dell’assemblea; – D.L., come emerge dal documento 9 di parte attrice, ha svolto affermazioni che hanno contenuto e valenza confessoria della sua totale estraneità alla disponibilità e alla titolarità effettiva dell’appartamento, ancorchè per ragioni formali sottoscrivesse, nella sua qualità di intestatario del bene, i contratti: in particolare, nel 1999, 2000 e 2001 e 2002, il D. ha chiesto il rimborso delle tasse pagate; – tali anticipazioni sono state integralmente rimborsate al D. mentre alcune spese condominiali sono state pagate direttamente da S.E.: – il D. è stato integralmente pagato per l’attività prestata in favore della società di fatto R. e S..

2.3. Se la corte d’appello avesse tenuto conto degli indicati fatti decisivi, hanno concluso i ricorrenti, avrebbe dovuto riconoscere che S.E. e R.D. hanno esercitato per oltre vent’anni la signoria di fatto sull’immobile con l’animo dei proprietari e pervenire, così, alla conferma della decisione assunta dal tribunale il quale, in particolare, aveva ritenuto che l’appartamento era sempre stato utilizzato in via esclusiva dagli attori per oltre vent’anni nell’inerzia degli intestatari, i quali, dal canto loro, non avevano dimostrato che il bene fosse il corrispettivo dell’attività lavorativa svolta dal proprio dante causa.

3.1. Il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente, sono infondati. I fatti che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare, per come dedotti dai ricorrenti, risultano, invero, compatibili (e, quindi, almeno in astratto, potenzialmente decisivi) solo con l’idea per cui i rapporti tra S.E. e R.D., da un lato e D.L., dall’altro, debbano essere ricondotti allo schema dell’interposizione fittizia (nel quale, cioè, l’acquirente, in qualità di fittizio interposto, è stato, quanto meno rispetto agli interponenti, soltanto il simulato intestatario del bene di cui, in realtà, i primi sono stati gli effettivi proprietari e, come tali, possessori, se del caso ad usucapionem) o, quanto meno, dell’interposizione reale (nel quale, cioè, l’acquirente, in qualità di interposto reale, è stato, anche rispetto agli interponenti, l’effettivo proprietario del bene ma con l’obbligo di procedere al suo trasferimento in favore dei fiducianti, i quali, pertanto, ove abbiano avuto la disponibilità del bene, ne sono, al pari del promissario acquirente, semplici detentori, salva l’interversione nei modi previsti dalla legge).

3.2. Sennonchè (ed a prescindere dalla mancata deduzione di qualsivoglia atto d’interversione di tale detenzione in possesso), rileva la Corte come, una volta che l’azione di accertamento della simulazione relativa soggettiva del contratto d’acquisto dell’immobile da parte di D.L. dell’8/1/1986, è stata, al pari dell’azione avente ad oggetto l’accertamento dell’intestazione fiduciaria dello stesso bene, definitivamente rigettata per mancanza di impugnazione, il giudicato interno che si è formato sul rigetto di tali domande preclude, evidentemente, tale possibilità: con la conseguenza che il rapporto tra gli attori e (gli eredi del) convenuto non può che essere ricondotto a quello (comune) nel quale colui che ha conseguito, in via di fatto, la disponibilità materiale di un bene immobile (del quale non è già proprietario: nè in qualità di effettivo acquirente, rispetto all’intestatario formale, nè in qualità di fiduciante, rispetto all’intestatario effettivo con obbligo di trasferimento in favore del primo), pretende, poi, di averne acquistato, in ragione del suo possesso ventennale, la proprietà. La corte d’appello, però, ha accertato, al riguardo, l’insussistenza, in fatto, dei presupposti richiesti dall’art. 1158 c.c., sul rilievo, in particolare, che, in base alle prove assunte in giudizio, difettano tanto il requisito dell’indiscussa, inequivoca e piena signoria sull’appartamento, quanto, e soprattutto, il requisito dell’inerzia del titolare, a partire dalla sottoscrizione da parte di quest’ultimo dei contratti di locazione dell’appartamento, cui gli attori, per quanto da loro stessi dedotto, consapevolmente partecipavano (v. il ricorso, p. 20, 21, sub d ed f) ed, in tal modo, inequivocamente, riconoscevano in capo allo stesso la proprietà del bene. Ed è noto che il riconoscimento del diritto altrui, da parte del possessore, quale atto unilaterale non recettizio incompatibile con la volontà di godere del bene uti dominus, interrompe il termine utile per l’usucapione, ai sensi degli artt. 1165 e 2944 c.c., anche quando sia effettuato nei confronti di un soggetto diverso dal titolare del diritto stesso (Cass. n. 4215 del 1987; Cass. n. 18207 del 2004).

4.1. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 2033,2041,2935 e 2944 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la domanda che gli attori avevano proposto per l’ipotesi di rigetto delle domande esperite in via principale, avente ad oggetto la condanna dei convenuti, in qualità di eredi di D.L., alla restituzione, in loro favore, del prezzo versato per l’appartamento nella misura di Euro 43.282,38, oltre agli interessi dall’8/1/1986 al saldo effettivo, dovesse essere qualificato come azione di indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c. e, dopo aver ritenuto inammissibile quella proposta ai sensi dell’art. 2041 c.c., per difetto di sussidiarietà, ha affermato che la pretesa era prescritta sul rilievo che la restituzione delle somme indebitamente versate poteva essere fatta valere sin dal loro pagamento in data 8/1/1986 e non constavano atti interruttivi.

4.2. Così facendo, tuttavia, hanno osservato i ricorrenti, la corte non ha considerato che l’art. 2033 c.c., disciplina la ripetizione di un pagamento non dovuto laddove, nel caso in esame, nulla è stato versato al D.. La domanda proposta dagli attori, piuttosto, ha avuto ad oggetto l’indennizzo derivante dall’arricchimento senza causa del D. e dei suoi eredi, i quali hanno rifiutato di intestare l’appartamento a chi ne ha pagato il corrispettivo ed hanno così conseguito una ingiusta locupletazione senza causa.

4.3. Il carattere sussidiario dell’azione generale di arricchimento, del resto, hanno aggiunto i ricorrenti, non esclude che tale domanda possa essere proposta in via subordinata, per l’ipotesi in cui l’azione tipica introdotta in via principale abbia avuto esito negativo.

4.4. Nè, hanno aggiunto i ricorrenti, può ritenersi che il diritto degli attori si sia prescritto potendo essere fatto valere fin dal momento della stipulazione dell’atto notarile: il rapporto tra le parti, infatti, si è svolto con modalità tali da non far lontanamente sospettare agli attori che il D. aveva intenzione di impossessarsi dell’appartamento, avendo piuttosto riconosciuto di esserne l’intestatario solo formale e di essere obbligato ad intestarlo agli attori a loro semplice richiesta. Il dies a quo dell’azione, pertanto, dev’essere individuato nel giorno in cui i suoi eredi hanno inaspettatamente rifiutato di regolarizzare la situazione e di provvedere alla formale intestazione del bene in favore di R. e S..

5. Il motivo è infondato. I ricorrenti, infatti, si sono, a ben vedere, doluti dell’interpretazione che la corte d’appello ha dato della domanda che gli stessi, quali attori, avevano proposto: solo che, com’è noto, il ricorrente che intenda utilmente censurare in sede di legittimità il significato attribuito dal giudice di merito ad un atto processuale, come l’atto di citazione, ha l’onere (rimasto, nel caso di specie, inadempiuto) di dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 c.c. e segg., la cui portata è generale, ovvero il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici, oltre al testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione (Cass. n. 16057 del 2016; Cass. n. 6226 del 2014). Quanto al resto, non può che ribadirsi il principio per cui l’impossibilità di far valere il diritto, quale fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione ex art. 2935 c.c., è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto (Cass. n. 20642 del 2019).

6. Il ricorso, per l’infondatezza di tutti i motivi in cui risulta articolato, dev’essere, quindi, rigettato.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8 La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti a rimborsare ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 4.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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