Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17735 del 07/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/09/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 07/09/2016), n.17735

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19971/2014 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ACILIA N 3 P2 INT8, presso lo studio dell’avvocato RIZIERO

ANGELETTI, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, (OMISSIS), società con socio unico, in persona

del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 250/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

14/01/2014, depositata il 21/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato ILARIA SMEDILE, delega verbale avvocato ANGELETTI,

difensore del ricorrente, che si riporta ai motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione a norma dell’art. 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, letta la memoria depositata dalla parte ricorrente, ex art. 380 bis c.p.c., comma 2. 2. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 21 gennaio 2014, confermava la decisione di primo grado che aveva dichiarato inammissibile, per intervenuta risoluzione consensuale, la domanda proposta dall’attuale ricorrente nei confronti di Poste Italiane s.p.a. intesa alla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto stipulato con detta società (per il periodo 1.6.2001 – 30.9.2001). 3. La Corte territoriale, per quanto rileva in questa sede, confermava la risoluzione per mutuo consenso desumibile dal comportamento inerte serbato per otto anni dal lavoratore e riteneva, al contempo, legittima la clausola, per esigenze connesse a processi di ristrutturazione, apposta al contratto. 4. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il ricorrente, affidato a quattro motivi. 5. Poste Italiane s.p.a. resiste con controricorso. 6. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 2697 c.c., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto ricorrente un’ipotesi di scioglimento del rapporto per mutuo consenso senza considerare che il mero decorso del tempo era un elemento di per sè solo inidoneo a significare una inequivocabile volontà della parte di risolvere il rapporto. Si lamenta, inoltre, nel preambolo delle ulteriori doglianze avverso la ritenuta legittimità del termine, la decisione ultronea assunta dalla Corte territoriale, non avvedutasi, nell’esaminare gli ulteriori motivi di gravame, che il primo giudice non aveva esaminato alcuna delle dedotte questioni. 7. Il motivo è manifestamente fondato. 8. In via di principio è ipotizzabile una risoluzione del rapporto di lavoro per fatti concludenti (cfr., ad es., Cass. 6 luglio 2007, n. 15264; Cass. 7 maggio 2009, n. 10526); l’onere di provare circostanze significative al riguardo grava sul datore di lavoro che deduce la risoluzione per mutuo consenso (cfr. ad es. Cass. 2 dicembre 2002, n. 17070 e Cass. 2 dicembre 2000, n. 15403); la relativa valutazione da parte del giudice costituisce giudizio di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, se non sussistono vizi logici o errori di diritto (v. Cass. 10 novembre 2008, n. 26935; Cass. 28 settembre 2007, n. 20390); la mera inerzia del lavoratore nel contestare la clausola appositiva del termine, così come la ricerca medio tempore di una occupazione, non sono sufficienti a far ritenere intervenuta la risoluzione per mutuo consenso. 9. In particolare, come precisato da Cass. 12 aprile 2012, n. 5782, “quanto al decorso del tempo, si tratta di dato di per sè neutro, come sopra chiarito (per un’ipotesi analoga a quella oggi in esame, vale a dire di decorso di circa sei anni fra cessazione del rapporto a termine ed esercizio dell’azione da parte del lavoratore v., da ultimo, Cass. n. 16287/2011). In ordine, poi, alla percezione del t.f.r., questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio nè l’accettazione del t.f.r. nè la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (cfr., Cass., n. 15628/2001, in motivazione). Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonchè, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione)” – si vedano, in termini, anche le recenti Cass. 7 aprile 2014, n. 8061, Cass. 20 marzo 2014, n. 6632. 10. In ogni caso, la valutazione del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative di una consensuale tacita volontà in ordine alla risoluzione del rapporto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto. 11. Orbene, nel caso in esame, la Corte di appello, in difformità dal descritto e consolidato orientamento di legittimità, ha confermato lo scioglimento del vincolo contrattuale (già ritenuto dal primo giudice) sulla base del mero decorso del tempo, circostanza inidonea a costituire espressione di una tacita rinuncia a coltivare il diritto a far accertare l’illegittimità del termine apposto al contratto. 12. Da tanto consegue l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento delle ulteriori doglianze. In conclusione, all’accoglimento del primo motivo di ricorso, segue la cassazione della impugnata sentenza e il rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che nell’esaminare il gravame, si atea ai principi sopra esposti e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2016

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