Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17733 del 29/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 29/07/2010), n.17733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato SIPALA ALDO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCHIAVI ALDO, giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CLINICA S. ANTONIO SRL in persona del Presidente legale

rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CAVOUR 211, presso lo studio dell’avvocato CAPECCI FRANCESCO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PIZZUTELLI MARCO, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2934/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

9.4.08, depositata il 14/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI.

E’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

MOTIVI:

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., a seguito di relazione ex art. 380 bis.

La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza con cui il Tribunale di Frosinone aveva rigettato la domanda proposta da L. L. contro la Clinica S. Antonio s.r.l., di impugnazione del licenziamento intimatole per giustificato motivo oggettivo consistente nella perdita dell’idoneità fisica al lavoro di operatore tecnico addetto all’assistenza (OTA).

La Corte di merito riteneva non fondata la tesi dell’appellante, secondo cui la sua inidoneità alle mansioni di OTA, limitatamente a quelle implicanti la movimentazione del paziente, era configurabile solo se tali mansioni erano svolte senza il ricorso agli ausili meccanici obbligatori per legge, che l’azienda aveva illegittimamente non predisposto. Infatti questa tesi era smentita dalla c.t.u., non censurata, secondo cui presso la clinica erano presenti i dispositivi che possono aiutare i dipendenti OTA nell’espletamento delle mansioni (quali sollevatori per pazienti, barelle, comode, carrozzine). Quindi l’incompatibilità tra le condizioni fisiche sopravvenute dell’appellante e le mansioni non era imputabile al comportamento aziendale.

La Corte osservava anche che con i pazienti non autosufficienti o disabili, esclusivamente ospitati dalla clinica, non era pensabile l’eliminazione di tutti gli sforzi fisici non tollerabili dalla L.. Osservava anche che non avevano formato oggetto di critica i rilievi del primo giudice circa la intangibilità, al fine di reperire mansioni espletabili dalla ricorrente, dell’asserto organizzativo predisposto dal datore di lavoro e la non esigibilità neanche dell’affiancamento di altro dipendente alla L..

Quest’ultima ricorre per cassazione con due motivi. La società intimata resiste con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Il ricorso è qualificabile come manifestamente infondato.

Il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione delle norme sulla sicurezza nel lavoro di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994 e L. n. 365 del 2004, è basato in sostanza sull’assunto che nella specie la violazione delle norme di tutela delle condizioni del lavoratore previste dalla legge rendeva inesigibile la prestazione lavorativa e quindi ingiustificato il licenziamento.

Il motivo non merita accoglimento perchè è sostenuta solo apoditticamente una tesi contrastante con l’accertamento compiuto dal giudice di merito.

Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e omessa pronuncia in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5. In sostanza si lamenta il mancato esame del punto relativo alla dipendenza o meno della incompatibilità delle mansioni dalla non applicazione delle norme sulla tutela delle condizioni di lavoro.

Questo motivo non coglie nel segno, perchè in effetti il punto che si assume trascurato dal giudice di merito è motivatamente esaminato dalla sentenza impugnata, nè al riguardo sono state formulate specifiche critiche.

Il ricorso deve quindi essere rigettato. Le spese del giudizio vengono regolate facendo applicazione del criterio legale della soccombenza (art. 91 c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del giudizio, determinate in Euro trenta oltre Euro millecinquecento per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2010

 

 

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