Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17731 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 25/08/2020), n.17731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32223-2018 proposto da:

G.G.A., IREN ACQUA SPA (già MEDITERRANEA DELLA

ACQUE SPA), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA UGO BALZANI, 6, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRA MICALI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO MORINI;

– ricorrenti –

contro

LA CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLO

SCAGLIA, VALENTINA MANZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 362/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2019 dal Consigliere BESSO MARCHEIS CHIARA.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

CHE:

1. G.G.A. e la società Mediterranea delle Acque s.p.a. proponevano ricorso avverso l’ordinanza n. 27/A prot. gen. 52382/2015 con cui la Provincia di Genova aveva loro inflitto la sanzione di Euro 3.010, a titolo di sanzione amministrativa per mancata conformità dei referti di alcuni campionamenti ai parametri tabellari di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006 (Norme in materia ambientale), con violazione del medesimo D.Lgs., art. 101, comma 1, in relazione all’impianto di depurazione di acque reflue in Genova Prà-Voltri.

Il Tribunale di Genova, rilevata d’ufficio la carenza di potestà sanzionatoria della Città Metropolitana (già Provincia) di Genova, con sentenza n. 1678 del 2016 accoglieva l’opposizione.

2. Contro la sentenza proponeva appello la Città Metropolitana di Genova, lamentando l’erronea declaratoria di carenza di potestà sanzionatoria e l’erronea rilevazione ufficiosa di tale carenza.

La Corte d’appello di Genova, richiamato il proprio precedente n. 706 del 31 maggio 2017, con sentenza 13 aprile 2018, n. 362 accoglieva il gravame e rigettava l’opposizione.

3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione G.G.A., in qualità di direttore della Gestione e Servizio di Mediterranea delle Acque s.p.a., e Iren Acqua s.p.a. (già Mediterranea delle Acque s.p.a.), con atto articolato in sei motivi.

Resiste con controricorso la Città Metropolitana di Genova.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo (“violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135 così come abrogativo della precedente formulazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56”) i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto delegabile il potere sanzionatorio riconosciuto alla Regione nella materia de qua dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135; la Corte avrebbe infatti errato nel ritenere esistente una valida delega regionale a fronte del disposto della L.R. n. 43 del 1995, art. 42, essendo tale legge stata emanata in attuazione della L. n. 36 del 1994, abrogata proprio dal D.Lgs. n. 152 del 2006, a nulla valendo il richiamo al successivo la L. R. n. 41 del 2014, art. 22, di interpretazione autentica del menzionato art. 42; inoltre, quand’anche si volesse ritenere esistente una tale delega, essa sarebbe da considerarsi incostituzionale, non potendo la legge regionale derogare a quanto stabilito dalla legge statale in materia ambientale ai sensi dell’art. 117 Cost..

Il motivo è infondato. Il Collegio ritiene infatti che vada condivisa la valutazione del giudice d’appello che ha riscontrato la sussistenza di potestà sanzionatoria della Provincia per effetto di una valida delega da parte della Regione:

a. Non c’è violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), e neppure dell’art. 118 Cost., commi 1 e 2, allorquando la Regione delega alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto la stessa delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto che ciascuna Regione è abilitata a determinare, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali (cfr. la sentenza n. 380 del 2007 della Corte Costituzionale).

b. Inoltre non può ritenersi di per sè risolutivo il differente tenore normativo del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, rispetto a quanto invece dettato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, in relazione all’omessa riproduzione in quest’ultimo della salvezza delle attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità. Ritiene il Collegio che proprio la disamina del quadro normativo e dei principi generali depongano per la correttezza della soluzione adottata dalla Corte di Genova. Innanzitutto, va sottolineato lo stesso tenore testuale dell’art. 135 comma 1 (“In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione della sanzioni amministrative pecuniarie, provvede, con ordinanza ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 18 e seguenti, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”) nella parte in cui, pur non ripetendo l’inciso del previgente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, contiene la clausola di salvezza “fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”. Tale clausola di salvaguardia conserva la distribuzione delle attribuzioni amministrative sanzionatorie a diversi livelli ed impedisce di ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre un principio inderogabile di competenza regionale nell’applicazione delle sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico. Ancora, va considerata la disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, in base al quale “fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175”. Il riferimento specifico e congiunto ad “atti e provvedimenti” induce a ritenere che il legislatore, allo scopo di evitare vuoti normativi in una materia così importante e di rilevanza costituzionale, ha inteso fare “salvi” sia i provvedimenti amministrativi che gli atti normativi adottati in base alla previgente disciplina abrogata e, dunque, anche le leggi regionali emanate in applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, il che induce ad affermare che non possa sostenersi la tacita abrogazione della Legge della Regione Liguria n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), dimostrando la volontà legislativa di non considerare ex se le disposizioni emanate in contrasto con norme precedenti e quindi automaticamente abrogative delle stesse. Inoltre, la tesi secondo cui vi sarebbe la scelta del legislatore di sottrarre alle Regioni la potestà normativa ed organizzativa in materia di tutela delle acque dall’inquinamento prevedendo un implicito divieto di delega ad altri enti territoriali delle funzioni amministrative attribuitegli, appare in contrasto con l’intero impianto sistematico del D.Lgs. n. 152 del 2006, ed in particolare con le norme dello stesso decreto che attribuiscono alle Regioni e ad altri enti locali ampi poteri normativi ed amministrativi in materia (cfr. gli art. 101, art. 124, commi 3 e 7).

c. Una volta esclusa, alla luce dell’impianto normativo previsto dal citato D.Lgs. n. 152 del 2006, la correttezza della tesi della tacita abrogazione delle eventuali leggi regionali preesistenti che abbiano contemplato una delega alle Province del potere sanzionatorio in tale materia, occorre, poi, considerare che la Regione Liguria, dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, è intervenuta nella materia della delega della funzione sanzionatoria degli illeciti amministrativi previsti dalla normativa statale con la legge regionale n. 41 del 2014, che con una disposizione avente carattere di interpretazione autentica, e quindi con efficacia retroattiva, ha confermato l’operatività della previsione di cui alla L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b) e successive modifiche anche alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135.

Correttamente il giudice d’appello ha attribuito rilevanza a tale ultima disposizione legislativa regionale che legittima l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione da parte della Provincia, non potendo certo essere disapplicata e non presentando profili di illegittimità costituzionale che ne impongano la rimessione al vaglio della Corte Costituzionale. Infatti, proprio alla luce della ricordata competenza trasversale in materia di ambiente, deve reputarsi che, se la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, dettando standard uniformi di tutela, è stata affidata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), tuttavia ciò non esclude il concorrente potere normativo delle Regioni e delle Province autonome su specifici interessi giuridicamente tutelati.

2. Il secondo motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”: la Corte di appello ha erroneamente escluso la nullità e/o annullabilità dell’ordinanza impugnata per indeterminatezza della contestazione a causa dell’omessa indicazione dell’impianto in ordine al quale veniva contestata l’asserita violazione.

La doglianza è infondata. Come puntualizza il giudice d’appello (v. p. 6 della sentenza impugnata), il nome dell’impianto presso il quale è stato effettuato il prelievo (Genova Prà-Voltri) è stato indicato nel verbale di accertamento, citato espressamente nell’ordinanza ingiunzione, circostanza ammessa dai ricorrenti (p. 21 del ricorso).

3. Il terzo motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981. art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5” per avere la Corte d’appello ritenuto infondata l’eccepita nullità della notificazione dell’ordinanza-ingiunzione: il verbale di contestazione di violazione, presupposto dell’atto opposto, è stato notificato ai ricorrenti in data 8 giugno 2011, ossia tre mesi dopo la scadenza del termine di novanta giorni dall’avvenuto campionamento (indicato come 22 dicembre 2011, in realtà 2010); termine che sarebbe comunque da considerarsi superato quand’anche lo si facesse decorrere dalla diversa data di comunicazione dei risultati delle analisi alla Provincia (8 marzo 2011).

La doglianza è inammissibile occorrendo a tal fine richiamare la analoga soluzione alla quale è pervenuta questa Corte nell’ordinanza n. 28108/2018. Sulla premessa corretta che il termine perentorio previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, decorre dall’accertamento della violazione, e cioè dal momento di completamento di tutte le indagini ritenute necessarie all’acquisizione della piena conoscenza dei fatti e della determinazione della sanzione da parte dell’autorità procedente (ex plurimis, Cass. 16/04/2018, n. 9254; Cass. 02/12/2011, n. 25836; a partire da Cass., sez. un., 9/03/2007, n. 5395), la Corte d’appello ha rilevato che solo in data 8 marzo 2011 i referti (OMISSIS) sono pervenuti alla Provincia, che ha poi dovuto analizzare i dati; di qui la congruità del tempo occorso per l’accertamento, che si è avuto con la relazione del 1 giugno 2011. La valutazione di congruità del tempo necessario a tradurre la constatazione in accertamento integra d’altro canto un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità ove assistito, come nella specie, dal crisma della plausibilità (v. Cass. 28108/2018 sopra ricordata).

4. Il quarto motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla tabella 2, allegato 5, parte III, del D.Lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto infondata l’eccepita insussistenza dell’illecito contestato ai ricorrenti a causa del mancato, contestuale superamento, nel campione da cui la Provincia ha tratto le asserite violazioni, di tutti e tre gli indici indicati dalla tabella richiamata, ossia i parametri BOD, COD e SST, senza contare che la sanzione è stata applicata a una fattispecie che rientrava nella tolleranza tecnica di funzionamento dell’impianto e che il verbale di contestazione della violazione non individua in modo preciso il numero totale dei campionamenti effettuati nel 2010.

Il motivo va rigettato. E’ anzitutto infondata la tesi secondo cui, ai fini della sussistenza della violazione, sarebbe necessario il superamento contestuale di tutti i parametri indicati. La Corte d’appello ha rilevato correttamente che non esiste una norma che espressamente escluda la violazione di legge se i campioni di acqua superino alcuni soltanto e non tutti i parametri tabellari (nella specie, BOD, COD e SST), laddove l’allegato 1 del D.Lgs. n. 152 del 2006, al punto 4 prevede che i valori limite fissati dalla tabella 1 debbono essere rispettati singolarmente. L’interpretazione adottata dalla Corte territoriale risulta confermata dalla specifica previsione, contenuta nell’allegato 5, in forza della quale la non conformità di ciascuno dei parametri in oggetto oltre determinate percentuali impedisce di considerare lo scarico in regola, a prescindere dal rapporto tra il numero dei campionamenti effettuati nell’anno solare e il numero dei campioni risultati non conformi. Anche in base all’interpretazione sistematica, non sembra dubitabile che i valori limite fissati dalla tabella 1 debbano essere rispettati singolarmente (conf. Cass. n. 28108/2018).

Quanto poi alla deduzione secondo cui la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore non rilevando che la normativa in esame consente di avere un numero di campioni non conformi entro una data soglia di tollerabilità, numero destinato a variare in ragione del numero totale di campioni prelevati (nel caso concreto ventisette, numero che peraltro secondo i ricorrenti non sarebbe preciso, rilievo rispetto al quale v. la puntualizzazione del giudice d’appello, p. 8 della sentenza impugnata) e che nella fattispecie, tenuto conto del numero dei prelevamenti, non risultava superata la soglia in esame, la censura non appare in grado di confutare l’argomentazione del giudice d’appello che ha escluso l’applicabilità di tale tolleranza perchè il richiamato allegato 5 non consente comunque un superamento del 100% del limite di concentrazione per il parametro BOD come quello riscontrato, così che il campione in questione non può rientrare nel novero dei campioni non conformi tollerati. La disposizione contenuta nell’allegato 5 prevede infatti che: “per i parametri sotto indicati, i campioni che risultano non conformi, affinchè lo scarico sia considerato in regola, non possono comunque superare le concentrazioni riportate nella tabella 1 oltre la percentuale sotto indicata: BOD5 100%; COD 100%; Solidi Sospesi 150%”. Il significato della previsione è chiaro: lo scarico non può essere considerato regolare se la non conformità dei campioni prelevati ai limiti tabellari è particolarmente significativa, avuto riguardo a determinati parametri. In altre parole, il legislatore reputa intollerabile la non conformità anche del singolo campione quando il livello di scostamento sia molto elevato, e quindi sanzionabile il gestore dell’impianto di depurazione (in questi termini Cass. n. 27909/2018).

5. Il quinto motivo contesta “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla tabella 1, allegato 5, parte III, del D.Lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”: l’impianto di Genova Prà-Voltri opera sulla base di un provvedimento di autorizzazione allo scarico rilasciato dalla Provincia, provvedimento che non menziona il dovere di rispetto del assoluto di concentrazione, limitandosi a fare riferimento all’obbligo di rispettare i limiti espressi in percentuale di abbattimento, così che non poteva essere oggetto di contestazione il superamento dei limiti relativi al parametro BOD.

Il motivo è infondato. Come sottolinea il giudice d’appello (pp. 9-10 della sentenza impugnata), le previsioni dell’autorizzazione non possono derogare ai limiti massimi della tabella 2 dello stesso allegato 5 sopra richiamato. In altri termini, come spiega la Provincia controricorrente a p. 27 del controricorso, benchè la non conformità vada valutata unicamente in ordine al valore corrispondente alla percentuale di riduzione, la tollerabilità del campionamento va valutata per legge avendo riguardo anche al valore di concentrazione del parametro inquinante, che non potrà superare oltre una certa soglia il valore previsto dalla tabella 1.

6. Il sesto motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla tabella 2, allegato 5, parte III, del D.Lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto infondata l’eccepita insussistenza dell’illecito contestato ai ricorrenti a fronte della asserita conformità dei parametri rinvenuti nel diverso campione prelevato dalla società ingiunta nei medesimi giorni in cui è avvenuto il campionamento dell'(OMISSIS).

Il motivo è infondato. Come ha affermato il giudice d’appello (p. 10 della sentenza impugnata), il referto invocato dai ricorrenti in ordine al “controcampione” non è sufficiente a contrastare le analisi di laboratorio dell’organo di controllo, tanto più trattandosi di campione di cui è stata solo asserita l’effettuazione nello stesso giorno e di cui non è stata dimostrata la correttezza del metodo di analisi applicato (profilo quest’ultimo non oggetto di contestazione nel motivo).

7. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale della sezione seconda civile, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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