Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17730 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 25/08/2020), n.17730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4260-2019 proposto da:

G.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO

BALZANI, 6, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA MICALI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO MORINI;

– ricorrente –

contro

CITTA METROPOLITANA DI GENOVA (GIA’ PROVINCIA DI GENOVA),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati VALENTINA MANZONE, CARLO SCAGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1078/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2019 dal Consigliere BESSO MARCHEIS CHIARA.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

CHE:

1. G.G.A. proponeva ricorso avverso l’ordinanza n. 31/A prot. gen. 69479/2011 con cui la Provincia di Genova gli aveva ingiunto il pagamento di Euro 15.010 a titolo di sanzione amministrativa per scarico in mare delle acque reflue provenienti dall’impianto di depurazione “Darsena” di Genova senza la prescritta autorizzazione.

Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 1713 del 2015, rigettava l’opposizione.

2. Contro la sentenza proponeva appello G.G.A., anzitutto eccependo la sopravvenuta carenza di potestà sanzionatoria in capo alla Provincia a fronte del disposto di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135.

Con sentenza 28 giugno 2018, n. 1078, la Corte d’appello di Genova, richiamato il proprio precedente n. 706 del 31 maggio 2017 in relazione alla potestà sanzionatoria della Provincia nella materia de qua, rigettava l’eccezione di carenza di potestà sanzionatoria e i motivi di opposizione riproposti dall’appellante, così confermando la pronuncia di primo grado.

3. Contro la sentenza ricorre per cassazione G.G.A., in qualità di direttore della Gestione e Servizio di Mediterranea delle Acque s.p.a., con atto articolato in cinque motivi.

Resiste con controricorso la Città Metropolitana di Genova.

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo (“violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, così come abrogativo della precedente formulazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56”) il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto delegabile il potere sanzionatorio riconosciuto alla Regione nella materia de qua dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135; la Corte avrebbe infatti errato nel ritenere esistente una valida delega regionale a fronte del disposto della L.R. n. 43 del 1995, art. 42, essendo tale legge stata emanata in attuazione della L. n. 36 del 1994, abrogata proprio dal D.Lgs. n. 152 del 2006, a nulla valendo il richiamo al successivo la L.R. n. 41 del 2014, art. 22, di interpretazione autentica del menzionato art. 42; inoltre, quand’anche si volesse ritenere esistente una tale delega, essa sarebbe da considerarsi incostituzionale, non potendo la legge regionale derogare a quanto stabilito dalla legge statale in materia ambientale ai sensi dell’art. 117 Cost..

Il motivo è infondato. Non perchè, come nota la controricorrente, si tratterebbe di vizio che il giudice di secondo grado non poteva rilevare trattandosi di incompetenza relativa dedotta solo in appello (sulla qualificazione del vizio come incompetenza relativa v. Cass. 23383/2018, Cass. 27909/2018, Cass. 28108/2018). La Corte d’appello ha infatti ritenuto che l’esame della questione non fosse precluso, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio e non vi è stato un motivo di ricorso incidentale sul punto, così che la questione deve ritenersi effettivamente devoluta all’esame di questa Corte.

Al riguardo il Collegio ritiene che vada condivisa la valutazione del giudice d’appello che ha riscontrato la sussistenza di potestà sanzionatoria della Provincia per effetto di una valida delega da parte della Regione:

a. Non c’è violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), e neppure dell’art. 118 Cost., commi 1 e 2, allorquando la Regione delega alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto la stessa delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto che ciascuna Regione è abilitata a determinare, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali (cfr. la sentenza n. 380 del 2007 della Corte Costituzionale).

b. Inoltre non può ritenersi di per sè risolutivo il differente tenore normativo del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, rispetto a quanto invece dettato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, in relazione all’omessa riproduzione in quest’ultimo della salvezza delle attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità. Ritiene il Collegio che proprio la disamina del quadro normativo e dei principi generali depongano per la correttezza della soluzione adottata dalla Corte di Genova. Innanzitutto, va sottolineato lo stesso tenore testuale dell’art. 135, comma 1 (“In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione della sanzioni amministrative pecuniarie, provvede, con ordinanza ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 18 e seguenti, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”) nella parte in cui, pur non ripetendo l’inciso del previgente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, contiene la clausola di salvezza “fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”. Tale clausola di salvaguardia conserva la distribuzione delle attribuzioni amministrative sanzionatorie a diversi livelli ed impedisce di ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre un principio inderogabile di competenza regionale nell’applicazione delle sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico. Ancora, va considerata la disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, in base al quale “fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175”. Il riferimento specifico e congiunto ad “atti e provvedimenti” induce a ritenere che il legislatore, allo scopo di evitare vuoti normativi in una materia così importante e di rilevanza costituzionale, ha inteso fare “salvi” sia i provvedimenti amministrativi che gli atti normativi adottati in base alla previgente disciplina abrogata e, dunque, anche le leggi regionali emanate in applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, il che induce ad affermare che non possa sostenersi la tacita abrogazione della Legge della Regione Liguria n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), dimostrando la volontà legislativa di non considerare ex se le disposizioni emanate in contrasto con norme precedenti e quindi automaticamente abrogative delle stesse. Inoltre, la tesi secondo cui vi sarebbe la scelta del legislatore di sottrarre alle Regioni la potestà normativa ed organizzativa in materia di tutela delle acque dall’inquinamento prevedendo un implicito divieto di delega ad altri enti territoriali delle funzioni amministrative attribuitegli, appare in contrasto con l’intero impianto sistematico del D.Lgs. n. 152 del 2006, ed in particolare con le norme dello stesso decreto che attribuiscono alle Regioni e ad altri enti locali ampi poteri normativi ed amministrativi in materia (cfr. l’art. 101, art. 124, commi 3 e 7).

c. Una volta esclusa, alla luce dell’impianto normativo previsto dal citato D.Lgs. n. 152 del 2006, la correttezza della tesi della tacita abrogazione delle eventuali leggi regionali preesistenti che abbiano contemplato una delega alle Province del potere sanzionatorio in tale materia, occorre, poi, considerare che la Regione Liguria, dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, è intervenuta nella materia

della delega della funzione sanzionatoria degli illeciti amministrativi previsti dalla normativa statale con la L.R. n. 41 del 2014, che con una disposizione avente carattere di interpretazione autentica, e quindi con efficacia retroattiva, ha confermato l’operatività della previsione di cui alla L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), e successive modifiche anche alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135.

Correttamente il giudice d’appello ha attribuito rilevanza a tale ultima disposizione legislativa regionale che legittima l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione da parte della Provincia, non potendo certo essere disapplicata e non presentando profili di illegittimità costituzionale che ne impongano la rimessione al vaglio della Corte Costituzionale. Infatti, proprio alla luce della ricordata competenza trasversale in materia di ambiente, deve reputarsi che, se la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, dettando standard uniformi di tutela, è stata affidata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), tuttavia ciò non esclude il concorrente potere normativo delle Regioni e delle Province autonome su specifici interessi giuridicamente tutelati.

2. Il secondo motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla L. n. 689 del 1981, art. 14 e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello escluso la nullità dell’ordinanza impugnata, che è stata notificata non all’obbligata in solido Mediterranea delle Acque, ma unicamente all’ing. G. nella ritenuta qualità di rappresentante legale della società ingiunta, qualità che questi invece non rivestiva.

La doglianza è infondata. Correttamente l’ordinanza-ingiunzione è stata notificata all’ing. G. personalmente, quale autore materiale dell’illecito. Il giudice d’appello ha infatti accertato che l’ing. G. era non solo, pacificamente, direttore del Servizio di depurazione delle acque, ma in forza di procura notarile era stato nominato procuratore speciale di Mediterranea con il potere specifico di rappresentare detta società al fine di “compiere qualsiasi atto e operazione finalizzata all’ottenimento di concessioni e autorizzazioni”.

3. Il terzo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”: la Corte di appello ha erroneamente negato la nullità della notificazione dell’ordinanza opposta a causa della mancata indicazione, nel presupposto verbale di accertamento n. 3/27, dell’autorità innanzi alla quale l’ingiunto avrebbe potuto far pervenire eventuali scritti difensivi.

La censura è infondata. Come ha puntualizzato il giudice d’appello, la mancata indicazione nel verbale dell’autorità di fronte alla quale l’ingiunto poteva fare pervenire le sue osservazioni non ha determinato lesione alcuna del diritto di difesa del ricorrente che, a seguito della notificazione del verbale di accertamento, ha presentato alla Provincia di Genova apposito scritto difensivo con richiesta di audizione.

4. Il quarto motivo, nuovamente rubricato “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, contesta che erroneamente la Corte d’appello abbia negato la nullità e/o annullabilità del presupposto verbale di contestazione stante la mancata allegazione allo stesso del verbale del sopralluogo nel corso del quale sarebbe stata accertata la violazione.

La doglianza è infondata. Come ha precisato il giudice d’appello richiamando un precedente di questa Corte (Cass. 18469/2014) in tema di procedimento amministrativo, ai fini del rispetto del precetto posto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3, è sufficiente che l’atto indicato in motivazione sia reso disponibile per l’interessato, non avendo tale norma posto a carico dell’amministrazione anche l’obbligo di allegare al provvedimento l’atto richiamato; pertanto, il provvedimento che applica una sanzione amministrativa può essere motivato per relationem, non essendo in tal caso l’amministrazione, salvo disposizione contraria, tenuta ad allegare o comunicare gli atti richiamati.

5. Il quinto motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dallaa L. n. 689 del 1981, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente in capo alla società Mediterranea delle Acque s.p.a. la legittimazione passiva in relazione alla contestazione della violazione inerente alla mancata autorizzazione dello scarico delle acque reflue, quando la società ingiunta aveva solo la gestione operativa dell’impianto e la gestione del servizio idrico integrato era invece affidata esclusivamente a Ireti s.p.a..

Il motivo è infondato. L’infrazione amministrativa prevista dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 2, che punisce “chiunque apre o comunque effettua scarichi di acque reflue o di reti fognarie (..) senza l’autorizzazione” (alla quale va assimilata quella di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 133, comma 2, che è stata contestata nel caso in esame), non costituisce un illecito “proprio”, atteso che essa non presuppone una particolare qualità del soggetto attivo, che può identificarsi non solo nel titolare dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto, che apra nuove vie di scarico, ma anche in qualsiasi soggetto che gestisca o comunque detenga di fatto la condotta di scarico non autorizzata (cfr. Cass. 3176/2006, richiamata nella sentenza impugnata). La Corte d’appello, con accertamento in fatto non suscettibile di sindacato in questa sede, ha rilevato che la società Mediterranea delle Acque aveva la gestione operativa dell’impianto che è stato interessato dalla contestazione oggetto di causa, il che è sufficiente per fondare in capo alla stessa la qualità di obbligato in solido. La Corte ha poi ritenuto la sostanziale irrilevanza delle vicende scaturenti dalla convenzione ATO/AMGA del 5 ottobre 2009, rimarcando come quella esercitata dalla società ricorrente fosse una gestione “salvaguardata” che assicurava al gestore operativo una piena autonomia gestionale.

6. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale della sezione seconda civile, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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