Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17726 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 25/08/2020), n.17726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36048-2018 proposto da:

G.G.A., IREN ACQUA SPA (già MEDITERRANEA DELLA

ACQUE SPA), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA UGO BALZANI, 6, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRA MICALI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO MORINI;

– ricorrenti –

contro

CITTA METROPOLITANA DI GENOVA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLO

SCAGLIA, VALENTINA MANZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 858/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 24/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2019 dal Consigliere BESSO MARCHEIS CHIARA.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

CHE:

1. G.G.A. e la società Iren Acqua s.p.a. (già Mediterranea delle Acque s.p.a.) proponevano ricorso avverso l’ordinanza n. 15/A prot. gen. 65043/2012 con cui la Provincia di Genova aveva loro ingiunto il pagamento di Euro 6.010, a titolo di sanzione amministrativa per “il mancato rispetto dei limiti di cui alla tabella 1, sia in abbattimento percentuale sia in concentrazione, secondo le modalità fissate nell’allegato 5 alla parte III del D.Lgs. n. 152 del 2006, in violazione dell’art. 101” del medesimo decreto, in relazione all’impianto di depurazione c.d. Darsena nel Comune di Genova.

Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 2224 del 2013, rigettava l’opposizione.

2. Contro la sentenza proponevano appello G.G.A. e la società Iren Acqua s.p.a..

Con sentenza 24 maggio 2018, n. 858, la Corte d’appello di Genova, richiamato il proprio precedente n. 706 del 31/5/2017, respingeva l’appello, ritenendo legittimo il potere esercitato dalla Provincia di Genova in quanto conferitole dalla Regione Liguria in qualità di ente delegante titolare del relativo potere sanzionatorio; quanto ai motivi di opposizione riproposti da parte appellante, la Corte dava atto della loro infondatezza nel merito.

3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione G.G.A., in qualità di direttore della Gestione e Servizio di Mediterranea delle Acque s.p.a., e Iren Acqua s.p.a., con atto articolato in cinque motivi.

Resiste con controricorso la Città Metropolitana di Genova.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo (“violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, così come abrogativo della precedente formulazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56”) i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto delegabile il potere sanzionatorio riconosciuto alla Regione nella materia de qua dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135; la Corte avrebbe infatti errato nel ritenere esistente una valida delega regionale a fronte del disposto della L.R. n. 43 del 1995, art. 42, essendo tale legge stata emanata in attuazione della L. n. 36 del 1994, abrogata proprio dal D.Lgs. n. 152 del 2006, a nulla valendo il richiamo alla successiva L.R. n. 41 del 2014, art. 22, di interpretazione autentica del menzionato art. 42; inoltre, quand’anche si volesse ritenere esistente una tale delega, essa sarebbe da considerarsi incostituzionale, non potendo la legge regionale derogare a quanto stabilito dalla legge statale in materia ambientale ai sensi dell’art. 117 Cost..

Il motivo è infondato. Non perchè, come nota la controricorrente, si tratterebbe di vizio che il giudice d’appello non poteva rilevare trattandosi di incompetenza relativa non dedotta ab origine a sostegno dell’opposizione (sulla qualificazione del vizio come incompetenza relativa v. Cass. 23383/2018, Cass. 27909/2018 e Cass. 28108/2018): la Corte d’appello ha infatti ritenuto che l’esame della questione non fosse precluso, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio e non vi è stato un motivo di ricorso incidentale sul punto, così che la questione deve ritenersi effettivamente devoluta all’esame di questa Corte.

Al riguardo il Collegio ritiene che vada condivisa la valutazione del giudice d’appello che ha riscontrato la sussistenza di potestà sanzionatoria della Provincia per effetto di una valida delega da parte della Regione:

a. Non c’è violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), e neppure dell’art. 118 Cost., commi 1 e 2, allorquando la Regione delega alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto la stessa delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto che ciascuna Regione è abilitata a determinare, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali (cfr. la sentenza n. 380 del 2007 della Corte Costituzionale).

b. Inoltre non può ritenersi di per sè risolutivo il differente tenore normativo del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, rispetto a quanto invece dettato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, in relazione all’omessa riproduzione in quest’ultimo della salvezza delle attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità. Ritiene il Collegio che proprio la disamina del quadro normativo e dei principi generali depongano per la correttezza della soluzione adottata dalla Corte di Genova. Innanzitutto, va sottolineato lo stesso tenore testuale dell’art. 135, comma 1 (“In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione della sanzioni amministrative pecuniarie, provvede, con ordinanza ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 18 e seguenti, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”) nella parte in cui, pur non ripetendo l’inciso del previgente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, contiene la clausola di salvezza “fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”. Tale clausola di salvaguardia conserva la distribuzione delle attribuzioni amministrative sanzionatorie a diversi livelli ed impedisce di ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre un principio inderogabile di competenza regionale nell’applicazione delle sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico. Ancora, va considerata la disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, in base al quale “fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175”. Il riferimento specifico e congiunto ad “atti e provvedimenti” induce a ritenere che il legislatore, allo scopo di evitare vuoti normativi in una materia così importante e di rilevanza costituzionale, ha inteso fare “salvi” sia i provvedimenti amministrativi che gli atti normativi adottati in base alla previgente disciplina abrogata e, dunque, anche le leggi regionali emanate in applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, il che induce ad affermare che non possa sostenersi la tacita abrogazione della Legge della Regione Liguria n. 43 del 1995, art. art. 42, comma 2, lett. b), dimostrando la volontà legislativa di non considerare ex se le disposizioni emanate in contrasto con norme precedenti e quindi automaticamente abrogative delle stesse. Inoltre, la tesi secondo cui vi sarebbe la scelta del legislatore di sottrarre alle Regioni la potestà normativa ed organizzativa in materia di tutela delle acque dall’inquinamento prevedendo un implicito divieto di delega ad altri enti territoriali delle funzioni amministrative attribuitegli, appare in contrasto con l’intero impianto sistematico del D.Lgs. n. 152 del 2006, ed in particolare con le norme dello stesso decreto che attribuiscono alle Regioni e ad altri enti locali ampi poteri normativi ed amministrativi in materia (cfr. gli art. 101, art. 124, commi 3 e 7).

c. Una volta esclusa, alla luce dell’impianto normativo previsto dal citato D.Lgs. n. 152 del 2006, la correttezza della tesi della tacita abrogazione delle eventuali leggi regionali preesistenti che abbiano contemplato una delega alle Province del potere sanzionatorio in tale materia, occorre, poi, considerare che la Regione Liguria, dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, è intervenuta nella materia della delega della funzione sanzionatoria degli illeciti amministrativi previsti dalla normativa statale con la L.R. n. 41 del 2014, che con una disposizione avente carattere di interpretazione autentica, e quindi con efficacia retroattiva, ha confermato l’operatività della previsione di cui alla L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b) e successive modifiche anche alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135.

Correttamente il giudice d’appello ha attribuito rilevanza a tale ultima disposizione legislativa regionale che legittima l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione da parte della Provincia, non potendo certo essere disapplicata e non presentando profili di illegittimità costituzionale che ne impongano la rimessione al vaglio della Corte Costituzionale. Infatti, proprio alla luce della ricordata competenza trasversale in materia di ambiente, deve reputarsi che, se la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, dettando standard uniformi di tutela, è stata affidata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), tuttavia ciò non esclude il concorrente potere normativo delle Regioni e delle Province autonome su specifici interessi giuridicamente tutelati.

2. Il secondo motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto infondata l’eccepita nullità della notificazione dell’ordinanza-ingiunzione: il verbale di contestazione della violazione, presupposto dell’atto opposto, è stato notificato ai ricorrenti in data 12 maggio 2008, ossia due mesi dopo la scadenza del termine di novanta giorni dall’avvenuto campionamento (12 dicembre 2007), termine che sarebbe comunque da considerarsi scaduto anche se lo si facesse decorrere dalla diversa data di comunicazione dei risultati delle analisi alla Provincia (31 gennaio 2008).

La doglianza è inammissibile occorrendo a tal fine richiamare la analoga soluzione alla quale è pervenuta questa Corte nell’ordinanza n. 28108/2018. Sulla premessa corretta che il termine perentorio previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, decorre dall’accertamento della violazione, e cioè dal momento di completamento di tutte le indagini ritenute necessarie all’acquisizione della piena conoscenza dei fatti e della determinazione della sanzione da parte dell’autorità procedente (ex plurimis, Cass. 16/04/2018, n. 9254; Cass. 02/12/2011, n. 25836; a partire da Cass., sez. un., 9/03/2007, n. 5395), la Corte d’appello ha rilevato che i referti analitici dei campionamenti eseguiti da Mediterranea erano pervenuti alla Provincia il 2 agosto 2007 e il 31 gennaio 2008 e quelli effettuati da (OMISSIS) con note trasmesse dal 2 aprile 2007 al 9 gennaio 2008 (quest’ultima ricevuta il 18 gennaio 2008) sicchè risultava congruo il tempo impiegato dal predetto Ente – dal 1 febbraio al 21 aprile 2008, data del verbale di accertamento – per acquisire la piena conoscenza della violazione per cui è causa, attesa l’esigenza di analizzare i dati, calcolare le percentuali di abbattimento dei valori rilevati in entrata ed in uscita e di porli tra loro in relazione per accertare il numero dei superamenti nell’anno 2007. La valutazione di congruità del tempo necessario a tradurre la constatazione in accertamento integra d’altro canto un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità ove assistito, come nella specie, dal crisma della plausibilità (v. Cass. 28108/2018 sopra ricordata).

3. Il terzo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla L. n. 689 del 1981, art. 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto infondata l’eccezione di “nullità e/o annullabilità del verbale costituente atto presupposto dell’ordinanza per indeterminatezza della contestazione”, non essendo “dato comprendere quali campioni risulterebbero effettivamente non conformi ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 1” e non rilevando che al verbale sia allegata una tabella allegata.

Il motivo è infondato. La Corte di merito, con valutazione in fatto, ha riscontrato che la lettura combinata del verbale e della tabella, che del primo costituiva allegato e parte integrante, assicurava in maniera agevole di verificare in relazione ai vari campionamenti effettuati quali fossero quelli riscontrati come difformi (pag. 11 della sentenza), affermazione questa che rientra nell’insindacabile valutazione rimessa al giudice di merito.

4. Il quarto motivo riporta “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla tabella 2, allegato 5, parte III, del D.Lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto infondata l’eccezione di insussistenza dell’illecito contestato ai ricorrenti a fronte della dichiarata conformità ai limiti di legge – da parte dell’Arpa – dei campionamenti ritenuti non conformi dalla Provincia di Genova.

La doglianza è infondata. Il giudice d’appello ha osservato che “gli accertamenti dell'(OMISSIS) si riferiscono ai soli valori di concentrazione e non anche al limite in percentuale di detrazione”, percentuale quest’ultima rispetto alla quale – ha concluso il giudice – i campioni sono risultati non conformi per superamento dei limiti di valore (v. la sentenza impugnata, pp. 13-14). Si tratta di conclusione che si sottrae alla censura articolata con il motivo, giacchè l’esito decisorio muove dalla corretta premessa secondo cui un campionamento, per essere ritenuto conforme, deve rispettare entrambi i limiti, di concentrazione e in percentuale di riduzione.

5. Il quinto motivo riporta “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla tabella 2, allegato 5, parte III, del D.Lgs. n. 152 del 2006 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto infondata l’eccepita insussistenza dell’illecito contestato ai ricorrenti, non essendo risultati superati tutti e tre gli indici (BOD, COD, Solidi Sospesi) indicati dalla normativa richiamata.

Il motivo va rigettato. E’ anzitutto infondata la tesi secondo cui, ai fini della sussistenza della violazione, sarebbe necessario il superamento contestuale di tutti e tre i parametri. La Corte d’appello ha rilevato correttamente che non esiste una norma che espressamente escluda la violazione di legge se i campioni di acqua superino alcuni soltanto e non tutti i parametri tabellari, laddove l’allegato 1 del D.Lgs. n. 152 del 2006, al punto 4 prevede che i valori limite fissati dalla tabella 1 debbono essere rispettati singolarmente. L’interpretazione adottata dalla Corte territoriale risulta confermata dalla specifica previsione, contenuta nell’allegato 5, in forza della quale la non conformità di ciascuno dei parametri in oggetto oltre determinate percentuali impedisce di considerare lo scarico in regola, a prescindere dal rapporto tra il numero dei campionamenti effettuati nell’anno solare e il numero dei campioni risultati non conformi. Anche in base all’interpretazione sistematica, non sembra dubitabile che i valori limite fissati dalla tabella 1 debbano essere rispettati singolarmente (conf. Cass. n. 28108/2018).

Quanto poi alla deduzione secondo cui la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore non rilevando che la normativa in esame consente di avere un numero di campioni non conformi entro una data soglia di tollerabilità, numero destinato a variare in ragione del numero totale di campioni prelevati (nel caso concreto ventisette, numero che peraltro secondo i ricorrenti non sarebbe preciso, rilievo rispetto al quale v. la puntualizzazione del giudice d’appello, p. 17 della sentenza impugnata) e che nella fattispecie, tenuto conto del numero dei prelevamenti, non risultava superata la soglia in esame, la censura non appare in grado di confutare l’argomentazione del giudice d’appello che ha escluso l’applicabilità di tale tolleranza perchè diciotto campioni erano stati ritenuti non conformi e ha di conseguenza correttamente considerato lo scarico irregolare.

6. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale della sezione seconda civile, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

 

 

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