Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17726 del 06/07/2018


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 17726 Anno 2018
Presidente: CHIARINI MARIA MARGHERITA
Relatore: CIGNA MARIO

SENTENZA

sul ricorso 4647-2016 proposto da:
MASCOLO

ROSA,

MASCOLO

ANTONIO,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA PAGLIA 42, presso lo
studio dell’avvocato MARIAVITTORIA VITALE,
rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONIO MESSINA,
ALBERTO VITALE giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –

2018
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contro

ATTANASIO RAFFAELE, elettivamente domiciliato in ROMA,
V.DI VAL FIORITA 90, presso lo studio dell’avvocato
ANITA MANGIALETTO, rappresentato e difeso

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Data pubblicazione: 06/07/2018

dall’avvocato FRANCESCO ATTANASIO giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 2646/2015 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 10/06/2015;

udienza del 05/02/2018 dal Consigliere Dott. MARIO
CIGNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto;

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udi7a la relazione della causa svolta nella pubblica

FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Torre Annunziata, in parziale accoglimento dell’opposizione
proposta da Mascolo Antonio e Mascolo Rosa avverso il decreto ingiuntivo per
euro 28.334,17, notificato ad istanza dell’avvocato Attanasio Raffaele ed
avente ad oggetto somme per compensi dovuti per prestazioni professionali di
quest’ultimo, ha ritenuto valido il patto di quota lite intercorso tra le parti in

223/2006 -c.d. decreto Bersani- che aveva abrogato la norma che ne sanciva il
divieto), ma non dovute le spese generali ed errata la predeterminazione
dell’IVA; ha quindi revocato il d.i. opposto, e condannato gli opponenti al
pagamento della minor somma di euro 20.014,25, oltre accessori.
La Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello; in particolare la Corte, per
quanto ancora rileva, ha ritenuto che con la stipula del patto di quota lite,
legittimo (come detto) in virtù dell’art. 2 del predetto d.l. 223/2006, le parti
poteva derogare anche ai compensi tariffari massimi; al riguardo la Corte ha
evidenziato che la previsione della possibilità di pattuire compensi “sganciati”
dalla tariffa professionale e riferiti al risultato perseguito ed ottenuto (art. 2,
comma 1 lett. a d.l. cit.) non poteva che comportare che i detti compensi
potessero essere anche superiore ai massimi tariffari; la Corte, infine, ha
ritenuto irrilevanti le sollevate obiezioni di natura deontologica, concernenti un
piano diverso rispetto a quello della validità dell’accordo.
Avverso detta sentenza Mascolo Antonio e Mascolo Rosa hanno proposto
ricorso per Cassazione, affidato ad un motivo.
Ha resistito con controricorso Attanasio Raffaele.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo i ricorrenti -denunziando violazione e falsa applicazione
degli artt. 2, comma 1, lett. a) e comma 2, del d.l. 223/2006, convertito in
Legge 248/06, in relazione al capo terzo, e dell’art. 1, commi 2 e 3 del d.m.
127/04 e degli artt. 1261, 1339, 1419 e 2233 cc, no-ilchè violazione degli artt.
43 e 45 codice deontologico ed erroneità e contradd – rietà della motivazione-

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data 15-12-2009 (in quanto sottoscritto nell’arco temporale di vigenza del d.l.

si dolgono che la Corte territoriale, nel ritenere possibile pattuire un compenso
svincolato dai massimi tariffari, non abbia tenuto in considerazione l’art. 2,
comma 2, del cit. di, che espressamente esclude dall’abrogazione (prevista
dal comma 1 dello stesso articolo) le disposizioni riguardanti “le eventuali
tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti”; i ricorrenti
sostengono, inoltre, la rilevanza del codice deontologico, atteso che gli artt. 43
e 45 del detto codice avevano puntualizzato che il pur ammesso (con il d.l.

2233, comma 2, ai sensi del quale i compensi dovevano comunque essere
proporzionati all’importanza dell’opera; nel caso di specie il richiesto compenso
(euro 25.000,00, pari al 50% di quanto ottenuto dai clienti per l’esito positivo
della questione trattata) era da ritenersi non proporzionato all’attività svolta
dall’avvocato Attanasio, che si era limitato all’inoltro di una diffida e di una
raccomandata, cui era seguita la definizione bonaria della vicenda; in
conclusione, quindi, ha chiesto di ritenere il patto di quota lite in questione
affetto da nullità parziale ex art. 1419 cc per contrasto con il su menzionato
art. 2, comma 2, del cit. d.I., con inserzione automatica ex art. 1339 cc della
disciplina legale rinveniente dal d.m. 127/04 (capo terzo, art. 1, commi 2 e 3)
e conseguente compenso del professionista parametrato a detta normativa.
Il motivo è infondato.
Il patto di quota lite in esame è stato stipulato il 15-12-2009 ed è relativo
all’attività di assistenza prestata dall’avvocato Attanasio Raffaele in favore degli
opponenti Mascolo Antonio e Mascolo Rosa in una controversia conclusasi con
una transazione, nella quale era prevista la corresponsione da parte di Telecom
in favore dei proprietari Mascolo dell’indennità di occupazione di euro
50.000,00 ed il rilascio di un immobile con lastrico solare dove era stato
installato l’impianto di telecomunicazioni locato a Blu Spa, cui era subentrata
Telecom; detto patto prevedeva che il professionista avrebbe avuto diritto al
50% dell’importo a recuperare dalla società.

Bersani) patto di quota lite doveva comunque rispettare il disposto dell’art.

Non vi è dubbio, pertanto, che il detto patto è stato stipulato nella vigenza del
d. I. 223/06 (c.d. decreto Bersani), convertito in L. 248/06, ed è quindi
regolamentato dalle disposizioni in esso contenute.
Al fine di una migliore comprensione della questione in esame, appare
opportuno procedere ad un rapido excursus normativo.
Come è noto, invero, l’art. 2233, comma 3, cc, nella formulazione precedente

procuratori ed i patrocinatori di stipulare con i loro clienti il c.d. “patto di quota
lite”, ossia, come recitava lo stesso art. 2233 cc un “patto relativo ai beni che
formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio sotto pena di
nullità e dei danni”; la ratio del divieto (in continuità sistematica con l’art. 1261
cc, che tuttora prevede, anche per gli avvocati, il più generale divieto di
cessione dei crediti litigiosi) è sempre stata individuata nell’esigenza di tutelare
l’interesse del cliente nonché la dignità e la moralità della professione forense,
impedendo la partecipazione del professionista agli interessi economici esterni
della prestazione.
Il d.l. 223/06, convertito in L. 248/06, al fine di tutelare la concorrenza nel
settore dei servizi professionali, ha abrogato tutte le disposizioni che
prevedevano, con riferimento alle attività libero professionali ed intellettuali,
“l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti” (art. 2, comma 1 lett.
a), facendo salve le disposizioni riguardanti “le eventuali tariffe massime
prefissate in via generale a tutela degli utenti” (art. 2, comma 2); lo stesso
d.I., inoltre, ha previsto la nullità, se non redatti in forma scritta, dei patti
conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono
i compensi professionali (art. 2, comma 2 bis, che ha così sostituito il comma 3
dell’art. 2233 cc); il detto d.I., quindi, ha abrogato l’obbligatorietà delle tariffe
minime e, con la generale abrogazione del divieto di pattuire compensi
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, ha espressamente
eliminato il divieto di patto di quota lite, fatto salvo l’obbligo di dare all’accordo
la forma scritta; lo stesso d.I., infine, ha imposto, entro un anno, a pena di

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l’entrata in vigore del detto d.I., prevedeva il divieto per gli avvocati, i

nullità, l’adeguazione dei codici deontologici professionali alla nuova normativa
(art. 2, comma 3).
L’art. 9 del d.l. 24-1-2012, convertito in L. 27/12, ha poi previsto l’abrogazione
definitiva delle tariffe delle professioni regolamentate, facendo così venir meno
oltre i minimi anche i massimi ed introducendo una nuova disciplina del
compenso professionale; con particolare riferimento alla professione forense, la

compensi è libera (art. 2, comma 3)1 ha poi stabilito per i compensi la possibile
pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto
uno o più affari, in base all’assolvimento ed ai tempi di erogazione della
prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l’intera attività, a percentuale
sul valore dell’affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a
livello personale, il destinatario della prestazione (art. 13 comma 3) ed ha
esplicitamente previsto (art. 13, comma 4) il divieto dei “patti con i quali
l’avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene
oggetto della prestazione o della ragione litigiosa”, reintroducendo in tal modo
il divieto del patto di quota lite.
Delineato il quadro legislativo, e ribadito che il patto di quota lite in
questione è soggetto alle disposizioni del su menzionato di. 223/06,
convertito in L. 248/06, questione principale da chiarire è se con il
detto patto, espressamente consentito dal predetto d.I., si possa o
meno superare il massimo tariffario; tanto in considerazione che il
citato decreto, da una parte (art. 2, comma 1, lett. a), consente il detto
pattc(ed elimina l’obbligo di rispettare il minimo tariffario), dall’altra
(art. 2, comma 2), fa salve le tariffe massime.
Questa Corte ritiene che la previsione dell’art. 2, comma 1 lett. a),
eliminando in modo “secco” ed univoco il divieto di pattuire compensi
parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, non imponga
l’osservanza dei massimi tariffari (fatta salva nel successivo comma);
in primo luogo in quanto il comma 1 contiene una disposizione speciale
(concernente solo le tariffe massime) rispetto al tenore generale del

legge professionale (L. 247/12), pur stabilendo che “la pattuizione dei

comma 2; in secondo luogo, e soprattutto, in quanto, l’art. 2233 cc
pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di
determinazione dell’onorario spettante al professionista, considerando
in primo luogo l’accordo delle parti e, solo in mancanza di convenzioni,
le tariffe professionali, gli usi e la decisione del giudice; le tariffe
massime, cioè, hanno un ruolo sussidiario e recessivo rispetto
all’accordo delle parti, e continuano ad essere obbligatorie, in base al

e cliente non sia stato concluso un patto; sul punto si condivide quanto già
statuito da questa S.C., secondo cui “Il compenso per prestazioni professionali
va determinato in base alla tariffa, ed adeguato all’importanza dell’opera, solo
ove non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una
garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione,
attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti
e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima, ed in ordine successivo,
alle tariffe ed agli usi ed, infine, alla determinazione del giudice …La violazione
dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non
importa la nullità, ex art. 1418, comma 1, c.c., del patto in deroga, in quanto
trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell’intera
collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale” (Cass.
1900/2017); detto principio, enunciato con riferimento all’obbligatorietà dei
minimi tariffari, è da ritenersi applicabile per identità di ratio, anche nel caso di
specie, concernente i massimi tariffari; ne consegue che, come detto, una
volta affermata la legittimità del patto di quota lite ed il ruolo sussidiario delle
tariffe rispetto alla volontà delle parti, è consentito a quest’ultime, attraverso il
detto patto, accordarsi per un compenso anche superiore al massimo tariffario.
Irrilevanti sono, inoltre, nel presente giudizio civile, le asserite violazioni del
codice deontologico, operanti (come correttamente affermato nella impugnata
sentenza) su un piano diverso rispetto alla validità dell’accordo.
Infondata è anche la doglianza concernente l’asserita sproporzione tra il
compenso, come risultante dal patto di quota lite, e la prestazione resa, con
conseguente violazione dell’art. 2233, comma 2 (secondo cui la misura del

disposto dell’art. 2, comma 2, di. cit., solo nel caso in cui tra avvocato

compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera ed al decoro della
professione).
La deduzione di siffatta sproporzione non tiene, invero, in debito conto che, nel
caso di specie, la prestazione resa dal professionista ha comportato, oltre al
pagamento dell’indennità di occupazione, anche il rilascio dell’immobile; in ogni
modo, è irrilevante nel presente giudizio, non potendo la sproporzione, ove

del patto, ma, al limite, una (non richiesta) riconduzione ad equità.
Alla stregua di quanto sopra, il ricorso va, quindi, rigettato.
Attesa la novità della questione trattata, si ritiene sussistano giusti motivi per
dichiarare compensate tra le parti le spese di lite del presente giudizio di
legittimità
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, dpr 115/2002, poiché il ricorso è stato
presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate tra le parti le spese di lite del
presente giudizio di legittimità; dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso(principa19.
Così deciso in Roma il 5-2-2018
Il

nsigliere est.
Mario Cigna

sussistente, comportare (come richiesto dai ricorrenti) una non prevista nullità

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