Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17724 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 10/12/2019, dep. 25/08/2020), n.17724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29844-2018 proposto da:

G.G.A., IREN ACQUA SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

UGO BALZANI, 6, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA MICALI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO

MORINI;

– ricorrenti –

contro

CITTA METROPOLITANA DI GENOVA, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CARLO

SCAGLIA, VALENTINA MANZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 298/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 15/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2019 dal Consigliere BESSO MARCHEIS CHIARA.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

CHE:

1. G.G.A. e la società Mediterranea delle Acque s.p.a. proponevano ricorso avverso l’ordinanza n. 4/A prot. gen. (OMISSIS) con cui la Provincia di Genova aveva loro ingiunto il pagamento di Euro 3.010 a titolo di sanzione amministrativa per mancata conformità dei referti di un campionamento ai parametri tabellari di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006 (Norme in materia ambientale), con violazione dell’art. 101, comma 1 del medesimo D.Lgs., in relazione all’impianto di depurazione di acque reflue in Genova Pegli. I ricorrenti deducevano in particolare la mancata osservanza del termine di 90 giorni previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14; la violazione del contraddittorio nell’esecuzione dell’analisi dei campioni prelevati dall'(OMISSIS); la necessità che il superamento dei limiti riguardasse tutti i parametri (BOD, COD e SST) previsti; l’incompletezza e la contraddittorietà dell’ordinanza impugnata.

Il Tribunale di Genova, con sentenza n. 1681 del 2016, accoglieva l’opposizione e dichiarava nulla l’ordinanza impugnata, rilevando d’ufficio il difetto assoluto di potere sanzionatorio in capo alla Città Metropolitana (già Provincia) di Genova.

2. Contro la sentenza proponeva appello la Città Metropolitana di Genova, lamentando l’erronea declaratoria di carenza di potestà sanzionatoria, l’erronea rilevazione ufficiosa di tale carenza, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, della L. n. 15 del 2015, art. 12-septies e della L.R. n. 43 del 1995.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza 15 marzo 2018, n. 298, ha accolto il gravame e rigettato l’opposizione. Richiamato il proprio precedente n. 706 del 31 maggio 2017, la Corte ha anzitutto affermato il potere sanzionatorio in capo alla Provincia (ora Città Metropolitana); quanto ai motivi dell’opposizione, non esaminati in primo grado giacchè dichiarati assorbiti e riproposti da parte appellata, la Corte li ha ritenuti infondati.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ricorrono G.G.A., in qualità di direttore di Gestione e Servizio di Mediterranea delle Acque s.p.a., e Iren Acqua s.p.a. (già Mediterranea delle Acque s.p.a.), sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso la Città Metropolitana di Genova.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo (“violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, così come abrogativo della precedente formulazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56”) i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello abbia ritenuto delegabile il potere sanzionatorio riconosciuto alla Regione nella materia de qua dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135; la Corte avrebbe infatti errato nel ritenere esistente una valida delega regionale a fronte del disposto della L.R. n. 43 del 1995, art. 42, essendo tale legge stata emanata in attuazione della L. n. 36 del 1994, abrogata proprio dal D.Lgs. n. 152 del 2006, a nulla valendo il richiamo al successivo la L.R. n. 41 del 2014, art. 22, di interpretazione autentica del menzionato art. 42; inoltre, quand’anche si volesse ritenere esistente una tale delega, essa sarebbe da considerarsi incostituzionale, non potendo la legge regionale derogare a quanto stabilito dalla legge statale in materia ambientale ai sensi dell’art. 117 Cost..

Il motivo è infondato. Non perchè, come nota la controricorrente, si tratterebbe di vizio che il giudice d’appello non poteva rilevare trattandosi di incompetenza relativa non dedotta ab origine a sostegno dell’opposizione (sulla qualificazione del vizio come incompetenza relativa v. Cass. 23383/2018, Cass. 27909/2018 e Cass. 28108/2018). La Corte d’appello ha infatti ritenuto che l’esame della questione non fosse precluso, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio e non vi è stato un motivo di ricorso incidentale sul punto, così che la questione deve ritenersi effettivamente devoluta all’esame di questa Corte.

Al riguardo il Collegio ritiene che vada condivisa la valutazione del giudice d’appello che ha riscontrato la sussistenza di potestà sanzionatoria della Provincia per effetto di una valida delega da parte della Regione:

a. Non c’è violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), e neppure dell’art. 118 Cost., commi 1 e 2, allorquando la Regione delega alle Province il relativo potere autorizzatorio, in quanto la stessa delega non risulta lesiva di alcun principio costituzionale ed anzi è coerente con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, posto che ciascuna Regione è abilitata a determinare, in conformità al proprio ordinamento, le funzioni amministrative che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, provvedendo contestualmente a conferire le altre agli enti locali (cfr. la sentenza n. 380 del 2007 della Corte Costituzionale).

b. Inoltre non può ritenersi di per sè risolutivo il differente tenore normativo del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, rispetto a quanto invece dettato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135, in relazione all’omessa riproduzione in quest’ultimo della salvezza delle attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità. Ritiene il Collegio che proprio la disamina del quadro normativo e dei principi generali depongano per la correttezza della soluzione adottata dalla Corte di Genova. Innanzitutto, va sottolineato lo stesso tenore testuale dell’art. 135 comma 1 (“In materia di accertamento degli illeciti amministrativi, all’irrogazione della sanzioni amministrative pecuniarie, provvede, con ordinanza ingiunzione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, artt. 18 e seguenti, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio è stata commessa la violazione, ad eccezione delle sanzioni previste dall’art. 133, comma 8, per le quali è competente il comune, fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”) nella parte in cui, pur non ripetendo l’inciso del previgente il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 56, contiene la clausola di salvezza “fatte salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità”. Tale clausola di salvaguardia conserva la distribuzione delle attribuzioni amministrative sanzionatorie a diversi livelli ed impedisce di ritenere che il legislatore abbia inteso introdurre un principio inderogabile di competenza regionale nell’applicazione delle sanzioni amministrative in materia di inquinamento idrico. Ancora, va considerata la disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 170, in base al quale “fino all’emanazione di corrispondenti atti adottati in attuazione della parte terza del presente decreto, restano validi ed efficaci i provvedimenti e gli atti emanati in attuazione delle disposizioni di legge abrogate dall’art. 175”. Il riferimento specifico e congiunto ad “atti e provvedimenti” induce a ritenere che il legislatore, allo scopo di evitare vuoti normativi in una materia così importante e di rilevanza costituzionale, ha inteso fare “salvi” sia i provvedimenti amministrativi che gli atti normativi adottati in base alla previgente disciplina abrogata e, dunque, anche le leggi regionali emanate in applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, il che induce ad affermare che non possa sostenersi la tacita abrogazione della legge della Regione Liguria n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), dimostrando la volontà legislativa di non considerare ex se le disposizioni emanate in contrasto con norme precedenti e quindi automaticamente abrogative delle stesse. Inoltre, la tesi secondo cui vi sarebbe la scelta del legislatore di sottrarre alle Regioni la potestà normativa ed organizzativa in materia di tutela delle acque dall’inquinamento prevedendo un implicito divieto di delega ad altri enti territoriali delle funzioni amministrative attribuitegli, appare in contrasto con l’intero impianto sistematico del D.Lgs. n. 152 del 2006 ed in particolare con le norme dello stesso decreto che attribuiscono alle Regioni e ad altri enti locali ampi poteri normativi ed amministrativi in materia (cfr. gli art. 101, art. 124, commi 3 e 7).

c. Una volta esclusa, alla luce dell’impianto normativo previsto dal citato D.Lgs. n. 152 del 2006, la correttezza della tesi della tacita abrogazione delle eventuali leggi regionali preesistenti che abbiano contemplato una delega alle Province del potere sanzionatorio in tale materia, occorre, poi, considerare che la Regione Liguria, dopo l’emanazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, è intervenuta nella materia della delega della funzione sanzionatoria degli illeciti amministrativi previsti dalla normativa statale con la L.R. n. 41 del 2014, che con una disposizione avente carattere di interpretazione autentica, e quindi con efficacia retroattiva, ha confermato l’operatività della previsione di cui alla L.R. n. 43 del 1995, art. 42, comma 2, lett. b), e successive modifiche anche alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 135.

Correttamente il giudice d’appello ha attribuito rilevanza a tale ultima disposizione legislativa regionale che legittima l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione da parte della Provincia, non potendo certo essere disapplicata e non presentando profili di illegittimità costituzionale che ne impongano la rimessione al vaglio della Corte Costituzionale. Infatti, proprio alla luce della ricordata competenza trasversale in materia di ambiente, deve reputarsi che, se la potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza, dettando standard uniformi di tutela, è stata affidata in via esclusiva allo Stato, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. s), tuttavia ciò non esclude il concorrente potere normativo delle Regioni e delle Province autonome su specifici interessi giuridicamente tutelati.

2. Il secondo motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione del L. n. 689 del 1981, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, per avere la Corte d’appello ritenuto infondata l’eccepita nullità della notificazione dell’ordinanza-ingiunzione, eccezione non esaminata in prime cure perchè assorbita: il verbale di contestazione di violazione, presupposto dell’atto opposto, è stato notificato ai ricorrenti in data 31 agosto 2009, ossia quasi un anno dopo la scadenza del termine di novanta giorni previsto dal richiamato art. 14; e ciò tanto ove si faccia decorrere tale termine dalla data del sopralluogo effettuato dai tecnici dell’Arpa (14 luglio 2008) quanto che lo si faccia decorrere dalla data dell’ultimo invio di campioni al laboratorio (19 settembre 2008).

La doglianza è inammissibile occorrendo a tal fine richiamare la analoga soluzione alla quale è pervenuta questa Corte nell’ordinanza n. 28108/2018. Sulla premessa corretta che il termine perentorio previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, decorre dall’accertamento della violazione, e cioè dal momento di completamento di tutte le indagini ritenute necessarie all’acquisizione della piena conoscenza dei fatti e della determinazione della sanzione da parte dell’autorità procedente (ex plurimis, Cass. 16/04/2018, n. 9254; Cass. 02/12/2011, n. 25836; a partire da Cass., sez. un., 9/03/2007, n. 5395), la Corte d’appello ha rilevato che gli ultimi referti analitici dei campionamenti erano pervenuti alla Provincia in data 19 settembre 2008, sicchè il tempo impiegato dal predetto Ente risultava congruo, attesa l’esigenza di analizzare i dati, calcolare le percentuali di abbattimento dei valori rilevati in entrata ed in uscita e di porli tra loro in relazione per accertare il numero dei superamenti. La valutazione di congruità del tempo necessario a tradurre la constatazione in accertamento integra d’altro canto un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità ove assistito, come nella specie, dal crisma della plausibilità (v. Cass. 28108/2018 sopra ricordata).

3. Il terzo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dall’art. 223 disp. att. c.p.p. e dalla L. n. 689 del 1981, art. 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”: la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto infondata l’eccepita nullità/annullabilità del verbale presupposto all’ordinanza impugnata per violazione del contraddittorio nella rilevazione della campionatura effettuata dai tecnici dell'(OMISSIS), che non avrebbero inviato alcuna comunicazione nè di avvio delle operazioni di analisi nè circa l’esito di tali analisi; la mera presenza di un incaricato della società ingiunta alle operazioni di prelievo dei campioni non escludeva l’obbligo di inviare alla società copia dei referti delle analisi di laboratorio.

Il motivo è infondato. Come ha rilevato il giudice d’appello, al prelievo del campione “ha partecipato P.G., quale referente operativo della società” e dal verbale di campionamento “risulta che è stato dato avviso ex art. 223 disp. att. c.p.p., del giorno di apertura dei campioni e di inizio delle operazioni di analisi”. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di tutela delle acque dall’inquinamento, l’avviso per l’espletamento delle analisi non deve essere necessariamente consegnato al titolare dello scarico, essendo sufficiente che venga dato a persona operante nell’insediamento e presente sul posto” (Cass. pen. 17419/2016). D’altro canto, “nella procedura di irrogazione delle sanzioni amministrative, nel caso in cui il campione prelevato non consenta, per sua natura, la ripetizione delle analisi, e non sia frazionabile secondo la metodica di cui al D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4 e del D.M. 16 dicembre 1993, art. 2, l’unico sistema che consente il rispetto delle garanzie è quello stabilito dall’art. 223 disp. att. c.p.c., sicchè il laboratorio incaricato degli accertamenti analitici dovrà dare avviso dell’inizio delle operazioni alle persone interessate, affinchè queste possano presenziare, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico, all’esecuzione delle operazioni stesse” (Cass. civ. 6769/2004).

4. Il quarto motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla tabella 2, allegato 5, parte III, del D.Lgs. n. 152 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”: la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto infondata l’eccezione di insussistenza dell’illecito, in quanto il campione da cui la Provincia ha individuato l’asserita violazione non eccede tutti e tre gli indici indicati dal richiamato decreto legislativo, così che la conclusione della Corte sarebbe “del tutto in contrasto con la soglia di tollerabilità di cui alla citata tabella 2”.

Il motivo va rigettato. E’ anzitutto infondata la tesi secondo cui, ai fini della sussistenza della violazione, sarebbe necessario il superamento contestuale di tutti i parametri indicati. La Corte d’appello ha rilevato correttamente che non esiste una norma che espressamente escluda la violazione di legge se i campioni di acqua superino alcuni soltanto e non tutti i parametri tabellari (nella specie, BOD, COD e SST), laddove l’allegato 1 al punto 4 prevede che i valori limite fissati dalla tabella 1 debbono essere rispettati singolarmente. L’interpretazione adottata dalla Corte territoriale risulta confermata dalla specifica previsione, contenuta nell’allegato 5, in forza della quale la non conformità di ciascuno dei parametri in oggetto oltre determinate percentuali impedisce di considerare lo scarico in regola, a prescindere dal rapporto tra il numero dei campionamenti effettuati nell’anno solare e il numero dei campioni risultati non conformi. Anche in base all’interpretazione sistematica, non sembra dubitabile che i valori limite fissati dalla tabella 1 debbano essere rispettati singolarmente (conf. Cass. n. 28108/2018).

Quanto poi alla deduzione secondo cui la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore non rilevando che la normativa in esame consente di avere un numero di campioni non conformi entro una data soglia di tollerabilità, numero destinato a variare in ragione del numero totale di campioni prelevati, e che nella fattispecie, tenuto conto del numero dei prelevamenti, non risultava superata la soglia in esame, la censura non appare in grado di confutare l’argomentazione del giudice d’appello che ha escluso l’applicabilità di tale tolleranza perchè un campione era stato ritenuto non conforme in quanto aveva ecceduto le percentuali di concentrazione che in base all’allegato 5 del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 3, impongono di reputare lo scarico non regolare. Infatti, come correttamente affermato dalla Corte d’appello, nel caso di specie non poteva trovare applicazione la soglia di tolleranza. La disposizione contenuta nell’allegato 5 prevede: “per i parametri sotto indicati, i campioni che risultano non conformi, affinchè lo scarico sia considerato in regola, non possono comunque superare le concentrazioni riportate nella tabella 1 oltre la percentuale sotto indicata: BOD5 100%; COD 100%; Solidi Sospesi 150%”. Il significato della previsione è chiaro: lo scarico non può essere considerato regolare se la non conformità dei campioni prelevati ai limiti tabellari è particolarmente significativa, avuto riguardo a determinati parametri. In altre parole, il legislatore reputa intollerabile la non conformità anche del singolo campione quando il livello di scostamento sia molto elevato, e quindi sanzionabile il gestore dell’impianto di depurazione (cfr. Cass. 27909/2018). Nel caso in esame il giudice d’appello ha rilevato come il campione risultato “non conforme” presentava un valore di concentrazione del parametro COD pari a 535 mgl e quindi un valore superiore del 100% rispetto al limite di cui alla tabella 1, allegato 5 parte III del D.Lgs. n. 152 del 2006 (cfr. pag. 25 della sentenza impugnata), con la conseguenza che tale palese superamento del limite imponeva di considerare lo scarico irregolare.

5. Il quinto motivo riporta ancora “violazione e/o falsa applicazione delle statuizioni previste dalla tabella 2, allegato 5, parte III, del D.Lgs. n. 152 del 2006 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”: la Corte d’appello ha ritenuto infondata l’eccepita insussistenza dell’illecito contestato ai ricorrenti quando il diverso campione prelevato dalla società ingiunta nei medesimi giorni in cui è avvenuto il campionamento dell'(OMISSIS) era conforme ai parametri prescritti.

La doglianza è infondata. Correttamente il giudice d’appello ha ritenuto rilevanti soltanto i campionamenti ritualmente eseguiti dall’ente competente (OMISSIS), che ha la funzione di organo di controllo. Invero le analisi operate dal gestore non sono suscettibili di modificare le risultanze probatorie dell’organo accertatore, nè di costituire presunzione alcuna circa l’illegittimità o l’inattendibilità della procedura di campionamento e dei suoi esiti.

6. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, il D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale della sezione seconda civile, il 10 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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