Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17722 del 29/07/2010

Cassazione civile sez. lav., 29/07/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 29/07/2010), n.17722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

N.L., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO LEOPOLDI

FREGOLI 8, presso lo studio dell’avvocato SALONIA ROSARIO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIANLUIGI LAUS, LUIGI

BILLI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio

dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende giusta

procura speciale ad litem a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 166/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

4/03/08, depositata il 21/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;

e’ l’Avvocato Generale in persona del Dott. IANNELLI Domenico.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Letta la sentenza del 21 luglio 2008 con cui la Corte d’appello di Bologna rigettava la domanda proposta da N.L., inquadrato nell’area Quadri (OMISSIS), nei confronti della spa Poste Italiane, per il conseguimento del diritto al superiore inquadramento in (OMISSIS), in ragione dello svolgimento di fatto delle superiori mansioni per un periodo superiore a tre mesi. Riteneva infatti la Corte adita, che il periodo necessario dovesse essere di sei mesi. Letto il ricorso del soccombente e il controricorso di spa Poste Italiane;

Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di inammissibilita’ del ricorso, oltre che di manifesta infondatezza, per mancanza del quesito di diritto in relazione all’unico motivo proposto per violazione dell’art. 2103 cod. civ.;

Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, perche’, in relazione al quesito di diritto, l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (applicabile, ai sensi dell’art. 27, comma 2, di detto decreto, ai ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze rese pubbliche in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso, come nella specie) stabilisce che l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso proposto ai sensi del precedente art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, e 4, debba concludersi, a pena d’inammissibilita’ del motivo, con la formulazione di un quesito di diritto. Attraverso questa specifica norma, in particolare, il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere. La formulazione del quesito funge da prova necessaria della corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimita’, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati. Ne consegue non solo che la formulazione del quesito di diritto previsto da detta norma deve necessariamente essere esplicita, in riferimento a ciascun motivo di ricorso (cfr., in tal senso, Sez. un, n. 7258 del 2007, e Cass. n. 27130 del 2006), ma anche che essa non deve essere generica ed avulsa dalla fattispecie di cui si discute (cfr. Sez. un. n. 36 del 2007), risolvendosi altrimenti in un’astratta petizione di principio, percio’ inidonea tanto ad evidenziare il nesso occorrente tra la singola fattispecie ed il principio di diritto che il ricorrente auspica sia enunciato, quanto ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio, ad opera della Corte, in funzione nomofilattica.

Inoltre la Corte, con la sentenza 26 marzo 2007 n. 7258 delle sezioni unite, ha inoltre affermato che la disposizione non puo’ essere interpretata nel senso che il quesito di diritto si possa desumere implicitamente dalla formulazione del motivi di ricorso, perche’ una tale Interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma;

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 30,00, oltre duemila/00 Euro per onorari, nonche’ iva, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2010

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