Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17720 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 25/08/2020), n.17720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1619-2016 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso

lo studio dell’avvocato TERESA MARINA, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSIMO MAURIZIO DI BELLA;

– ricorrente –

contro

T.A. e L.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA Nicolò Piccinni, presso lo studio dell’Avv.to Lucia

Giusti, rappresentati e difesi dall’avvocato Giuseppe Furnari;

avverso la sentenza n. 1391/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 15/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2019 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA;

Udito il P.G. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Uditi gli Avvocati MASSIMO DI BELLA e GIUSEPPE FURNARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con preliminare di vendita del 24 febbraio 1992, T.A. si impegnava, anche per conto della moglie L.G., a vendere a S.F. un tratto di terreno sito in (OMISSIS), in catasto terreni foglio (OMISSIS), mappali (OMISSIS) FR e (OMISSIS), esteso circa mq. 200, per il corrispettivo di Lire 9.000.000 che veniva contestualmente versato al promissario acquirente, cui veniva consegnata la detenzione del bene.

Nel preliminare si conveniva che la stipula dell’atto pubblico doveva avvenire entro il mese di dicembre del 1994, pena per la parte inadempiente il pagamento di una penale preventivamente determinata in Lire 9 milioni.

2. Con citazione notificata il 12 maggio 2004 S.F. conveniva dinanzi al Tribunale di Catania, sezione distaccata di Adrano, i coniugi T. al fine di ottenere ex art. 2932 c.c., il trasferimento in suo favore del terreno promesso in vendita, di sentire dichiarare T.A. inadempiente all’obbligo di trasferire il bene entro il mese di dicembre del 1994 e conseguentemente di condannarlo al pagamento della somma di lire 9 milioni a titolo di risarcimento del danno preventivamente convenuto e di ottenere la riduzione del prezzo di vendita, poichè la misura del terreno trasferito era inferiore a quella indicata nel preliminare.

3. Si costituivano i convenuti, proponendo domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto e di condanna al risarcimento del danno.

4. Il Tribunale di Catania rigettava la domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare ex art. 2932 c.c., ed accoglieva la domanda di risoluzione avanzata dai convenuti in via riconvenzionale per inadempimento del S..

Da un lato il Tribunale non ravvisava alcun inadempimento nella condotta dei coniugi T. e dall’altro ravvisava invece un inadempimento nel comportamento del S. che condannava alla restituzione del fondo e al risarcimento del danno, da compensarsi con le somme ricevute dai convenuti a titolo di corrispettivo all’atto della stipula del contratto preliminare.

4. S.F. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

5. La Corte d’Appello di Catania rigettava il gravame. In primo luogo, rilevava la tardività dell’eccezione di prescrizione, in quanto proposta solo con la memoria di cui al primo termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 184 c.p.c., memoria depositata il 28 dicembre 2005, non nel termine di 20 giorni di cui all’art. 180 c.p.c., comma 2, nella formulazione applicabile ratione temporis.

5.1 Rigettava il secondo motivo di impugnazione relativo al luogo di notifica del telegramma con il quale il S. era stato convocato per la stipula del definitivo. Rilevava la Corte d’Appello che il S. era residente in via (OMISSIS) sin dal censimento del 1991, come emergeva dal certificato di residenza prodotto gli appellati. Inoltre, il suddetto indirizzo era stato indicato dallo stesso S. nell’atto di citazione introduttivo e nella transazione dell’11 giugno 2001, nè l’appellante aveva mai contestato quanto affermato degli appellati e cioè che negli anni era solo mutata la numerazione civica, prima coincidente con il n. 62 e, a seguito del censimento del 1999, trasformata nel n. 112.

5.2 Rigettava il terzo motivo di impugnazione relativo all’inadempimento nella condotta dei promittenti venditori, in quanto il termine fissato nel preliminare non aveva natura di termine essenziale come già affermato nella sentenza di primo grado, con decisione non oggetto di impugnazione da parte del S.. Sul punto, pertanto, doveva ritenersi sceso il giudicato. Quanto all’estensione del terreno, la stessa era indicata solo in modo orientativo e il presunto inadempimento riguardava solo 23 mq. rispetto ai 200 pattuiti. Peraltro, tra le parti era intervenuta in data 11 giugno 2001, una transazione in cui le stesse, al fine di risolvere delle divergenze, avevano rinviato la stipula del contratto definitivo successivamente alla misurazione del terreno e avevano stabilito che la determinazione del prezzo di vendita dipendeva dal risultato della misurazione rimessa al geometra G.A. sulla base di un prezzo al metro quadro di Lire 45.000. La suddetta scrittura non era stata adempiuta dal S. che non si era presentato per il giorno fissato per la stipula del definitivo.

6. S.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di cinque motivi.

7. La parte intimata si è costituita il giorno dell’udienza al fine di partecipare alla discussione.

8. Il ricorrente con memoria ha insistito nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 2727 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente eccepisce la violazione di cui all’art. 2727 c.c., che vieta la doppia presunzione, ovvero l’aver dedotto un fatto ignoto da un altro fatto ignoto. In particolare, partendo dall’unico dato certo della prova dell’avvenuta spedizione del telegramma di convocazione innanzi al notaio da parte del promissario acquirente, il giudice del merito e la Corte d’Appello hanno presunto l’effettivo buon fine della spedizione, nonostante il telegramma recasse un diverso indirizzo rispetto a quello utilizzato nelle precedenti comunicazioni intercorse tra le parti, tutte andate a buon fine. Dunque, la Corte d’Appello avrebbe applicato un’ulteriore presunzione ex art. 1335 c.c., ritenendo che l’atto di convocazione fosse conosciuto dal destinatario.

La decisione di attribuire valore di prova dell’avvenuta ricezione alla mera spedizione dell’atto sarebbe erronea e, trattandosi di atto recettizio, la prova dell’avvenuta ricezione o del fatto che l’atto era giunto all’indirizzo del destinatario gravava sul mittente.

Il ricorrente evidenzia che alcuni precedenti orientamenti di legittimità, cui la sentenza impugnata aveva aderito, riguardano casi differenti nei quali non si contesta il fatto che l’atto recettizio sia pervenuto all’indirizzo del destinatario, quanto piuttosto la mancata notizia dello stesso. Peraltro, in tali casi si fa riferimento ad atti spediti attraverso raccomandata con avviso di ricevimento e non ad un telegramma che presenta minori garanzie. Vi sarebbe un’ulteriore presunzione basata sull’ordinario regolare funzionamento delle Poste Italiane in quanto il telegramma non prevede alcuna informazione di ritorno all’ufficio postale circa l’avvenuta consegna.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

A parere del ricorrente sarebbe violato anche l’art. 2729 c.c., sui limiti legali di ammissibilità delle presunzioni con riferimento al meccanismo presuntivo di cui all’art. 1335 c.c..

In particolare, il giudice di appello avrebbe errato nel ravvisare un inadempimento contrattuale nella condotta del ricorrente, presumendo che lo stesso non si sarebbe presentato senza giustificato motivo dinanzi al notaio per la stipula del contratto definitivo, nonostante fosse stato presunto che lo stesso avesse ricevuto dal T. la convocazione, con telegramma del 16 ottobre 2001 presso lo studio notarile per il giorno 22 ottobre 2001.

La presunzione utilizzata dal giudice, ovverosia quella di ritenere l’atto giunto all’indirizzo del destinatario sulla base della sola spedizione, non sarebbe grave precisa e concordante, mancando la valutazione del contesto contrattuale e del fatto che il S. aveva già corrisposto integralmente il prezzo concordato per la vendita, o addirittura un importo superiore a quello dovuto, tenuto conto della minore estensione del terreno. Sulla base del complessivo quadro degli interessi coinvolti doveva presumersi pertanto che il ricorrente non aveva ricevuto alcuna comunicazione o che non aveva avuto conoscenza della convocazione presso il notaio. In tal senso vi era anche la conferma del notaio circa il fatto che la data del 22 ottobre 2001 era stata concordata solo con i T. data l’impossibilità di contattare il S.. Il telegramma non era giunto a destinazione, perchè indirizzato al civico 112 e non al 62 corrispondente a quello di residenza del ricorrente e luogo di invio di ogni altra comunicazione.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente ripropone la medesima censura circa il fatto che il telegramma era stato solo spedito e, peraltro, il numero di destinazione numero civico di destinazione errato sicchè non era stato assolto l’onere probatorio relativo all’effettiva ricezione della comunicazione, stante la contestazione da parte del destinatario.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 1335 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

A parere del ricorrente risulterebbe violato l’art. 1335 c.c., in quanto non vi era prova che l’atto fosse giunto all’indirizzo del destinatario ma solo della sua spedizione, peraltro, inviata ad un indirizzo diverso da quello del destinatario. Il meccanismo presuntivo di cui alla norma citata non può operare se il mittente non prova che la comunicazione è pervenuta all’indirizzo richiesto.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 1334 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura è sostanzialmente ripetitiva di quella formulata con il quarto motivo in relazione alla violazione dell’art. 1335 c.c., in quanto per gli atti recettizi la produzione degli effetti si verifica quando gli stessi sono portati a conoscenza dell’altra parte mentre nella specie mancherebbe la prova che l’atto era pervenuto all’indirizzo del destinatario e la comunicazione era avvenuta con mezzi diversi dalla raccomandata.

6. I motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

In estrema sintesi il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha erroneamente applicato gli artt. 1335 e 2727 c.c., presumendo che il telegramma con il quale egli era stato convocato per la stipula del definitivo sia giunto all’indirizzo del destinatario e, dunque, che si siano prodotti gli effetti di cui all’art. 1335 c.c..

Nella specie, infatti, vi era prova solo della spedizione del telegramma e, peraltro, ad un indirizzo diverso rispetto a quello corrispondente al domicilio del ricorrente. Inoltre, questi aveva tutto l’interesse a presentarsi per la stipula del definitivo, avendo già pagato interamente il prezzo del terreno oggetto del contratto preliminare.

6.1 Quanto alla presunzione di conoscenza della convocazione dinanzi al notaio a mezzo telegramma deve osservarsi che la sentenza della Corte d’Appello è conforme al consolidato principio di diritto secondo il quale: “La produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico” (ex plurimis Sez. 6- L, Ord. n. 511 del 2019).

In proposito occorre richiamare anche il seguente principio di diritto: “La presunzione di conoscibilità di un atto giuridico recettizio richiede la prova, anche presuntiva, ma avente i requisiti di cui all’art. 2729 c.c. (gravità, univocità e concordanza), che esso sia giunto all’indirizzo del destinatario, sicchè, in caso di contestazione, la prova della spedizione non è in sè sufficiente a fondare la presunzione di conoscenza, salvo il caso in cui, per le modalità di trasmissione dell’atto (raccomandata, anche senza avviso di ricevimento o telegramma), e per i particolari doveri di consegna dell’agente postale, si possa presumere l’arrivo nel luogo di destinazione. Ne consegue che, laddove l’invio dell’atto sia avvenuto per posta semplice, tale presunzione non opera, in quanto sarebbe eccessivamente gravoso per il destinatario l’onere della prova della impossibilità incolpevole di averne avuto cognizione” (Sez. 3, Sent. n. 20167 del 2014 e Sez. 3, Sent. n. 10284 del 2001).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, dunque, il telegramma, anche se non prevede l’avviso di ricevimento, attraverso la ricevuta di spedizione, consente di presumere sulla base di univoche e concludenti circostanze, quali la prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale e l’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, che l’atto sia giunto all’indirizzo del destinatario e, dunque, che sia da questi conosciuto ex art. 1335 c.c..

Peraltro, deve richiamarsi, la giurisprudenza di questa Corte che anche di recente ha affermato che: “Nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile nè agli artt. 2729 e 2697 c.c., nè a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto” (Sez. 5, Ord. n. 20748 del 2019).

Sulla base di quanto detto deve concludersi che, nel caso di specie, sussistono le univoche e concludenti circostanze che legittimano la presunzione della conoscenza in capo al ricorrente della convocazione a mezzo telegramma.

A questo proposito occorre evidenziare che il S., al fine di superare la presunzione e di affermare il suo difetto di conoscenza della convocazione, eccepisce che la spedizione del telegramma era avvenuta ad un indirizzo erroneo perchè il luogo del suo domicilio è via (OMISSIS) mentre l’indirizzo di spedizione del telegramma era via (OMISSIS).

Tali affermazioni non sono supportate da alcun elemento idoneo a contrastare il ragionamento presuntivo, in quanto l’indirizzo di spedizione del telegramma è quello del domicilio del ricorrente come risultante dagli atti di causa.

Infatti, la Corte d’Appello con ampia motivazione, ha posto in evidenza il fatto che il numero (OMISSIS) del comune di (OMISSIS) corrisponde al n. 62 della precedente numerazione, poi mutata a seguito del censimento del 1991, che ha appunto trasformato il numero (OMISSIS). Inoltre, dal certificato di residenza prodotto in giudizio dalla controparte nonchè dall’indirizzo indicato dallo stesso S. nell’atto di citazione la residenza del medesimo risulta in via (OMISSIS).

In relazione a tali circostanze il S. si limita a eccepire la differenza del numero civico, ma non offre alcuna argomentazione o elemento idoneo a superare le ragioni in relazione alle quali la Corte d’Appello ha ritenuto sussistenti le univoche e concludenti ragioni che legittimano la presunzione di conoscenza del telegramma.

Inoltre, anche la circostanza relativa alla mancanza di interesse del S. a non presentarsi per la stipula del definitivo, avendo egli pagato interamente il prezzo del terreno, non è supportata da sufficienti elementi e, sul punto, il ricorso difetta di specificità. Infatti dalla sentenza impugnata risulta che nel 2001 tra le parti vi era stata una transazione in virtù della quale la misurazione del terreno era stata rimessa al geometra G.A.. Il ricorrente, nel ricorso, richiama esclusivamente il contratto preliminare del 1992 e non fa mai riferimento alla suddetta transazione, precludendo a questa Corte di valutare l’affermazione circa la sua mancanza di interesse a presentarsi per la stipula del definitivo.

7. Il ricorso è rigettato.

8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.200 più 200 per esborsi per ciascuno dei gruppi di ricorrenti facenti capo ai due separati controricorsi.;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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