Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1772 del 30/01/2015
Civile Sent. Sez. 6 Num. 1772 Anno 2015
Presidente:
Relatore: PETITTI STEFANO
sentenza con
motivazione semplificata
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D’ANGICCO Pasqualina (DNG PQL 54B48 L08624), in proprio e
nella qualità di erede
di D’Angicco
Giovanni,
rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del
ricorso, dagli Avvocati Giulio di Gioia e Milena Monica De
Nicola, elettivamente domiciliata presso lo studio del
primo in Roma, via Sicilia n. 235;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA,
in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, presso i. cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi 12, è domiciliato per legge;
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Au.
Data pubblicazione: 30/01/2015
- controrícorrente
–
per la cassazione del decreto dalla Corte d’appello di
Roma depositato il 7 maggio 2013 ( R.G. 51712/2010 V.G.).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
Stefano Petitti.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 4 febbraio
2010 presso la Corte d’appello di Roma, D’ANGICCO
Pasqualina, in proprio e nella qualità di erede di
D’Angicco Giovanni, chiedeva la condanna del Ministero
della giustizia al pagamento dei danni morali derivanti
dalla irragionevole durata di un giudizio iniziato
dinnanzi al Tribunale di Benevento nei confronti di suo
padre con citazione del 18 settembre 1995; giudizio
riassunto nei suoi confronti dopo il
decesso
del padre
avvenuto nel 2000, e pendente in appello;
che l’adita Corte d’appello, rilevato che il giudizio
di appello era stato rinviato per precisazione delle
conclusioni all’udienza del 15 maggio 2007, riteneva che
fosse onere della parte dimostrare la attuale pendenza del
giudizio stesso, onde superare la presunzione di
intervenuta decisione nei termini di legge dopo l’udienza
di precisazione delle conclusioni; dichiarava, quindi,
improcedibile il ricorso;
-2-
udienza del 17 dicembre 2014 dal Presidente relatore Dott.
che per la cassazione di questo decreto D’ANGICCO
Pasqualina, in proprio e nella qualità di erede di
D’Angicco Giovanni ha proposto ricorso sulla base di due
motivi;
controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 2, e
3, camma 5, della legge n. 89 del 2001 (vecchio testo),
rilevando che il giudice del merito era venuto meno
all’obbligo, sullo steso gravante, di procedere anche
d’ufficio all’accertamento della durata del giudizio
presupposto, laddove la Corte d’appello ha, nel caso di
specie, solo presunto che il giudizio presupposto si fosse
concluso nei termini di legge;
che con il secondo motivo la ricorrente denuncia la
nullità del decreto, ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod.
proc. civ., dolendosi del fatto che la Corte d’appello non
abbia tenuto conto che nel ricorso introduttivo si era
specificato che la causa era stata rinviata all’udienza
collegiale del 15 maggio 2007 e che tuttavia, nelle more,
il ruolo del consigliere relatore era stato congelato, né
-3-
che il Ministero della giustizia ha resistito con
risultava che la causa fosse stata assegnata ad altro
magistrato;
che,
in
ogni
caso,
ella
aveva
richiesto
l’acquisizione, ai sensi dell’art. 3, camma 5, degli atti
dato seguito a tale richiesta;
che il ricorso, i cui due motivi possono essere
esaminati congiuntamente, è fondato;
che, invero, questa Corte ha avuto modo di affermare
il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui «in tema
di equa riparazione, per la violazione del termine
ragionevole di durata del processo, ove la parte si sia
avvalsa della facoltà – prevista dall’art. 3, coma 5,
della legge 24 marzo 2001, n. 89 – di richiedere alla
corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del
processo presupposto, il giudice non può addebitare alla
mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di
quegli atti la causa del mancato accertamento della
addotta violazione della ragionevole durata del processo;
difatti la parte ha un onere di allegazione e di
dimostrazione, che pera riguarda la sua posizione nel
processo, la data iniziale di questo, la data della sua
definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato,
mentre (in coerenza con il modello procedimentale, di cui
agli artt. 737 e s. cod. proc. civ., prescelto dal
-4-
del giudizio presupposto e la Corte d’appello non aveva
legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati
suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte
resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo
presupposto – verificare, in concreto e con riguardo alla
termine ragionevole di durata, tenuto anche conto che nel
modello processuale della legge n. 89 del 2001 sussiste un
potere d’iniziativa del giudice,
che
gli impedisce di
rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie
superabili con l’esercizio di tale potere» (Cass. n. 16367
del 2012);
che, dunque, la Conte d’appello di Roma, dichiarando
improcedibile il ricorso per equa riparazione sul rilievo
della mancata prova della pendenza del giudizio
presupposto alla data della domanda, pur in presenza di
richiesta formulata dalla parte di acquisizione degli atti
della procedura stessa ai sensi dell’art. 3, comma 5,
della legge n. 89 del 2001
(ratione tenporis applicabile
nel caso di specie), si è discostata dall’indicato
principio;
che il ricorso va dunque accolto e il decreto
impugnato va cassato, con rinvio della causa, per nuovo
esame della domanda, alla Corte d’appello di Roma, in
diversa composizione, la quale provvederà, altresì, alla
regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.
-5-
singola fattispecie, se vi sia stata violazione del
PER QUESTI MOTIVI
La Corte
accoglie
il ricorso;
cassa
il decreto
Impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del
giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Rama, in
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione,
diversa composizione.