Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1772 del 24/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 1772 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: DE FELICE ALFONSINA

SENTENZA

sul ricorso 14001-2012 proposto da:
GIORGINI CARLO C.F. GRGCRL42A04D969K, GIORGINI PAOLO
GRGPLA66C14D969K, GIORGINI ROBERTA GRGRRT71A43D969Q,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. ZANARDELLI
36, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIULIO
ROMEO, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO
2017

FIRRIOLO;
– ricorrente –

3920

contro

COMUNE DI GENOVA, in persona del Sindaco pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

ti

Data pubblicazione: 24/01/2018

CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE
PAFUNDI, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ANNA MORIELLI, giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

– intimata –

avverso la sentenza n. 945/2011 della CORTE D’APPELLO
di GENOVA, depositata il 12/12/2011 R.G.N.

312/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

10/10/2017

dal

Consigliere

Dott.

ALFONSINA DE FELICE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per inammissibilità, in subordine rigetto;
udito l’Avvocato GIOVANNI CORBYONS per delega verbale
Avvocato GABRIELE PAFUNDI.

ALLIANZ S.P.A.;

R.G. 14001/2012

FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Genova, con sentenza in data 19/4/2012,
confermando la decisione del Tribunale della stessa sede’ n.767/2008, ha
rigettato la domanda di Carlo Giorgini e di Roberta Giorgini e Paolo Giorgini,
rispettivamente marito e figli di Renata Orlandi deceduta per mesotelioma

Essa era stata proposta dagli appellanti jure successionis, al fine di sentir
condannare il Comune di Genova quale datore di lavoro, al risarcimento del
danno biologico e morale, per non avere adottato le doverose precauzioni nei
confronti della loro congiunta. L’Orlandi, infatti, secondo gli appellanti, avrebbe
contratto la malattia mortale per la presenza di amianto nel magazzino del
Liceo Artistico comunale Barabino, dove aveva svolto mansioni di bidella dal
1979 al 2005, essendo la malattia intervenuta nel 2003.
Sul caso si era espresso il CTU, il quale aveva accertato a) che era escluso
che il datore avesse sottovalutato il rischio, essendo stata l’esposizione limitata
temporalmente e, nel complesso, quantitativamente contenuta; b) che la
lavoratrice non aveva svolto diretta attività di manipolazione delle tubazioni
contenenti amianto; c) che l’insorgere della malattia presentava una latenza
troppo breve dal momento in cui l’istruttoria aveva rilevato discontinuità su tali
tubazioni, tali da determinare la presunta dispersione di fibre da cui sarebbe
originata la malattia.
Dette conclusioni, acquisite alla decisione d’appello, hanno condotto al
rigetto delta domanda, per il non ritenuto raggiungimento della prova circa il
nesso causale tra attività lavorativa e insorgenza del mesotelioma, e perché
dall’istruttoria era stato accertato che la permanenza della lavoratrice nel luogo
di cui si supponeva la pericolosità, fosse quantitativamente e qualitativamente
contenuta, così da escludere che – avendo i ricorrenti indicato la prestazione
quale unica fonte di rischio per la loro congiunta – questo dovesse reputarsi
superiore rispetto a quello cui va soggetto la generalità della popolazione.

pleurico da esposizione all’amianto.

Avverso tale decisione interpongono ricorso Carlo Giorgini, Roberta Giorgini
e Paolo Giorgini, con un’unica censura, cui resiste con tempestivo controricorso
il Comune di Genova.

RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unica censura, i ricorrenti deducono “Ex art. 360, punto 3 e 5 c.p.c. in

La censura rileva a carico della sentenza gravata un’anomalia
motivazionale di base, conseguente all’avere la Corte d’appello recepito le
risultanze di una CTU, confermativa di quella di primo grado, valutata dai
ricorrenti di scarsa attendibilità scientifica.
Parte ricorrente affida al lungo riepilogo dello svolgimento dei giudizi di
merito, i suoi convincimenti sulla natura “monofattoriale” del rischio da
esposizione all’amianto, confutando le risultanze mediche della CTU, e
contestando la valutazione, da parte del Giudice dell’appello, degli elementi
probatori orali e documentali acquisiti nel corso del giudizio.

La censura è inammissibile.
Essa, infatti, non consente di individuare con chiarezza né la
prospettazione di violazione dell’art. 2087 cod.civ., né quella di omessa,
insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio.
La giurisprudenza di questa Corte ritiene in proposito che “E’ inammissibile
il motivo di ricorso per cassazione che prospetti, in violazione delle regole di
chiarezza e specificità dell’impugnazione, una pluralità di questioni precedute
unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate e dalla
deduzione del vizio di motivazione, in quanto esso richiede un intervento
integrativo della Corte, volto a enucleare dall’insieme delle censure, e per
ciascuna delle doglianze sollevate, lo specifico vizio di violazione di legge o del
vizio di motivazione” (Cass. n.21611/2013; Cass. n.18021/2016).

relazione ad art. 2087 c.c.”

La censura è, altresì, inammissibile poiché non censura la doppia ratio
decidendi della sentenza.
Il Giudice dell’appello, infatti, da un lato ha accertato la “modesta
esposizione” della lavoratrice al rischio da esposizione ad amianto nel
magazzino contenente le tubazioni, sia per il tempo trascorso al suo interno (in
media un’ora alla settimana oltre ad altri accessi variabili e solo eventuali), sia

manipolazione del materiale, dall’altro – recepita la determinazione della CTU ha ritenuto, con motivazione esente da vizi, non provato il nesso causale tra
l’attività lavorativa svolta dalla Orlandi e la patologia contratta dalla medesima.
L’unica doglianza si limita, così, a contestare genericamente le statuizioni
del Giudice dell’appello, e si rivela inadeguata a censurare le rationes sopra
indicate e, dunque, a rimettere in discussione il decisum.
E’, dunque, opportuno ricordare la giurisprudenza di questa Corte là dove
afferma che “Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio
tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata,
caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed
a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi
dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su una
pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali
logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il
ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali

rationes

decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione” (Cass. Sez.
Un.n.7931/2013).
In aderenza ai principi sopra richiamati, qualsiasi altra ricostruzione dei
fatti contrastante con quella accertata nella sentenza impugnata, ovvero
qualsiasi censura dell’apprezzamento o del convincimento del giudice del
merito che risulti difforme da quanto auspicato dalla parte ricorrente, è da
ritenersi parimenti inammissibile, per involgere un riesame del merito non
consentito in questa sede (ex multis, Cass. n.25332/2014).

Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

per le mansioni ivi espletate, le quali non richiedevano attività di diretta

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento nei confronti
del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro
3000 per competenze professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15

Così deciso all’Udienza del 10/10/2017

per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge.

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