Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17719 del 29/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/08/2011, (ud. 12/04/2011, dep. 29/08/2011), n.17719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 107, presso lo studio dell’avvocato DEL PRATO ENRICO ELIO, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO GANASSINI S.p.a. DI RICERCHE BIOCHIMICHE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato LUISA

GOBBI, rappresentato e difeso dall’avvocato D’AMELIO GIUSEPPE, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4269/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/06/2006 R.G.N. 2094/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato D’AMELIO ANTONELLA per delega D’AMELIO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata accoglie l’appello dell’Istituto Ganassini s.p.a. di Ricerche biochimiche e, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma n. 227 dell’11 gennaio 2005 – che per il resto conferma – rigetta la domanda con la quale D.A. ha chiesto la condanna della suddetta società al pagamento dell’indennità di cassa.

La Corte d’appello di Roma sottolinea che l’interessata non ha allegato, prima ancora che provato, l’esistenza di una pattuizione pregressa con l’Istituto avente per oggetto l’incasso delle somme dovute dai clienti, essendosi limitata a incentrare le prospettazioni del ricorso introduttivo del giudizio su una attività di mero fatto di esazione crediti svolta nel corso del rapporto di agenzia, come dimostrato dal fatto che l’unico titolo sul quale si fonda la pretesa azionata è quello derivante dal richiamo all’art. 2041 cod. civ., che disciplina Fazione generale di arricchimento. Tuttavia, la D. non ha assolto l’onere della prova che le incombeva in merito all’arricchimento senza giusta causa che all’Istituto sarebbe derivato dalla propria attività di incasso.

Secondo la Corte d’appello, le risultanze probatorie (e, in particolare, la prova testimoniale) hanno, infatti, evidenziato esclusivamente un sistema attraverso il quale i clienti a volte sceglievano di pagare i propri debiti direttamente all’agente per poter dilazionare l’ordinario termine di pagamento, considerato troppo breve.

Tale sistema, anche se tollerato dalla società, sicuramente non le arrecava alcuno specifico vantaggio, traducendosi anzi in un ritardo nella riscossione dei propri crediti.

2 – Il ricorso di D.A. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, l’Istituto Ganassini s.p.a. di Ricerche biochimiche.

Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il Collegio raccomanda la motivazione semplificata.

2 – Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si rileva, in primo luogo, che la Corte d’appello , pur partendo da una condivisibile esegesi dell’art. 2041 cod. civ., avrebbe tuttavia errato ove – ribaltando la decisione del giudice di primo grado – ha escluso che sia stata raggiunta la prova dell’invocato arricchimento, omettendo di considerare che, invece, dagli atti e dai verbali di causa detta prova emerge con chiarezza.

In tal modo la Corte d’appello avrebbe operato un palese travisamento degli elementi di prova, in fatto e in diritto, e ciò avrebbe dato luogo ad una erronea applicazione dell’art. 2041 cod. civ., e ad una motivazione errata e contraddittoria.

Infatti, già nel corso del giudizio di primo grado era emerso che la D., sia pure in assenza di una pattuizione scritta con la società, svolgeva in modo costante l’attività di riscossione dei crediti e degli insoluti con il consenso dell’Istituto che non poteva non beneficiarne (come si desume dalle dichiarazioni testimoniali dei diretti superiori della ricorrente di cui la Corte d’appello non ha tenuto conto), visto che in tal modo riusciva ad ottenere più rapidamente l’incasso di quanto dovuto dai clienti, senza la necessità di attivare costose e gravose procedure di recupero forzoso e, nello stesso tempo, aveva anche il vantaggio di mantenere la propria clientela (come si desume dalle testimonianze in atti)e acquisire nuovi ordini (consentiti solo previo pagamento degli insoluti).

Del resto lo stesso Istituto nell’atto d’appello ha riconosciuto la debenza della reclamata indennità, ma anche questo è stato ignorato dalla Corte d’appello che non ha considerato che la nozione di ingiusto arricchimento, di cui all’art. 2041 cod. civ. si può estendere anche alle mancate perdite ottenute per effetto dell’attività altrui.

3.- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, e all’art. 116 cod. proc. civ. e art. 2041 cod. civ., per travisamento ed erronea valutazione delle risultanze probatorie sul punto controverso e decisivo dell’ingiustificato arricchimento.

Si rileva che la Corte d’appello, pur avendo dato atto dello svolgimento, da parte della ricorrente, dell’attività di riscossione dei crediti nell’esclusivo interesse dell’Istituto Ganassini, non ha, però, dichiarato che tale attività è stata fonte di ingiustificato arricchimento per l’Istituto stesso, adottando così una motivazione contraddittoria, inidonea a giustificare la decisione assunta e basata su un esame parziale delle risultanze processuali.

4.- La società controricorrente, in primo luogo, sostiene che il ricorso è inammissibile, per inosservanza del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti, di cui all’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3.

Tale assunto non può essere condiviso, infatti il Collegio intende uniformarsi, sul punto, all’orientamento di questa Corte secondo cui il disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, in base al quale il ricorso per cassazione deve contenere, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, può ritenersi osservato anche mediante la trascrizione nel ricorso stesso della descrizione dei fatti di causa contenuta nella sentenza impugnata, sempre che tale descrizione non risulti lacunosa (Cass. 16 dicembre 2003, n. 19237; Cass. 11 gennaio 2008, n. 423). Infatti, l’esposizione, pur sommaria, dei fatti di causa dovrà considerarsi carente, con conseguente inammissibilità del ricorso, qualora la sentenza impugnata non contenga, a sua volta, una sufficiente indicazione dei fatti della causa rilevanti ai fini della decisione (Cass. 3 febbraio 2004, n. 1957; Cass. 9 settembre 2004, n. 18150; Cass. 21 luglio 2005, n. 15321). Ciò in quanto la suddetta disposizione del codice di rito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. 22 settembre 2003, n. 14001).

Nella specie il ricorso, attraverso la riproduzione integrale dell’esposizione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata (a sua volta del tutto chiara ed esaustiva, nella sua sinteticità) e la successiva esposizione dei motivi consente di intendere agevolmente la vicenda processuale sottoposta all’attenzione di questa Corte.

Pertanto è da escludere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per la suddetta ragione.

5.- Nel merito i due motivi di ricorso – da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione – non sono fondati.

Nonostante, il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del primo motivo, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Ai riguardo va ricordato che la deduzione, con il ricorso per cassazione, di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentilo alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diverse da quella accolta dal giudice di merito (vedi, tra le tante Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico- argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

Infatti, la Corte territoriale, premessa la mancata allegazione della sussistenza di una pregressa pattuizione tra le parti avente ad oggetto l’incasso delle somme dovute dai clienti, ha ritenuto che l’unico titolo idoneo, in astratto, a fondare la pretesa azionata potesse essere quello derivante dall’art. 2041 cod. civ., sull’azione generale di arricchimento.

Tuttavia, la Corte d’appello, con plausibile motivazione, ha ritenuto non provata, nella specie, la sussistenza dell’arricchimento dell’Istituto Ganassini senza giusta causa, che rappresenta il presupposto principale della sussidiaria azione prevista dal citato art. 2041 cod. civ., come ripetutamente affermato anche dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. 20 dicembre 2004, n. 23625; Cass. 2 aprile 2009, n. 8020), che il Collegio condivide.

A fronte di questa situazione, le doglianze mosse dalla ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice di merito in senso contrario alle aspettative della medesima ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

6.- Per le suesposte ragioni, il ricorso va respinto. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00 per esborsi, Euro 1500 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 12 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2011

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