Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17717 del 25/08/2020

Cassazione civile sez. II, 25/08/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 25/08/2020), n.17717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe re – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25916/2016 proposto da:

C.M.P., M.A., M.G.,

elettivamente domiciliati in Roma Via Valdagno 27 presso lo studio

dell’avvocato Basso Tommaso, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Maggioni Giuliano;

– ricorrente –

contro

C.M.A., elettivamente domiciliato in Roma Corso

Trieste 150 presso lo studio dell’avvocato Marzano Renata, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Armandola Roberto;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2567/2016 della Corte d’Appello di Milano,

depositata il 22 giugno 2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4

dicembre 2019 dal Consigliere TEDESCO Giuseppe;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto de ricorso;

uditi l’avv. Giuliano Maggioni, per i ricorrenti e l’avv. Renata

Marzano, per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado con la quale il tribunale, nella causa di scioglimento della comunione ereditaria derivante dalla morte di C.G., promossa dalla figlia C.M.A. nei confronti delle coeredi, la sorella C.P. e la madre e coniuge del de cuius L.F.E., ha riconosciuto la comoda divisibilità del compendio ereditario comune, costituito da podere condotto in regime di affitto agrario dall’azienda agricola Cascina San Giovanni di A. e G.M., figli della coerede C.P., intervenuti nel giudizio al fine di sostenere le ragioni delle convenute, che avevano chiesto che la divisione fosse fatta mediante attribuzione dell’intero in loro favore stante la indivisibile in natura del cespite.

La corte non ha condiviso tale tesi e ha diviso il fondo in due porzioni, corrispondenti alle quote delle due sorelle, essendo nel frattempo deceduta in corso di causa il coniuge del de cuius, lasciando eredi le stesse figlie già eredi del genitore morto per primo.

La corte di merito ha condiviso la valutazione di comoda divisibilità del bene, già espressa dal giudice di primo grado, in base ai seguenti rilievi:

a) “sotto il profilo funzionale, la divisione pro quota dei terreni della comunione, con conseguente possibile riduzione della superficie affidata alla gestione dell’azienda agricola, non è solo realizzabile, ma neppure comprometterebbe in alcun modo l’attività di quest’ultima, perchè essa persegue un indirizzo cerealicolo – zootecnico condotto non solo su poco più di 7 ettari appartenenti ai condividenti, bensì su una superficie complessiva di 25 ettari, 80 are, 74 centiare (…) e, altresì, perchè i fabbricati rurali distinti al mappale (OMISSIS), assegnati all’attrice (che non svolge attività agricola) non sono strettamente funzionali all’attività agricola prevalente (…);

b) “sotto l’aspetto strutturale i costi per mettere in atto le soluzioni edili ed impiantistiche atte a minimizzare le interferenze fra le diverse attività presenti nei due lotti, ivi comprese le servitù di passaggio, non sono da valutare a parte, ma sono comprese in quel generale deprezzamento del 10% dei terreni e del 20% dei fabbricati indicato dal c.t.u. quale conseguenza del frazionamento (…); considerato peraltro che i terreni assegnati a parte attrice risultano accessibili da strada vicinale e, che in ogni caso e a tutto volere concedere, per i mappali assegnanti ad A. chi si dovrebbe lamentare è solo quest’ultima, che di nulla si duole invece in proposito e non la condividente P.”;

c) “sotto l’aspetto economico il minor valore dei due lotti, una volta assegnati – si mantiene complessivamente contenuto in quel 20% per (tutti) i fabbricati. ridotto al 10% per (tutti) i terreni e tale da non costituire quel “notevole deprezzamento” ostativo al concetto di comoda divisibilità (…) il tutto fermo restando che la soluzione indicata dal c.t.u. sub A) è stata scelta dal primo giudice non immotivatamente, ma in ragione del fatto che solo questo è, fra quelli offerti dal c.t.u., il progetto divisionale che rende le due quote omogenee (…) suscettibili e libero godimento, e con un conguaglio assai contenuto rispetto al progetto B), cioè all’incirca di Euro 17.000,00 su Euro 148.000 (…) (si noti, peraltro, che P. e suoi aventi causa non hanno chiesto che venga scelto un progetto diverso fra quelli predisposti dal c.t.u., ma l’attribuzione dell’intero)”.

La corte ha poi accolto la domanda dell’attrice, volta a ottenere la condanna della convenuta a corrispondere la quota parte dei canoni ricevuti per l’affitto della cosa comune. In proposito essa ha rilevato che i canoni erano stati pagati, come da rendiconto offerto dalla stessa convenuta, la quale era pertanto tenuta al rimborso, dovendosi presumere la coincidenza fra il percettore dei canoni e chi aveva reso il conto.

La corte ha poi rigettato i motivi di appello con i quali l’appellante aveva lamentato, da un lato, l’omessa pronuncia su una delle domande proposte dalle controparti in sede di riassunzione del processo dopo la morte della L.F.; dall’altro, che il primo giudice aveva deciso su domande proposte solo nell’atto di riassunzione e non nella citazione iniziale.

Quanto alla prima censura la corte ha rilevato che l’appellante non aveva indicato il nocumento subito dalla omissione di pronuncia sulla domanda proposta da controparte; sulla seconda censura ha invece negato che le domanda proposte in sede di riassunzione fossero nuove, trattandosi “pur sempre di domande di divisione della comunione ereditaria” che non potevano tenere conto delle modifiche intervenute nella comunione a seguito della morte della L.F..

La corte di merito ha infine escluso di dover dar corso all’istanza di convocazione del consulente tecnico per chiarimenti, in assenza di una chiara indicazione dei chiarimenti da richiedere e delle ragioni della loro rilevanza.

Per la cassazione della sentenza C.M.P., M.A. e M.G. hanno proposto ricorso, affidato a cinque motivi.

Ha resistito con controricorso C.M.A..

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.c..

La sentenza è censurata nella parte in cui la corte d’appello ha riconosciuto la possibilità della divisione in natura del podere agricolo Cascina San Giovanni.

a) La corte d’appello non ha tenuto conto che un immobile non può ritenersi comodamente divisibile quando la divisione richiede operazioni costose e complesse, ipotesi ricorrente nel caso di specie alla stregua delle considerazioni del consulente.

b) La corte, inoltre, ha poi omesso di considerare che la soluzione suggerita dal consulente implicava, al fine di consentire l’accesso alle porzioni divise oggetto di attribuzione a C.M.A., la costituzione di una servitù su un terreno estraneo alla massa ereditaria, il che costituiva ulteriore elemento che avrebbe dovuto indurre i giudici d’appello a riconoscere la incomoda divisibilità del bene.

c) I ricorrenti sostengono ancora che la corte d’appello, nella indagine volta a stabilire l’idoneità delle porzioni derivanti dal frazionamento ad assolvere la funzione economica del tutto, ha lasciato spazio a considerazioni soggettive, riguardanti le attitudini dei condividenti, che non possono incidere sul giudizio relativo all’accertamento della comoda o incomoda divisibilità di un cespite.

d) Si deduce infine la violazione del criterio secondo cui un immobile è indivisibile quando il frazionamento determinerebbe un notevole deprezzamento del valore originario.

1.1. I primi tre profili di censura (a, b e c) sono fondati, con assorbimento del quarto profilo (d).

Ex art. 720 c.c., è giuridicamente indivisibile il bene il cui frazionamento in tante parti quanti sono i condividenti risulti “non comodo” per il risultato o per i mezzi richiesti. Precisamente un bene è incomodamene divisibile: a) quando la sua divisione, sebbene realizzabile materialmente, attribuisca ai partecipanti porzioni inidonee ad assolvere la funzione economica dell’intero, determinando con il frazionamento un notevole deprezzamento del valore intrinseco originario; b) quando le varie frazioni ricavabili risultino gravati da pesi, servitù o limitazioni eccessive; c) quando la divisione richiede accorgimenti troppo costosi o complessi (Cass. n. 25888/2016; n. 14577/2012; n. 3635/2007; n. 22833/2006; n. 423/1987).

Il regime dettato dall’art. 720 c.c., non è specifico della divisione ereditaria, ma è applicabile allo scioglimento di qualsiasi tipo di comunione (Cass. n. 14540/2004).

1.2. Nel caso in esame la sentenza impugnata allude alla necessità di “mettere in atto le soluzioni edili ed impiantistiche atte a minimizzare le interferenze fra le diverse attività presenti nei due lotti” (così testualmente la sentenza impugnata); nondimeno la corte di merito ha opinato che i relativi costi non fossero da valutare a parte, essendo “compresi nel generale deprezzamento (…) quale conseguenza del frazionamento”.

Il rilievo è in contrasto con l’art. 720 c.c., così come inteso dalla giurisprudenza della Suprema Corte, per la quale un complesso immobiliare non può essere ritenuto comodamente divisibile (o incomodamente divisibile) “senza procedere all’accertamento tecnico delle spese necessarie alla divisione in natura” (Cass. n. 5536/1981). Insomma i costi, eventualmente occorrenti alla divisione in natura dell’immobile, rilevano di per sè e non sono in alcuna correlazione con l’eventuale deprezzamento del bene indotto dal frazionamento.

In identico errore la corte di merito è incorsa quando ha riconosciuto che le servitù derivanti dalla divisione non sono da valutare a parte, essendo anch’esse comprese nel generale deprezzamento derivante dalla divisione.

Al contrario la corretta applicazione dei principi imponeva, anche con riferimento a questo aspetto, una indagine specifica volta ad accertare se le porzioni ricavabili dalla cosa comune non risultassero gravate da pesi, servitù o limitazioni eccessive (Cass. n. 12406/2007), trattandosi di fattori autonomamente ostativi alla divisione in natura.

1.3. E’ pacifico secondo la giurisprudenza della Corte che un immobile è divisibile solo se ciascuna porzione resti sostanzialmente idonea, sia pure in proporzione della sua entità, ad assolvere la funzione economica del tutto. A tal fine va tenuta presente la destinazione obiettiva dell’immobile (Cass. n. 1868/1965): “L’indagine sulla comoda o non comoda divisibilità di un bene immobile, in comunione ereditaria, al fine del riconoscimento o meno, in sede di divisione giudiziale, del diritto di ciascun partecipante di ottenere la sua quota in natura, va condotta alla stregua del criterio oggettivo costituito dalla concreta possibilità o meno di ripartire il bene medesimo, nella sua attuale consistenza e destinazione, senza pregiudizio per il suo valore economico, ed in modo tale che la porzione da attribuirsi a ciascun condividente configuri un’entità autonoma e funzionale. Al fine indicato, pertanto, rimane irrilevante accertare eventuali possibilità future di ristrutturazione o modificazione dell’immobile, così come le finalità che i singoli compartecipanti si propongano attraverso la divisione e la formazione delle porzioni” (Cass. n. 4738/1977).

In palese contrasto con il carattere oggettivo dei criteri operanti in materia, la Corte ha annoverato fra gli elementi del giudizio considerazioni di carattere soggettivo, in particolare riguardanti l’attività non agricola svolta dalla condividente che sosteneva la divisibilità in natura del cespite, laddove tali considerazioni non possono influenzare il relativo giudizio, come appena chiarito.

Identico errore la corte ha commesso quando ha riconosciuto che le obiezioni sulle difficoltà di accesso alla porzione divisa non erano rilevanti, “considerato (…) che in ogni caso e a tutto volere concedere, per i mappali assegnanti ad A. chi si dovrebbe lamentare è solo quest’ultima, che di nulla si duole invece in proposito e non la condividente P.”.

E’ al contrario evidente, in considerazione della natura oggettiva dei criteri per accertare la comoda divisibilità ex art. 720 c.c., che, al fine di riconoscere o negare la comoda divisibilità di un immobile, è del tutto irrilevante che uno dei compartecipi si accontenti di una porzione che abbia minori possibilità di sfruttamento o che abbia difficoltà di accesso.

1.4. Si ritiene infine di dover precisare che l’accertamento della divisibilità deve essere condotto con esclusivo riferimento ai beni oggetto della divisione, senza possibilità di ipotizzare modifiche o l’imposizione di pesi su beni estranei a essa (cfr. Cass. n. 2983/2019; n. 937/1982).

1.5. Assorbito il profilo di censura sulla misura del deprezzamento rilevante.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c..

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la Corte ha riconosciuto che, una volta raggiunta la prova che i canoni furono pagati dal conduttore in favore della comunione ereditaria, poteva ritenersi provato che le somme furono ricevute e trattenute da chi aveva reso il rendiconto, “cioè da P.: avrebbe dunque dovuto essere semmai quest’ultima ad eccepire e dimostrare l’avvenuto pagamento, in favore di A., di quanto dovutole (dimostrazione che, però, non è stata neppure allegata)”.

Si sostiene che la Corte ha riferito a P. il rendiconto reso dalla “comunione ereditaria”, che è soggetto diverso e distinto dalla singola comproprietaria, dotato di un suo regolamento e di un amministratore, regolarmente nominato.

2.1 Il motivo è infondato.

La corte d’appello ha riconosciuto che il rendiconto delle somme pagate dai conduttori fu reso da P.. Sulla base di tale dato ha riconosciuto che potesse presumersi che le somme furono versate a questa, tenuta pertanto al pagamento pro quota in favore della coerede.

La ricorrente assume che la Corte avrebbe erroneamente riferito ad essa il rendiconto, che invece era stato reso da un diverso soggetto: la comunione ereditaria.

In questi termini la censura, sotto la veste della violazione di legge, si dirige contro la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, che è attualmente censurabile in cassazione solo sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con i correlativi oneri di specificità imposti a chi intende sollevare una simile censura, oneri che nella specie non sono stati assolti: la ricorrente neanche indica il diverso soggetto che, per conto della comunione, rese il conto, nè precisa se e in che termini la questione fu sottoposta all’esame della corte d’appello (Cass., S.U., n. 8053/2014).

3. Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c..

In appello gli attuali ricorrenti avevano censurato la sentenza di primo grado per omissione di pronuncia sulla domanda, proposta dall’attrice in sede di riassunzione, di condanna di M.A. a rilasciare uno degli immobili comuni.

La sentenza è oggetto di censura perchè la corte ha negato l’interesse degli appellanti a denunciare l’omissione, non avendo essi indicato il nocumento derivante dalla omessa pronuncia sulla domanda proposta dalla controparte.

Si sostiene che la censura rispondeva all’interesse, proprio di ogni parte in causa, al regolare svolgimento del processo.

3.1 Il motivo è infondato.

La sentenza è in linea con il principio che “in tema di impugnazioni, l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione da apprezzarsi in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento” (Cass. n. 13395/2018; n. 8934/2013).

4. Il quarto motivo censura la sentenza perchè la Corte non ha colto la novità che caratterizzava alcune delle domande formulate dalla controparte nell’atto di riassunzione, che differivano da quelle avanzate con la iniziale citazione.

La Corte ha ritenuto che le domande proposte nell’atto di riassunzione riguardassero pur sempre la divisione, non accorgendosi che in sede di riassunzione erano state proposte altre domande, in particolare una domanda di rendiconto, la richiesta di rigetto delle domande avversarie, la richiesta di dichiarare infondate ed improponibili le domande dei terzi intervenuti, la domanda di rilascio di uno dei beni comuni.

4.1 Il motivo è infondato.

La ricorrente considera nuove le domande identificate con i numeri 2 e 3 dell’atto di riassunzione in base al confronto con le richieste, identificate con la medesima numerazione. nell’atto di citazione: mentre nella citazione il rendiconto e la conseguente condanna furono richieste nei confronti di L.F.E. e di C.M.P., in sede di riassunzione dopo la morte della L.F., le domande furono proposte nei confronti della sola C..

Consegue in base al confronto fra i due atti che la sola modifica attiene quindi attiene alla direzione soggettiva delle domanda, ristretta alla convenuta superstite, che tuttavia costituisce modifica non comportante proposizione di domanda nuova, trattandosi di semplice adattamento determinato dalla nuova situazione verificatasi in corso di causa. Identica considerazione deve farsi per le domande indicate con il n. 5 nei due atti (citazione iniziale e riassunzione). Anche qui la sola modifica riguarda, negli stessi termini già rilevati, il profilo soggettivo, restando da aggiungere che la richiesta di rigetto di una domanda altrui non è domanda nè tanto meno domanda nuova. In quanto alla domanda di rilascio, formulata solo con l’atto di riassunzione (n. 6), la corte non ha pronunciato su di essa, tant’è che il relativo vizio è stato infondatamente fatto valere con il motivo precedente. Il supposto omesso rilievo della novità della domanda è rimasto perciò privo di conseguenze.

5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c..

La sentenza è censurata là dove la corte non ha dato seguito alla richiesta di convocazione del c.t.u., in base al rilievo che la parte aveva indicato solo i chiarimenti che intendeva ottenere, ma non la loro rilevanza ai fini del decidere.

Al contrario l’appellante aveva chiaramente indicato le ragioni di censura. che riguardavano l’esistenza del requisito della comoda divisibilità.

5.1. Il motivo è assorbito, in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo, che impone il riesame del giudizio sulla comoda divisibilità del cespite.

6. Si impone in relazione al primo motivo la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame della comoda divisibilità del cespite oggetto di divisione, attenendosi ai principi di cui sopra e liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo; rigetta il secondo, il terzo e il quarto motivo; dichiara assorbito il quinto motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione civile, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2020

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